La leggenda popolare vuole che il vischio, rivisto in chiave simbolica, sia simbolo di felicità, fortuna e protezione, in particolare quando i suoi rami vengono appesi all’interno delle abitazioni durante le festività natalizie. Un vischio, un desiderio da esprimere: così recita la prassi. Giocando con la fantasia, potremmo ipotizzare che l’auspicio tradizionalmente correlato all’arbusto semiparassita di cui stiamo trattando si sia reincarnato nel discorso di fine anno tenuto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Tra i temi toccati, anzitutto i giovani e la spinosa quotidianità che vede questi ultimi in balia di un nocchiere la cui noncuranza è diametralmente opposta alla solerzia con cui Caronte traghettava i dannati verso l’Inferno prospettato da Dante.
Mancanza di innovazione
“A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina”: questa la citazione solitamente attribuita a Giulio Andreotti, uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana, partito protagonista della vita politica del nostro Paese fino al 1994, anno della dissoluzione della Prima Repubblica. Benché la suddetta frase appartenga in realtà a papa Pio XI, che la espresse nei seguenti termini “A pensare male del prossimo si fa peccato ma si indovina”, esistono buone probabilità che il concetto di fondo possa adattarsi ai tempi correnti. Il motivo è presto detto: la lista dei problemi che affliggono l’Italia è nota – immobilità sociale, disoccupazione e precarietà giovanile, bassa natalità, evasione fiscale, scarsa digitalizzazione, carenza di infrastrutture e via discorrendo – ma altrettanto noto è quel limbo che sembra dominare la scena pubblica ogniqualvolta si tenti, a vario titolo, di porre rimedio.
Quanto detto poc’anzi ricorda la desolazione presente in La meglio gioventù, film in cui un professore consiglia ad uno studente durante un esame di lasciare l’Italia, “un Paese da distruggere: un posto bello e inutile, destinato a morire”, ammettendo così di essere parte integrante di quella casta contro cui sarebbe opportuno scagliarsi. Il punto su cui riflettere è che la pellicola rappresenta 37 anni di storia italiana, più nello specifico l’arco temporale compreso tra il 1966 e il 2003. Trentasette anni in cui la rapidità con cui a Palazzo Chigi si cambiava inquilino fu diametralmente opposta alla staticità in cui versava – e versa tuttora – buona parte della società.
L’instabilità come marchio di fabbrica
Per dovere di cronaca, va detto che negli ultimi 78 anni abbiamo conosciuto la bellezza di 68 Governi. Un’enormità bandita al di là delle Alpi, il cui unico merito sta nell’avere coperto l’intera gamma dei colori presenti in natura, ma che a ben guardare non sorprende, considerando che nessun esecutivo è mai sopravvissuto quanto una legislatura, vale a dire 5 anni; il più longevo è stato il Berlusconi II, durato comunque meno di quattro anni. Di qui una profonda instabilità politica e amministrativa le cui conseguenze, oltre a pesare come macigni sulle vite della gente comune, hanno letteralmente infranto sul nascere alcuni passaggi fondamentali per l’avvenire. Stiamo parlando di riforme tese a far progredire comparti quali sanità, giustizia e scuola, ma soprattutto le prospettive delle nuove generazioni.
I giovani e il 2025
Proprio queste ultime sono state oggetto della rilevazione di fine anno dell’Indice di Fiducia, lo strumento utilizzato dal Consiglio Nazionale dei Giovani per analizzare, con il supporto scientifico dell’Istituto Piepoli, l’evoluzione delle aspettative e dei sentimenti dei più giovani. Il risultato ottenuto mostra un quadro altalenante, denso di sfide ma anche di opportunità: il 55% dei giovani si dichiara ottimista rispetto al nuovo anno. Le ragioni di tale positività vanno anzitutto ricercate nei dati ISTAT, la cui rilevazione effettuata nel mese di ottobre 2024 evidenzia come il tasso di disoccupazione sia sceso al 5,8%, quello giovanile al 17,7%. “Dati incoraggianti”, chiosa il Governo.
A fare da contraltare all’iniezione di speranza mista ad ingenuità, la Presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani, Maria Cristina Pisani, che prosegue così: “il picco dei sentimenti positivi si è registrato in estate, ma con il passare dei mesi abbiamo osservato un calo della speranza, con un aumento di amarezza e preoccupazione legate a tensioni internazionali e difficoltà economiche”. Malgrado le difficoltà, spicca comunque una certa capacità di resilienza, la stessa da cui discende il desiderio di vedere migliorate le opportunità lavorative a disposizione, la propria salute e le relazioni sociali. Tirando le fila di quanto detto finora, emerge un asse particolarmente sbilanciato: considerevole l’impegno profuso – e potenzialmente tale – dai giovani per migliorare quanto in essere, ancora in fase di elaborazione il responso da parte delle istituzioni, impegnate da tempo nel fornire efficacia sia materiale che comunicativa. Si veda la citazione di Andreotti per giudicare i risultati ravvisabili in ambedue le casistiche.
L’interventismo
Se è vero che i giovani costituiscono “la grande risorsa del nostro Paese”, allora la classe dirigente preposta alle principali piattaforme politiche dovrà quanto prima convenire nelle sedi opportune e riferire circa la pubblicazione del report “Demografia e forza lavoro” curato da Alessandro Rosina, consigliere del CNEL. Sfogliando le oltre 80 pagine dello stesso, si apprende che negli ultimi 20 anni il numero di occupati sotto i 35 anni è diminuito di oltre 2 milioni di unità – da 7,6 milioni nel terzo trimestre 2004 a 5,4 milioni nel terzo trimestre 2024 – mentre è raddoppiato il numero dei lavoratori di età compresa tra i 50 e i 64 anni, passati dunque da 4,5 milioni a 8,9 milioni.
Questa preoccupante parabola è con ogni probabilità dovuta all’invecchiamento della popolazione e al calo del tasso di natalità. Interessante, però, notare non solo il fatto che di questi dati non ci si curi minimamente, se non per esigue parentesi, prima tra tutti la nota pubblicata da Ferruccio De Bortoli, bensì soprattutto il grado di totale inconoscibilità che avvolge il CNEL stesso, oggi presieduto da Renato Brunetta. Dunque, se in un primo momento l’asse generazionale partiva sbilanciato, allo stato quest’ultimo si è completamente rotto: giovani che indicano ai veterani che cosa è – e dovrebbe essere – meritevole di attenzione.
Le proposte
Riprendendo le parole del Presidente Mattarella, “abbiamo il dovere di ascoltare il loro disagio, di dare risposte concrete alle loro esigenze, alle loro aspirazioni”, è giunto il momento di dare voce a quelle che sono le richieste dei più giovani; richieste solide e concrete, prive di ingenui entusiasmi. Lo facciamo prendendo spunto dal Piano Nazionale Giovani 2025, frutto del lavoro congiunto del Consiglio di Presidenza, delle Commissioni tematiche, dell’Ufficio Legislativo e del Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Giovani.
In esso sono contenute proposte di policy emerse a seguito di attività di ascolto, raccolta di istanze, nonché valutazioni e studi delle precedenti manovre economiche, distribuite su otto aree tematiche: lavoro; istruzione, formazione e orientamento; famiglia, sostenibilità sociale e pari opportunità; duplice transizione – ambiente e agricoltura; cultura e turismo; cittadinanza attiva e servizio civile; sport e salute; cittadinanza europea e cooperazione internazionale.
Il quadro che ne discende dovrebbe essere indicativo dell’estrema necessità di output multisettoriali, olisticamente connessi fra loro e caratterizzati da un’unica visione orientata verso il futuro. Di seguito alcuni dei molti interventi raccomandati al legislatore: estensione degli incentivi per l’assunzione di giovani lavoratori; introduzione di misure volte a rendere effettivo il diritto alla casa; parificazione dei congedi di paternità e maternità; rafforzamento delle condizioni lavorative dei giovani nel settore turismo e cultura; promozione e sensibilizzazione al tema dei disturbi alimentari; potenziamento dell’esperienza del servizio civile; valorizzazione delle aree rurali e interne.
Tantissimi fronti attivi e un bivio rispetto a cui è necessario prendere posizione: interventismo oppure pressappochismo? La speranza è che quanto detto sopra possa trovare ospitalità nell’agenda politica di quanti saranno disposti ad interrompere quella rotta densa di manchevolezze e soprusi che ci ha tragicamente consegnato un’Italia sempre più anziana.
A cura di
Fiammetta Freggiaro – Vicedirettrice editoriale vicaria
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