Tramite una recente circolare, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha emesso alcune linee guida per garantire il diritto all’affettività e alla sessualità all’interno delle carceri. Non si tratta semplicemente di un gesto di umanità: mantenere le relazioni affettive è un aspetto cruciale nel processo di reinserimento sociale.
Cosa prevede la circolare
L’11 aprile 2025, Lina Di Domenico, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha pubblicato le linee guida relative alla Sentenza n. 10/2024 della Corte Costituzionale, focalizzandosi sull’importanza dell’affettività all’interno degli istituti penitenziari. Quest’ultima sentenza aveva dichiarato illegittimo il divieto assoluto di affettività in carcere, stante l’obbligo di controllo a vista durante i colloqui intimi, fornendo così un punto di vista differente dal canonico modello punitivo.
Il dipartimento ha individuato anzitutto le modalità di svolgimento degli stessi, specificando che “sia senza dubbio quello dei colloqui intramurari l’alveo nel quale va ricondotta giuridicamente la fattispecie dei colloqui intimi”, trovando “applicazione le disposizioni operative contenute nell’articolo 37 del Regolamento di esecuzione di cui al D.P.R. 230/2000, con ovvia esclusione di quelle incompatibili con l’assenza di controllo visivo sul colloquio”.
La circolare in oggetto si occupa altresì di stabilire i tempi degli incontri specificando che questi avranno durata massima di due ore, svolgendosi senza controllo visivo “quando, tenuto conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.”
Chi ne può usufruire?
I beneficiari identificati comprendono il coniuge, il partner nell’unione civile o la persona convivente con il detenuto. Dalla circolare emergono anche i dati del 2024, i quali rivelano che oltre 22.500 detenuti hanno avuto accesso ai colloqui in presenza. La mancanza di spazi idonei non consentirà a tutti di poterne beneficiare, ragion per cui si procederà stilando dei criteri di selezione nei confronti dei “detenuti che non beneficiano di permessi premio, né di altri benefici penitenziari che consentano di coltivare i rapporti affettivi all’esterno; – ai detenuti, compresi gli imputati, che a parità di condizioni con altri devono espiare pene più lunghe e che sono in stato di privazione della libertà da più tempo.”
La pronuncia della Consulta
La circolare è stata elaborata in risposta alla pronuncia della Consulta che, con la sentenza n. 10/2024, ha evidenziato come l’obbligo di controllo a vista durante i colloqui familiari, oltre che lesivo della libertà del soggetto, costituisca una violazione della dignità e una compressione ingiustificata del diritto all’intimità.
Con tale pronuncia, la Corte ha accolto la questione sollevata, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354. In particolare, la Corte ha evidenziato che “la norma impugnata non prevede la possibilità, per le persone detenute, di svolgere colloqui con il coniuge, il partner dell’unione civile o la persona con cui convivono stabilmente, senza la supervisione diretta del personale di custodia, nel caso in cui, considerando il comportamento del detenuto in carcere, non vi siano motivi di sicurezza o necessità di mantenere ordine e disciplina, né, per quanto riguarda l’imputato, ragioni di carattere giudiziario.” La Corte prosegue stabilendo che “la norma censurata, nel prescrivere in modo inderogabile il controllo a vista sui colloqui del detenuto, gli impedisce di fatto di esprimere l’affettività con le persone a lui stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza.”
Un grande passo in avanti in termini di finalità rieducativa, che porta la Consulta a concludere asserendo che “la prescrizione del controllo a vista sullo svolgimento del colloquio del detenuto con le persone a lui legate da stabile relazione affettiva, in quanto disposta in termini assoluti e inderogabili, si risolve in una compressione sproporzionata e in un sacrificio irragionevole della dignità della persona, quindi in una violazione dell’art. 3 Cost., sempre che, tenuto conto del comportamento del detenuto in carcere, non ricorrano in concreto ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né sussistano, rispetto all’imputato, specifiche finalità giudiziarie”.
Le cause di esclusione senza il controllo visivo
Nella circolare è inoltre sancito che, nel “caso di condotta irregolare oggetto di pregressi rilievi disciplinari, la Direzione dovrà valutare se la stessa sia indicativa di un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico” mentre, “nel caso di detenuti nei cui confronti siano stati redatti rapporti disciplinari indicativi di rischi per lo svolgimento dei colloqui riservati elevati negli ultimi sei mesi o nel caso di detenuti trasferiti per motivi di sicurezza, l’autorizzazione al colloquio potrà avvenire decorso un periodo di osservazione non inferiore a sei mesi, in ragione della gravità della condotta”.
Vi sono anche casi in cui l’autorizzazione al colloquio può non essere concessa: è questo il caso di tutte quelle situazioni riportate in merito alla irregolarità della condotta, dalle quali si evince che “in ogni caso, l’autorizzazione al colloquio intimo potrà essere negata nell’ipotesi di detenzione di sostanze stupefacenti e/o rinvenimento, ascritto al detenuto richiedente, di cellulari, di oggetti atti ad offendere o il cui possesso non è consentito, ovvero nell’ipotesi di partecipazione a disordini o condotte connotate da atti di violenza fisica nonché di condotte in grado di incidere potenzialmente sui rischi connessi ad un colloquio privo di controllo visivo.” La sentenza della Corte esclude, infine, dalla sua applicabilità i detenuti sottoposti a regimi detentivi speciali di cui agli art. 41 bis O.P. E 14 bis O.P. per “ragioni di sicurezza, e/o mantenimento dell’ordine e disciplina.”
Gestione dei locali da destinare ai colloqui
Uno dei principali ostacoli al riconoscimento del diritto all’affettività in carcere è di tipo strutturale. La maggior parte degli istituti penitenziari italiani non dispone di spazi riservati e dignitosi per permettere ai detenuti di vivere momenti privati con i propri cari. Le sale colloqui sono spesso affollate, rumorose, prive di intimità.
In molti casi, i colloqui si svolgono dietro ad un vetro o sotto la sorveglianza costante degli agenti, rendendo impossibile anche un semplice gesto di affetto. La Corte ha evidenziato una reale difficoltà nel fronteggiare questa problematica stabilendo che “per garantire il corretto svolgimento dei colloqui intimi, i locali individuati dovranno essere dotati di una camera arredata con un letto e annessi servizi igienici.”
Libertà e pene rieducative
Quando si parla di carcere, è facile focalizzarsi sulla pena, sulla sicurezza e sulla giustizia. Tuttavia, dietro le sbarre ci sono individui, persone che, pur avendo commesso errori, anche gravi, continuano a provare amore e a mantenere legami affettivi. Eppure, in molte prigioni italiane, l’affettività rimane spesso un diritto negato o trascurato.
Essere in carcere significa perdere la libertà, ma ciò non dovrebbe sopprimere la possibilità di mantenere vivi i propri legami familiari e affettivi. La legge lo dice chiaramente: la pena deve servire a rieducare, non a distruggere chi la subisce. Parlare di affettività in carcere non significa giustificare chi ha sbagliato, né sminuire la sofferenza delle vittime, ma ricordare che la civiltà di uno Stato si misura anche da come tratta chi ha perso tutto, persino la libertà.
Le carceri, spesso trasformate in galere, sono lo specchio della nostra società, e Voltaire lo aveva capito bene quando asserì “non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”.
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