spot_img
Altro
    HomeItaliaAnche quest’anno la scuola disterà anni luce dai giovani

    Anche quest’anno la scuola disterà anni luce dai giovani

    Pubblicato il

    spot_img

    Lo chiariamo subito senza tanti giri di parole: l’istruzione pubblica italiana vanta un curriculum costellato da fallimenti e mediocrità che si allunga a dismisura da trent’anni a questa parte. Fallimenti e mediocrità non visibili soltanto per chi nasconde la testa sotto la sabbia. Lungi dall’imputare le suddette criticità a una sola fazione politica, la speranza è quella di catalizzare l’opinione pubblica su un assioma tanto semplice quanto sottovalutato: un Paese che non investe sulle nuove generazioni e sulle loro potenzialità ha le ore contate. È destinato quindi a morte certa.

    Per l’istruzione solo il 4,1% del PIL 

    Partiamo dalle basi: l’Italia è l’unico Paese dell’eurozona che spende per interessi sul debito pubblico la stessa cifra che spende per l’istruzione. La realtà sembra confermare queste percentuali: l’educazione fa rima con edifici fatiscenti, classi sovraffollate ed enorme dilettantismo nella gestione delle pratiche amministrative. Possiamo poi proseguire stilando un climax ascendente il cui limite ultimo è davvero difficile da definire: nel 2022 il 60,7% degli italiani sopra i 6 anni non ha letto un libro che non fosse scolastico o relativo al proprio lavoro; il peggior dato registrato negli ultimi vent’anni.  Un terzo dei Comuni italiani non possiede una biblioteca. Abruzzo, Molise, Calabria e Basilicata le regioni più sprovviste. Data la mancanza di strutture aggregative, seguono enormi conseguenze sul piano personale: tra queste anzitutto l’emarginazione

    In aggiunta, Eurostat calcola che nel 2022 l’11,5% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni abbia lasciato la scuola prima del tempo fissato per legge, senza conseguire alcun titolo professionalizzante. Ai dati riguardanti la dispersione scolastica intesa in senso stretto, vanno poi aggiunti quelli concernenti la dispersione implicita, che ferisce chi conclude un ciclo di studi senza raggiungere le competenze necessarie. Un fenomeno, quest’ultimo, acuito dalla didattica a distanza e tutt’oggi dilagante. Non a caso, secondo i dati estrapolati dal test Invalsi 2023, abilità basilari come fare calcoli e comprendere quel che si legge non sono state raggiunte da circa la metà degli studenti italiani. Più che evidenti le carenze culturali in materie come lingua italiana e matematica. Degno di nota è anche l’analfabetismo di ritorno che, viste queste condizioni, è praticamente dietro l’angolo. Ma nulla di cui preoccuparsi, secondo Palazzo Chigi. 

    Periodo difficile anche per le famiglie con figli con disabilità e bisogni educativi speciali: la carenza di insegnanti di sostegno è difatti cronica e l’inclusione scolastica è sempre più a rischio. 

    Inoltre, al rientro delle scuole, oltre alla campanella, a suonare è anche una triste considerazione: “Il Ministero è in ritardo con le nomine”. Lo stesso Ministero che pare sordo al grande frastuono dei precari, i cui numeri sono stati reputati “gonfiati”: sorvolando bellamente sugli oltre 64.000 posti vacanti nelle scuole italiane, quest’ultimo ha recentemente deciso di limitare le nuove assunzioni a 45.000 unità. Ma non solo: ha anche introdotto l’obbligatorietà dei corsi abilitanti – validi per l’ottenimento di 60 crediti formativi universitari e per accedere ai concorsi e alle graduatorie – il tutto alla modica cifra di 2.000€. A detta delle molte sigle sindacali in protesta, un Ministero ‘rimandato a settembre’.

    Qui, però, entra in gioco la politica: nell’incuranza più totale della pressione esercitata dal basso – da chi, quotidianamente, vive la scuola e tutte le sue criticità – vengono promosse riforme su riforme, i cui benefici paiono spesso più teorici che effettivi. Un esempio? L’introduzione della ‘geostoria’ come materia per il biennio delle scuole secondarie di secondo grado: voluta dalla Riforma Gelmini, quest’ultima ha dovuto fare i conti con non poche difficoltà, prima tra tutte la mera giustapposizione di due materie – storia e geografia – che il senso comune intende ben distinte tra loro. Come se non bastasse un simile grado di superficialità nel trattare i programmi didattici, i docenti – data l’aridità delle ore (3 settimanali) gentilmente messe a disposizione – hanno preferito concentrare i propri sforzi sul lato storico, a discapito di quello prettamente geografico. A farne le spese sono stati gli studenti, confusi e disorientati in entrambi gli ambiti disciplinari. Confusi e disorientati anche perché, fin dalle scuole elementari, questi si confrontano con il mondo esclusivamente per mezzo del punto di vista più ‘interessante’- quello occidentale e settentrionale – quasi come a dire che la conoscenza è questione di appeal o di profitto. Il risultato? L’Italia approfondita soltanto a metà, il Medio Oriente subordinato al Mediteranno, la titubanza nell’indicare i capoluoghi di Regione e le capitali straniere. Che sia colpa dei dinosauri inseriti nel programma della terza elementare? Il bilancio, comunque, non è positivo nemmeno nel ciclo di studi successivo: eventi storici contemporanei come la Guerra del Golfo, nel migliore dei casi, divengono di dominio pubblico grazie ai social. “L’ho sentito su TikTokil nuovo mantra dominante.

    Capire a fondo

    Le disgrazie non finiscono qui: associare il fallimento dell’istruzione pubblica a una mera questione sistemica e infrastrutturale è infatti fuorviante. La scuola sta fallendo per molti altri motivi, ma andiamo con ordine. Il Report Istat 2023 evidenzia la preminenza dello status economico–sociale della famiglia d’origine sul percorso scolastico dei rispettivi figli; da qui si capisce la povertà educativa come fattore ereditario. La retorica della cultura come ascensore sociale è dunque propria del secolo passato. Oggi, intraprendere un percorso scolastico non garantisce più le stesse opportunità di miglioramento della propria condizione sociale come in precedenza. 

    Complice la negligenza del corpo docente e la rigidità dei programmi, l’impostazione odierna è tutto fuorché vicina alle nuove generazioni. In nessun modo, infatti, promuove attivamente lo spirito critico, nonché il porsi aldilà di schemi fissi e stabiliti a priori. Per contro, quest’ultima incanala gli studenti su binari lineari e unidirezionali, esacerbando una soluzione dettata dall’alto come panacea a tutti i mali. Esalta la perfezione e insegna a mantenere silenziosamente la riga dell’ordine. E qualora quest’ultima direttiva dovesse fallire, interviene imponendo la normalità statistica come etichetta cui doversi necessariamente conformare.

    Con la stessa enfasi, corrobora l’idea che la cultura debba soggiogarsi alle esigenze fluttuanti del mercato; ovunque sia possibile interviene chirurgicamente con aghi e bisturi. Inserisce l’alternanza scuola – lavoro così da abituare le nuove leve ai futuri anni di precariato. Riduce il ciclo di studi di alcuni ordini della scuola secondaria di secondo grado – da cinque a quattro anni, come nel caso statunitense – sbandierando un monte ore giornaliero che farebbe sudare freddo un qualsiasi dipendente della pubblica amministrazione (Checco Zalone docet). Approva tutte le curvature didattiche possibili e immaginabili, anche nel caso in cui manchino non solo gli “strumenti del mestiere”, bensì anche l’inventiva. Ne consegue una scuola–azienda i cui capisaldi imprescindibili sono velocità e efficienza. Tutto bene fino a quando, con grande sorpresa, ci si accorge che quantità non equivale necessariamente a qualità. Che sia forse necessario un lavoro certosino prima di deliberare importanti decisioni? 

    Insomma, se fino a poco tempo fa licei come il Carducci di Milano o il Tasso di Roma diplomavano la ‘futura classe dirigente’, oggi invece ne esce una generazione sconnessa da un mondo sempre più globalizzato, impreparata a contrastare le sfide del presente; una generazione di analfabeti funzionali. La stessa generazione cui viene negata la possibilità di modellare il piano studi assecondando i propri interessi: con estrema semplificazione, possiamo infatti dedurre che gli insegnamenti previsti dal nostro ordinamento risultano stagnanti; escludendo rarissime eccezioni, mancano completamente moduli quali educazione digitale, ambientale, finanziaria e sessuo–affettiva.

    Un cambiamento doveroso

    Questa carrellata tragicomica – più tragica che comica – potrebbe proseguire ancora a lungo, ma quanto detto fin qui è indicativo dello stato di estremo disagio in cui riversa l’istruzione pubblica italiana. Attenzione però: chi non avverte un’infezione causata da dinamiche e procedure virali come quelle poc’anzi menzionate, chi non si sente vittima del sistema, si sbaglia di grosso. La scuola, difatti, fallisce anche con i cosiddetti ‘eccellenti’, ossia studenti particolarmente dotati. A tal proposito, le conseguenze sono se possibile ancora più drammatiche: riduce il valore di una persona ad un quarto d’ora di ribalta pubblica, instilla il timore di non essere e di non fare mai abbastanza, dà ad intendere che la produttività sia l’unico contributo che si può dare alla società. Ma, soprattutto, non riesce a veicolare l’importanza della formazione continua come fonte inesauribile di prosperità. Tutto questo salvo poi condannare alla gogna pubblica tutti coloro che, ogni anno, lasciano il nostro Paese per fare esperienza all’estero. 

    Considerato un simile grado di arretratezza, riuscire a riportare al centro la persona e tutte le sue sfaccettature, nutrire la curiosità e conferire alla salute mentale il giusto peso che le spetta sarebbe quanto meno un buon inizio. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: quanto tempo dovremo ancora attendere per vedere concretizzato ogni singolo passaggio? 

    Articoli recenti

    Decaro scioglie la riserva e sarà il candidato del centrosinistra in Puglia

    Arriva l’ufficialità per la candidatura di Antonio Decaro alla presidenza della Regione Puglia, dopo...

    Diffusione non consensuale di immagini: la tutela delle vittime

    Negli ultimi mesi è emerso un inquietante fenomeno legato alla diffusione online di immagini...

    I volenterosi riuniti a Parigi. Meloni contraria all’invio di truppe in Ucraina

    Dopo il vertice di agosto, giovedì 4 settembre c’è stato un nuovo incontro a...

    Punire non basta: il paradosso del carcere e dell’isolamento

    Le mura, le sbarre e le celle sono la traduzione materiale di un’idea politica...