A poco meno di un anno dal termine del programma stilato dall’esecutivo per la gestione degli investimenti e delle riforme connessi al Next Generation EU, tramite una nota, Palazzo Chigi rivendica un primato non solo quantitativo – il conseguimento degli obiettivi “nel pieno rispetto del cronoprogramma stabilito dalla Commissione” – ma anche “qualitativo”: a detta di Meloni, l’utilizzo “in modo virtuoso” degli “strumenti che l’Europa ci ha fornito”, diventando così “un modello per gli altri Stati membri”. Occorre dunque valutare lo stato di salute del Piano, calato nel contesto socio-economico italiano.
“Un orgoglio” di cui andare fieri
Del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e delle sue criticità abbiamo già trattato. Rispetto all’ultima rendicontazione, qualcosa nel frattempo è mutato: a partire dalla data odierna, il nostro Paese può fregiarsi della “valutazione positiva” ottenuta da parte della Commissione europea a seguito del pagamento della settima rata del PNRR, di importo pari a 18,3 miliardi di euro. Letteralmente, riprendendo le parole della premier Meloni, “con il pagamento della settima rata l’Italia confermerà il primato europeo nell’avanzamento del Piano” […] “Dobbiamo tutti essere orgogliosi del grande lavoro che abbiamo fatto fino ad ora. Un lavoro che non è certo terminato, e deve anzi continuare con la medesima determinazione, per una Nazione sempre più moderna, produttiva e competitiva, forte e inclusiva, consapevole e pronta alle sfide globali del presente e del futuro”.
Utile, a questo punto, menzionare a cosa è concretamente servita la rata di cui sopra: secondo Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei, il PNRR e le politiche di coesione, tra le varie cose, ad essa sono legate alcune infrastrutture cardini per “implementare le reti di trasmissione dell’energia elettrica e per rafforzare l’autonomia energetica dell’Italia”.
Che cosa è successo nel frattempo
Riduttivo e semplicistico limitarsi ad osservare la superficie: occorre andare in profondità per scoprire che, a fronte della possibilità di “rianimare” l’economia e la produzione italiana, a conti fatti i risultati racimolati, nella maggior parte dei casi, sono preceduti da segni pressoché negativi.
Andiamo con ordine: dopo essere stato modificato tre volte in tre anni, transitando per mezzo di tre Governi differenti, il 19 maggio scorso il Governo ha trasmesso ai Presidenti delle Camere una nuova proposta di revisione del Piano, successivamente approvata dal Consiglio dell’Unione Europea, avente ad oggetto la “realizzazione degli obiettivi secondo modalità più efficaci ed alternative a quelle originariamente ipotizzate”.
Come documentato dalle elaborazioni di Openpolis sulla base dei dati forniti da Italia Domani, l’Italia è l’unico Paese ad aver inoltrato a Bruxelles cinque richieste di modifica del proprio Piano. Il confronto con gli altri Stati europei non ha motivo di esistere: quattro per Belgio, Cipro, Irlanda e Spagna, e tre per altri dieci Paesi, compresa la Germania. Di qui il tema della credibilità internazionale, che non solo prescinde qualsiasi colore politico, ma addirittura pare autonoma rispetto ai voleri dell’esecutivo di volta in volta in carica.
La gestione degli investimenti
Ma i problemi non sono soltanto strettamente tecnici: il monitoraggio dell’avanzamento del PNRR, aggiornato al 31 marzo 2025, evidenzia una triste realtà: a ridosso della scadenza prevista, è stato speso soltanto un terzo dei fondi. Venticinque le misure del PNRR – di importi pari a oltre 32 miliardi di euro – per le quali non sono stati ancora resi noti i progetti messi in campo. Circa 5.000, invece, quelli per i quali risultano importi totali pagati superiori a quelli finanziati.
Tradotto in termini spiccioli, la trasparenza, la puntualità e l’esattezza circa i dati di messa a terra forniti continuano a non appartenere al Piano italiano.
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