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    8 marzo: la lotta per poter scegliere senza essere giudicate

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    Quante volte ti sei sentita messa all’angolo? Quante volte ti hanno detto che l’8 marzo si celebra “la donna”, ma quel “si celebra” suona più come un obbligo, una routine da fare per non sembrare fuori posto?

    E quante volte ti sei trovata a dover rispondere a chi ti dice che “non c’è bisogno di celebrare la donna solo l’8 marzo, le donne vanno celebrate tutto l’anno”? Non è forse vero che dietro a queste frasi si nasconde un maschilismo così sottile da sembrare quasi invisibile? 

    LA LOTTA PER LA LIBERTÀ

    Eppure, per molte di noi, la lotta per l’autodeterminazione, per la libertà di fare scelte senza sentirci giudicate, è ancora lunga. L’8 marzo è più di una festa. È la celebrazione della nostra ribellione, della nostra resistenza. Non si tratta solo di un momento per ricordarci che siamo persone, ma per affermarlo con forza.

    Persone libere di decidere, libere di scegliere se apprezzare un gesto di galanteria o di ripudiarlo senza sentirci “difficili” o “complesse” semplicemente perché ci appartiene il diritto di avere una volontà. Libere di identificarci in questo genere. La società ha sempre imposto alle donne una “natura” da rispettare, una natura che, troppo spesso, si è tradotta in un sacrificio delle proprie aspirazioni, delle proprie scelte.

    Quando una donna sceglie di non avere figli, non si tratta di egoismo, ma di autodeterminazione. Quando decide di non accudire il suo partner o i suoi figli a tempo pieno, non sta tradendo una “natura” che le è stata imposta, ma sta solo scegliendo un diverso percorso, uno che la faccia sentire completa, libera. Mentre un uomo non si giustifica mai per la sua scelta di rimanere a casa, una donna è chiamata a spiegare ogni sua decisione.

    LA FORZA DEL FEMMINISMO

    Non c’è scrittrice femminista che non si sia trovata davanti alla domanda: “Perché parli delle donne?” La scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, una delle voci più potenti del nostro tempo, risponde a questa domanda in modo semplice, ma profondo: “C’è chi si chiede ‘Perché la parola femminista? Perché non dici semplicemente che credi nei diritti umani o giù di lì?’’ Perché non sarebbe onesto.

    Il femminismo ovviamente è legato al tema dei diritti umani, ma scegliere di usare un’espressione vaga come questa vuol dire negare la specificità del problema di genere. È riconoscere che per troppo tempo le donne sono state messe in secondo piano, che la loro condizione è stata ignorata, che la loro voce è stata silenziata. Il femminismo non è un movimento contro gli uomini, ma un movimento per l’equità, per il rispetto, per la dignità. E usarlo come etichetta non è solo giusto, ma necessario.

    LE DONNE NEL MONDO DELLO SPORT E DELLA CULTURA

    Cara donna che stai leggendo forse ti senti stanca di spiegare al mondo che la parità di genere è una lotta ancora da vincere, che non è un dato acquisito, che le ingiustizie nei tuoi confronti sono reali e quotidiane. Ma sappi che, mentre tu stai lottando, ci sono 520 milioni di donne nel mondo che non hanno nemmeno la possibilità di leggere queste parole.

    Ci è voluto un vero atto di coraggio da parte di 15 tra le migliori saltatrici di sci del mondo per imporre al Comitato Olimpico Internazionale di riconoscere finalmente il salto con gli sci femminile come sport olimpico nel 2014. Eppure, siamo solo all’inizio. Pensiamo anche al rugby femminile, che ha fatto il suo ingresso nei Giochi Olimpici solo 9 anni fa. In tanti altri sport, la discriminazione di genere rimane radicata, con le donne che vengono ancora spesso escluse da palcoscenici importanti.

    LE DONNE NELL’EDITORIA: UNA LUNGA BATTAGLIA PER LA PARITÀ

    Le donne sono costrette a combattere ogni giorno per guadagnare il loro posto nella società, per essere visibili, per essere ascoltate. Ma, come sappiamo, il cambiamento è lento. Non solo nella politica, non solo nel mondo del lavoro, ma anche nel mondo della cultura e dell’editoria. Le donne sono meno visibili nei media, nei libri, nelle recensioni.

    La battaglia per essere riconosciute come voci di valore non è ancora vinta, eppure i progressi si vedono. Le donne che scrivono, che parlano, che pubblicano, sono sempre di più. Tuttavia, secondo il rapporto annuale di PEN America (2023), le donne rappresentano solo il 36% degli autori pubblicati a livello globale, e il dato diventa ancora più drammatico se parliamo di autrici nei principali settori editoriali.

    Eppure, la società è ormai sempre più consapevole dell’importanza di queste voci. La strada è lunga, ma ci sono segnali di cambiamento, e tutto ciò è il frutto di una lotta che non ha mai smesso di bruciare sotto la cenere del patriarcato. In Italia, il Premio Strega ha recentemente visto una crescente partecipazione di autrici e vincitrici, ma resta ancora un mondo dove la parità di opportunità è un obiettivo da raggiungere.

    Le recensioni di libri, ad esempio, ancora oggi tendono a ignorare la scrittura femminile. Un rapporto di The Bookseller (2022) ha rivelato che solo il 28% delle recensioni letterarie riguarda opere scritte da donne, nonostante la lettura sia un’attività che coinvolge principalmente il pubblico femminile.

    IL CAMMINO NON SI FERMA

    Eppure, la lotta delle donne nell’editoria e nel mondo della cultura è il riflesso di una battaglia più grande: quella per l’uguaglianza, per una visibilità che vada oltre il semplice “giorno della festa”. Non siamo mai state invisibili, ma finalmente stiamo reclamando la nostra voce con forza. E in questo cammino, ogni passo che facciamo è un passo che lascia il segno, per noi e per tutte le generazioni future.

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