L’agrivoltaico permette di utilizzare il terreno sia per produrre energia fotovoltaica, grazie all’installazione di pannelli solari sopraelevati, che per realizzare attività agricole e di allevamento. Per alcuni si tratta di una soluzione in grado di traghettare la transizione energetica verso fonti di energia rinnovabile, massimizzare lo spazio a disposizione e tutelare la biodiversità, oltreché garantire una diversificazione delle fonti di reddito agricolo. Per altri, invece, l’agrivoltaico può anche rappresentare un sistema non completamente privo di effetti negativi, anche irreversibili.
Dal Ministero dell’Ambiente una nuova deadline per gli impanti
In Italia cresce sempre di più l’attenzione sull’agrivoltaico. Secondo i dati ministeriali, su 153 pareri di VIA per progetti agrivoltaici rilasciati nell’ultimo semestre 2024, il 78% risulta essere positivo. I primi studi effettuati sul campo confermano i benefici per le coltivazioni: la vite coltivata al di sotto degli impianti agrovoltaici, ad esempio, risulta più produttiva del 15-30%. Per il pomodoro si è osservata una riduzione dei consumi idrici fino al 65%, mentre le colture foraggere hanno registrato incrementi di resa fino al 40%.
I dati raccolti da Value4farm dimostrano un aumento di efficienza nell’uso dell’acqua del 15%, mentre i giorni di stress idrico si riducono del 60%. Nonostante questi dati confortanti, nel mese di giugno 2025 si è registrata un’inversione di tendenza: il MASE ha cambiato atteggiamento, fermando numerose iniziative senza possibilità di integrazione documentale, per un totale di 833,89 MW.
A sostegno della misura, risulta però un importante stanziamento previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pari a 1,7 miliardi per installare simili tecnologie per una potenza complessiva nuova di 1,04 GW e una produzione di almeno 1.300 GWh/anno entro il 30 giugno 2026. Quest’ultima sarebbe la nuova data limite stabilita dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica per ottenere un contributo in conto capitale – a fondo perduto – nella misura massima del 40% dei costi ammissibili, abbinato a una tariffa incentivante sulla quota di energia elettrica netta immessa in rete; tali incentivi verranno erogati per un periodo di 20 anni.
I rischi dell’agrivoltaico selvaggio
Tuttavia, senza una regolazione adeguata in grado di valutare nel dettaglio i singoli progetti, le ripercussioni del ricorso ad un agrivoltaico selvaggio potrebbero essere gravi, soprattutto considerando la delicatezza e le peculiarità agricole di determinati territori, come ha sottolineato il Presidente della Provincia di Lodi, Fabrizio Santantonio, nel seminario organizzato da Legambiente in tema di agrivoltaico. Santantonio ha anche fatto presente che nell’ultimo anno sono stati approvati ben 19 impianti che andranno ad occupare oltre un milione di metri quadri di sola campagna lodigiana.
In generale, gli impatti ambientali non mitigabili potrebbero essere molteplici: la trasformazione irreversibile del paesaggio, la perdita di habitat naturale, l’incompatibilità con i contesti agricoli. Ed è assolutamente doveroso considerare anche i possibili conflitti di utilizzo del terreno, soprattutto nelle Regioni dove la disponibilità è già limitata, come ha dimostrato il caso Sardegna.
Gli attivisti sostengono sia necessario evitare l’adozione di linee guida standard nazionali e procedere, invece, valutando caso per caso.
La soluzione: il dialogo
Si tratta di una misura strettamente connessa alle peculiarità di un territorio. Pertanto, risulta indispensabile adottare una normativa specifica che tenga conto di biodiversità, paesaggio e sicurezza, oltreché profitto economico ed efficienza, molteplici istanze che possono essere giuridicamente tradotte solo attraverso la collaborazione tra istituzioni, agronomi, imprese agricole e stakeholder di settore.
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