L’arresto di Milorad Dodik, leader della Republika Srpska, è l’ennesimo terremoto politico che scuote i già fragili equilibri della Bosnia-Erzegovina. Per i suoi sostenitori, si tratta di una persecuzione politica orchestrata dall’Occidente per eliminare un avversario scomodo. Per i suoi detrattori, è il sacrosanto risultato delle sue continue violazioni delle leggi e delle istituzioni del Paese. Ma al di là delle opinioni, una cosa è certa: questa condanna non pacificherà la Bosnia, anzi, rischia di far esplodere le tensioni etniche e politiche.
L’arresto di Dodik, ha provocato una reazione immediata e polarizzata a livello internazionale, alimentando timori di una nuova crisi nei Balcani. Se da un lato l’Occidente lo considera un atto necessario per tutelare l’integrità della Bosnia-Erzegovina, dall’altro la Serbia e la Russia denunciano una persecuzione politica che potrebbe destabilizzare ulteriormente la regione.
La condanna e la posizione dell’Occidente
L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno espresso il loro sostegno alla decisione della magistratura bosniaca, sottolineando la necessità di far rispettare lo stato di diritto. Washington ha ribadito che le azioni di Dodik, in particolare il suo tentativo di ignorare le decisioni dell’Alto Rappresentante Christian Schmidt e di creare una sorta di “Stato parallelo” all’interno della Bosnia-Erzegovina, erano una minaccia diretta agli Accordi di Dayton.
Tuttavia, bisogna affermare che per anni UE e USA hanno adottato un approccio attendista nei confronti di Dodik, lasciandogli spazio per rafforzare il suo potere e minare le istituzioni bosniache. Solo ora, di fronte a un rischio crescente di destabilizzazione, hanno deciso di agire con fermezza. Questa strategia tardiva potrebbe rivelarsi un boomerang: invece di spegnere le tensioni, l’arresto di Dodik rischia di alimentare ulteriormente il nazionalismo serbo in Bosnia e di creare una crisi ancora più profonda.
La Serbia: tra prudenza e pressioni interne
Il governo di Belgrado si trova ora in una posizione delicata. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha mantenuto finora un atteggiamento cauto, evitando dichiarazioni troppo aggressive che potrebbero compromettere i rapporti con l’Occidente. Tuttavia, la pressione interna è enorme: i nazionalisti serbi considerano Dodik un simbolo della resistenza all’ingerenza occidentale e chiedono una risposta forte da parte della Serbia.
L’arresto è dunque un’arma perfetta per dimostrare la tesi del leader della “Republika Srpska”; questa condanna sarà usata per alimentare il mito del “perseguitato” che lotta contro un sistema corrotto e illegittimo.
Dodik e i suoi alleati parlano da tempo di separarsi dalla Bosnia-Erzegovina, e ora potrebbero usare questa vicenda come pretesto per un nuovo strappo istituzionale. Una dichiarazione di indipendenza della Republika Srpska scatenerebbe una crisi devastante, che potrebbe persino sfociare in un conflitto armato.
Tornando a parlare di Vučić e delle motivazioni sul perché si stia dimostrando così cauto, sono sicuramente da ricondurre al fatto che si trova già ad affrontare un periodo turbolento, con proteste interne e difficoltà economiche che mettono alla prova il suo governo.
Un’eventuale escalation in Bosnia-Erzegovina rischierebbe di trascinare la Serbia in una crisi regionale che Belgrado, almeno ufficialmente, vuole evitare. Tuttavia, se la Republika Srpska dovesse spingere per una maggiore autonomia o addirittura minacciare la secessione, Vučić potrebbe trovarsi costretto a intervenire, almeno a livello diplomatico, per non perdere il sostegno della sua base nazionalista.
La Russia e il rischio di una destabilizzazione mirata
Mosca ha invece avuto un atteggiamento molto più deciso, infatti, la Russia ha immediatamente condannato la sentenza contro Dodik, etichettandola come un mero atto politico e avvertendo che potrebbe avere gravi conseguenze per la stabilità della regione. Il Cremlino ha sempre visto nella Republika Srpska come un alleato strategico nei Balcani, utilizzando Dodik come una pedina per contrastare l’influenza occidentale.
L’arresto del leader serbo-bosniaco potrebbe ora offrire a Vladimir Putin un’opportunità per aumentare la pressione nei Balcani, distogliendo l’attenzione dall’Ucraina e creando nuove fratture all’interno dell’Europa. Non è da escludere che Mosca intensifichi il suo sostegno alla Republika Srpska, sia economicamente che politicamente, per alimentare la narrativa di un’ingiustizia orchestrata dall’Occidente, anche il portavoce Dmitry Peskov che ha sottolineato che tali azioni potrebbero avere un impatto negativo sulla stabilità della regione.
Il futuro della Bosnia
La condanna di Dodik era inevitabile: nessun Paese può permettere a un leader regionale di sabotare le istituzioni senza conseguenze. Se la Bosnia-Erzegovina vuole restare uno Stato funzionante, deve far rispettare le proprie leggi, anche a costo di aumentare le tensioni interne.
L’Occidente avrebbe potuto gestire meglio questa situazione. Per anni, Dodik è stato lasciato libero di minare la stabilità della Bosnia-Erzegovina mentre l’UE e gli USA restavano a guardare. Solo ora, quando il danno è già fatto, si è deciso di colpire duramente. Una reazione tardiva che non risolve in alcun modo il problema alla radice. Inoltre, la situazione geopolitica tra l’UE e gli USA di queste settimane rende ancor più chiara l’idea su quanto fosse fondamentale affrontare la questione Dodik negli anni precedenti.
L’arresto di Dodik, dunque, anziché spegnere il separatismo serbo in Bosnia, rischia di radicalizzarlo ulteriormente. Nei prossimi mesi, il Paese dovrà affrontare nuove tensioni politiche e sociali, tra cui il rischio più grave di tutti: una nuova crisi istituzionale in Bosnia-Erzegovina. La Republika Srpska potrebbe reagire alla condanna del suo leader accelerando il processo di separazione da Sarajevo. Un’eventualità che, fino a pochi anni fa, sembrava impensabile, ma che oggi non è più solo un’ipotesi remota.
Questa condanna non risolverà il problema alla radice. Dodik potrebbe uscire di scena, ma il malcontento dei serbi bosniaci rimarrà. Le prossime settimane saranno cruciali per il futuro della Bosnia-Erzegovina.
Se Dodik deciderà di fare appello contro la sentenza, il processo potrà protrarsi per mesi. Se l’Occidente non gestirà con intelligenza questa crisi, il rischio di forti disordini nei Balcani sarà più concreto che mai. L’UE e gli Stati Uniti devono ora dimostrare di avere una visione chiara per il futuro della Bosnia-Erzegovina, altrimenti questa crisi potrebbe trasformarsi in un nuovo punto di rottura nei fragili equilibri balcanici.
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