A Bancali, frazione di Sassari, sorge, o meglio si inabissa, nelle viscere della terra sarda, il carcere della vergogna. Il Garante nazionale dei detenuti, in un suo rapporto sul carcere di Bancali, ha descritto che le sezioni del 41 bis sono state realizzate in un’area ricavata, scavando, al di sotto del livello di quota dell’Istituto; in pratica, le cinque sezioni scendono gradatamente, con una diminuzione progressiva dell’accesso dell’aria e della luce naturale, che “filtrano solo attraverso piccole finestre poste in alto sulla parete, corrispondenti all’esterno al livello di base del muro di cinta del complesso”.
Le condizioni
Per quanto sopra esposto, i detenuti nelle proprie celle, ma anche il personale della polizia penitenziaria, nei propri locali, sono costretti a tenere costantemente la luce elettrica accesa per sopperire alla carenza di quella naturale oltre, si spera, ad usufruire di una ventilazione forzata perché è noto che, sotto terra, l’aria manca. Inoltre, mentre la luce e l’aria scarseggia non manca l’acqua, infatti, è stato riferito alla delegazione del Garante nazionale che spesso, durante le piogge intense, parte del reparto si allaga con evidenti disagi per gli ospitati. Insomma, sembra che con la scusa che si dovesse costruire una struttura vocata alla misura speciale di cui all’art. 41 bis o.p. si sia svelata finalmente la vera natura del regime speciale, non preventiva, come invece si è tentato di farla passare con il placet della Cassazione, ma prettamente retributiva.
Ebbene, il ‘Grande Architetto penitenziario’ che ha concepito questo luogo, più simile ad un girone dantesco, per inevitabile richiamo alla spirale infernale verso il centro della terra, più che progettare un moderno strumento di rieducazione ex art. 27 co. 3 Cost., ha evidentemente pensato di soddisfare il committente ministeriale apportando tutte le accortezze per rendere la detenzione più afflittiva possibile e sostanzialmente repressiva di ogni istinto umano. D’altronde il DAP, attraverso il suo rappresentante, ebbe a manifestare esplicitamente che “in Italia ci sono 13 istituti penitenziari che hanno il 41 bis ma sono tutti adattati successivamente: l’unico che nasce con una vocazione mirata è Sassari”.
Successivamente le Autorità ministeriali hanno espresso parole di orgoglio, non accorgendosi che dalla sua apertura nel 2015, secondo il Garante dei detenuti, il tasso di aggressività ed autolesionismo degli internati è stato tra i più alti d’Italia. Non poteva essere diversamente in tali condizioni.
La natura del regime speciale
Certo, dopo la tristi vicende dell’Asinara, ove nel 1990 furono deportati uomini non più utili alla ‘trattativa’, qualcuno se lo doveva aspettare che il ‘genio’ italico dovesse partorire, anche nella seconda repubblica, un’altra pagina di disumanità. In effetti, per chi ancora in Italia non se ne era accorto, magistratura di sorveglianza compresa, anche l’edilizia ‘vocata’, come il carcere di Bancali, simbolicamente manifesta la vera natura del regime speciale di cui all’art. 41 bis o.p., ovvero, lo scopo retributivo del regime speciale diretto ad una conversione del detenuto, magari verso il malleabile status del pentimento.
Infatti, che senso avrebbe avuto sviluppare un carcere sottoterra, con le aperture delle celle in linea, in modo che i detenuti di fronte al solo muro e non gli altri disperati, vivessero il totale isolamento sensoriale equivalente ad una vera e propria tortura?
Secondo gli originari fautori del c.d. “male necessario”, il 41 bis doveva essere una misura di prevenzione intramuraria, all’inizio addirittura temporanea, volta ad impedire ai detenuti mafiosi i collegamenti esterni al carcere con la criminalità organizzata, non certo i collegamenti interni necessari alla socialità quale componente del processo rieducativo.
Insomma, la realtà è che finalmente si è svelata la vera natura del 41 bis, sostanzialmente punitiva, che poco o nulla ha a che fare con la pericolosità di collegamento con l’esterno, rispetto soprattutto ad una popolazione detenuta al 41 bis ormai anziana e quasi totalmente dimenticata da Dio e dagli uomini.
Non sorprende pertanto che il 21 gennaio 2020 il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura, nel raccomandare di abolire la misura d’isolamento diurno imposto come sanzione penale accessoria, per i detenuti condannati a reati che prevedono la pena dell’ergastolo, invitava le autorità ad avviare una seria riflessione sul regime detentivo speciale detto 41 bis, al fine di offrire ai detenuti un minimo di attività utili e di porre rimedio alle gravi carenze materiali osservate nelle celle e nelle aree comuni delle sezioni 41 bis visitate.
Conclusioni
Insomma, il carcere di Bancali, posto a diversi livelli sotto terra, con problemi di allagamento, evoca l’idea che gli esseri che ci vivono, o meglio che ci sopravvivono, vengano seppelliti, dimenticati in un isolamento disumanizzante. Tutto ciò appare brutale ed inaccettabile, ma d’altronde in una Europa distintasi in passato per i peggiori crimini contro l’Umanità, fa riflettere che in effetti nulla di veramente nuovo accade sul fronte della ‘cultura occidentale’.
Ed allora aveva ragione un vero siciliano, che di mafia se ne intendeva, quando scriveva che “la tendenza del mondo occidentale, europeo in particolare, è quella di esorcizzare il male proiettandolo su etnie e su comportamenti che ci appaiono diversi dai nostri. Ma se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”.1
A cura dell’Avv. Fabio Federico
- Giovanni Falcone, “Cose di Cosa Nostra”, Milano 1991, p. 95 ↩︎