«Sono stato colpito mentre fuggivo, un cecchino mi ha preso alla schiena. Sono vivo, ma altri no. Sono tornati nelle sacche per cadaveri». Quella che avviene a Gaza è la sadica rappresentazione di un percorso a ostacoli, dove le persone sono pedine umane intrappolate in un tragico limbo tra la vita e la morte, in cui la distribuzione dei beni alimentari si trasforma in una sadica caccia all’uomo.
A finire sotto il mirino dei droni israeliani, questa volta, sono dieci persone — tra cui sei bambini — mentre si trovavano in fila presso un centro di distribuzione dell’acqua. L’IDF parla di “errore tecnico”.
La sete del popolo palestinese
A Gaza l’acqua è diventata un lusso. I palestinesi sono costretti a camminare per ore sotto il sole cocente del Medio Oriente, tra deserti e macerie, attendendo di ricevere aiuti umanitari e alimentari, tra cui l’acqua, che — in un contesto impoverito dalle atrocità della guerra — sembra essere diventata la vera ricchezza di chi non ha più nulla.
A testimoniare quanto avvenuto nelle ultime ore è l’Associated Press. Oltre 30 persone, tra cui 20 bambini, erano in fila con le loro taniche di plastica in mano, mentre cercavano di raccogliere l’acqua presso un punto di distribuzione nel campo profughi di Nuseirat.
I palestinesi, infatti, per dissetarsi devono percorrere diversi chilometri: i centri di distribuzione sono spesso lontani, alcuni sono già stati colpiti da raid israeliani, altri vengono utilizzati come basi militari dai miliziani di Hamas che — va specificato — in questi mesi non si sono fatti scrupoli nel trascurare la sicurezza della sua popolazione civile, che pure affermano di rappresentare nella resistenza. Anzi, Hamas non ha fatto nulla per migliorare le condizioni umanitarie della sua gente.
“L’errore tecnico” e i sei morti
Fatto sta che, mentre queste persone si trovavano in fila per raccogliere l’acqua, un drone israeliano avrebbe colpito il gruppo, provocando un fuggi fuggi generale che non ha comunque risparmiato dieci persone, tra cui sei bambini. «C’è stato un malfunzionamento tecnico del proiettile: questo ha colpito a decine di metri di distanza dall’obiettivo designato», ha dichiarato l’IDF dopo l’accaduto, sostenendo che il bersaglio avrebbe dovuto essere un miliziano della Jihad islamica palestinese.
Tuttavia, errori di questo tipo non sono nuovi per l’esercito israeliano. Anzi, non sarebbe scorretto affermare che colpire il bersaglio sbagliato sia ormai diventata una consuetudine tra le fila dell’IDF.
La mattanza dei bambini
Il diritto internazionale — quello dei diritti umani e quello umanitario, regolato dalle Convenzioni di Ginevra — stabilisce le modalità con cui dovrebbe essere condotto un conflitto e, soprattutto, come la popolazione civile debba essere tutelata durante le fasi di guerra. Ma a Gaza questi principi sembrano aver perso ogni applicazione concreta e ogni senso pratico. La comunità internazionale, infatti, pone una tutela rafforzata sui minori, riconoscendoli come soggetti più vulnerabili e maggiormente esposti ai pericoli rispetto agli adulti.
Eppure, è proprio sui bambini che si è abbattuta la violenza più cieca. Secondo le ultime stime — almeno quelle fornite da Hamas – dal 7 ottobre sarebbero oltre 18.000 i minori uccisi dall’esercito israeliano, tra bambini e adolescenti. Di questi, 15.600 sono stati identificati ufficialmente. Se si prendono in considerazione invece i dati dell’UNICEF, il numero dei minori feriti supera le 50.000 unità.
Un dato che va necessariamente letto a ribasso, perché molti corpi giacciono ancora sotto le macerie e di altri, molto semplicemente, non è rimasto nulla. Il bilancio reale delle vittime potrà forse essere conosciuto solo alla fine della guerra — ammesso che vi siano ancora i mezzi, le strutture e le condizioni per contare e raccogliere ciò che rimane della Striscia.
In conclusione
Le trattative in corso a Doha restano in uno stato di stallo. Le autorità israeliane e Hamas non riescono a trovare un accordo, nonostante la mediazione internazionale, inclusa quella del presidente Trump, il quale ha tentato di intervenire sulla la mappatura delle truppe dell’IDF in vista di una possibile tregua.
Nel frattempo, a Gaza, la popolazione civile è appesa alle lancette del tempo: più passa, più sangue viene versato. Un accordo tra i due attori— per quanto fragile — rappresenta, al momento, l’unica via percorribile per garantire una tregua almeno umanitaria, che consenta l’accesso agli aiuti e sospenda temporaneamente e ostilità.
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