Arlind Qori, una figura di spicco nella politica e nell’accademia albanese. Qori è un attivista noto del movimento BASHKË e, dal dicembre 2022, ricopre il ruolo di presidente del movimento.
Oltre al suo impegno politico, è anche docente presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Tirana. In questa intervista, discuteremo della sua visione per il futuro politico dell’Albania e del ruolo del movimento BASHKË nella scena attuale.
Qual è la missione principale del vostro movimento “Bashkë” e quali sono le figure politiche che hanno maggiormente ispirato il vostro percorso?
Il movimento BASHKË – letteralmente “INSIEME” – ha come obiettivo principale quello di stabilire la giustizia sociale in Albania, una meta che può essere raggiunta attraverso la creazione di uno stato di diritto, sociale e sviluppista da un lato, e di una società attiva nella vita democratica del Paese dall’altro.
La mia principale fonte di ispirazione non sono le figure politiche, ma le persone comuni che nella loro quotidianità lottano per un po’ di giustizia. L’attivismo in questi anni mi ha portato a conoscere minatori, lavoratori del settore petrolifero, studenti e pensionati in protesta, professionisti della classe media, ecc. – migliaia di concittadini che, ciascuno con il proprio contributo individuale e tutti insieme collettivamente, continuano a ispirarmi.
Come professore, come descriverebbe la situazione attuale degli studenti universitari nelle varie facoltà albanesi? Secondo lei, quali sono le principali sfide che devono affrontare?
Purtroppo, le università in Albania stanno attraversando la crisi più profonda delle ultime decadi. La maggior parte dei corsi di laurea non ha un numero sufficiente di studenti, mentre quei pochi che ancora riscuotono successo (come medicina, ingegneria informatica, ecc.) servono principalmente a formare professionisti che il giorno dopo la laurea lasceranno l’Albania.
Questo è il risultato di una riforma distruttiva dell’istruzione superiore (anno 2015), che ha portato all’insicurezza finanziaria delle università pubbliche e alla scomparsa della democrazia interna. Inoltre, incide anche il contesto economico e sociale generale in Albania, dove si sta rafforzando l’idea che l’istruzione non sia più un mezzo per avanzare nella vita.
Le vostre ultime proteste si sono concentrate sui pensionati. Quali sono le vostre proposte per affrontare il problema delle pensioni in Albania?
Il movimento BASHKË chiede l’introduzione di uno standard per il minimo vitale (calcolato intorno ai 200 euro) come base per la pensione minima e l’aumento di tutte le altre pensioni in base agli anni e all’importo dei contributi versati.
Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso una lotta radicale contro la corruzione, l’evasione fiscale e il lavoro informale, da un lato, promuovendo uno sviluppo economico sostenibile.
Siete l’unica voce che parla apertamente dei sindacati. Qual è la situazione attuale dei sindacati in Albania?
La situazione è molto grave. In Albania ci sono sindacati vecchi, completamente corrotti e che non rappresentano alcun lavoratore; ci sono anche sindacati nuovi, ma sono pochi e fragili, costantemente sotto attacco da parte dello Stato e di alcuni imprenditori irresponsabili.
Non possono esistere diritti sul lavoro, una vita dignitosa e una vera democrazia politica se i lavoratori non hanno il diritto e la possibilità di organizzarsi sindacalmente. Per questo, con orgoglio, affermo che la questione dei diritti sul lavoro e della libertà di organizzazione sindacale è una delle colonne portanti della visione e dell’azione del movimento BASHKË.
Cosa l’ha spinta a entrare in politica? La sorprende il fatto che, tra i nuovi partiti, sia l’unico a rappresentare una visione di sinistra?
Ho iniziato a occuparmi di politica perché non sopportavo più la contraddizione tra le lezioni sul concetto di giustizia e di stato ben ordinato – come docente di Storia del Pensiero Politico, questi sono due dei concetti che cerco di sviluppare filosoficamente con i miei studenti – e il fatto che, prima del 2011, non facevo nulla pubblicamente per vivere secondo questi alti standard morali. L’evento del 21 gennaio 2011 mi ha profondamente scosso: un governo che uccideva quattro manifestanti in piazza e un’opposizione che, ogni giorno, mese e anno successivo, tradiva le ragioni che avevano spinto le persone a protestare.
Per quanto riguarda la sinistra, apparteniamo con orgoglio a quella che può essere definita ideologicamente la sinistra democratica. In un panorama politico in cui nessuno parla di idee, ma tutti si aggrappano a populismi del tipo “parla di tutto e del contrario di tutto”, posso dire con certezza che il movimento BASHKË “mangia il pane da solo”, ovvero si mantiene coerente e indipendente.
Lei sottolinea spesso le difficoltà dei lavoratori. Qual è la sua posizione sulla disuguaglianza economica in Albania e quali strategie propone per ridurla?
Il Codice del Lavoro è la legge meno applicata in tutto il sistema legislativo albanese. D’altra parte, i lavoratori albanesi, anche secondo le statistiche, sono tra i più sfruttati e i meno pagati rispetto agli altri paesi della regione balcanica e non. La disuguaglianza economica sta diventando estrema e sta cancellando anche quella poca uguaglianza politica e giuridica che avevamo fino ad ora.
Miriamo a risolvere questi problemi fondando uno Stato progressista, che indirizzi gli investimenti verso la produzione (agricola, industriale e dei servizi qualificati), uno Stato sociale che, attraverso la tassazione progressiva, rafforzi i servizi pubblici di qualità e con accesso equo, uno Stato di diritto che combatta seriamente la corruzione, l’evasione fiscale e il lavoro informale, e una democrazia partecipativa in cui i cittadini abbiano la possibilità di contribuire direttamente al processo legislativo.
Qual è la sua opinione sull’accordo tra Edi Rama e Giorgia Meloni?
È un accordo doppiamente vergognoso. In primo luogo, tratta l’Albania come una piccola colonia dell’Italia, rinunciando alla propria sovranità nelle aree di Shëngjin e Gjadër e a qualsiasi responsabilità per il trattamento dei rifugiati all’interno di territori che fino a prima dell’accordo erano albanesi.
D’altra parte, dimostra quanto poco si preoccupi il primo ministro di uno Stato da cui i propri cittadini continuano a emigrare verso l’Occidente, per i diritti di coloro che nel mondo soffrono e cercano una vita migliore.
Come pensa che si possa migliorare l’accesso all’istruzione e alla sanità pubblica per garantire maggiore uguaglianza ai cittadini albanesi?
Nel programma del movimento BASHKË viene sviluppato il principio di un’istruzione pubblica gratuita e di qualità a tutti i livelli. Ancora più importante è l’idea di una scuola a tempo prolungato, dove i bambini possano restare negli ambienti scolastici anche dopo le lezioni, avendo accesso ad attività culturali e sportive, il che alleggerirebbe anche il carico di lavoro e le preoccupazioni per genitori e nonni.
Siamo inoltre dell’idea che la sanità pubblica in Albania debba essere sia gratuita che di qualità. Questo può essere ottenuto combattendo la grande corruzione (gli scandali delle concessioni) e la piccola corruzione (le tangenti richieste da una parte irresponsabile dei medici), oltre ad aumentare gli investimenti nel miglioramento delle apparecchiature diagnostiche e nel sostegno ai farmaci attraverso sussidi.
Per la prima volta, la diaspora albanese può votare. Quanto può influire questo nelle elezioni dell’11 maggio per impedire che Rama ottenga il suo quarto mandato come primo ministro?
Nessuno può dirlo con certezza, poiché queste sono le prime elezioni in cui la diaspora albanese vota dal proprio luogo di residenza. Ciò che è fondamentale è che un diritto così importante (il voto) e un principio così fondamentale (l’uguaglianza politica) vengano finalmente stabiliti anche in Albania. Tuttavia, ho grandi speranze che gli albanesi della diaspora ci aiuteranno con il loro voto a trasformare l’Albania, a estirpare questo sistema politico corrotto con a capo Edi Rama, Sali Berisha, ecc., e a opporci all’opprimente oligarchia economica.
Sono anche felice del fatto che tra i più di 6000 membri del movimento BASHKË, quasi la metà provengano dalla diaspora, e siano anche i principali contributori finanziari per l’attività politica del movimento BASHKË.
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