Gli anni Ottanta e Tangentopoli
Al Campo largo servirà ben più delle buone intenzioni per conquistare la fiducia degli elettori.
La nascita del Centro-sinistra dimostra come gli anni Sessanta e Settanta offrissero nuovi stimoli, e con essi partiti e leader capaci di interpretare una visione di Paese e di trasformare le istanze della popolazione in riforme. Negli anni Ottanta la formula del Centro-sinistra assume la sua configurazione più ampia: il Pentapartito. Tutti dentro, tranne i comunisti. Democristiani, socialdemocratici, repubblicani e liberali. Per dieci anni, dall’81 al ’91, la litigiosissima coalizione governa un Paese nel pieno di quel che sembrava un secondo miracolo economico. Poi, il crollo. Il Centro-sinistra pentapartitico esce annientato dall’inchiesta di Mani Pulite e dalla crisi finanziaria: dalle ceneri di quel sistema nasce la Seconda Repubblica.
Gli anni del Bipolarismo
Il bipolarismo proietta lo scenario politico in un aut-aut, che vige sin da allora: unirsi o soffrire, poche le eccezioni. Il Centro-destra, vera novità politica di quella stagione, aveva unito gli “esclusi” (federalisti della Lega Nord e post-fascisti di Alleanza Nazionale) ai democristiani di destra, a parte dei liberali del PLI e dei socialisti, tutti confederati nel soggetto politico di Berlusconi.
Il Centro-sinistra quindi aveva dovuto far di necessità virtù e riunire sotto Prodi – nella formula dell’Ulivo – democristiani progressisti, parte dei post-comunisti, parte dei liberali e dei socialisti, repubblicani e tutte quelle culture laiche che componevano il Centro-sinistra organico prima e il Pentapartito poi. Una coalizione erede della tradizione di governo che aveva retto il Paese per mezzo secolo, che riuscì a imporsi nel 1996 e a governare fino al 2001 con alterne fortune. Dopo cinque anni di opposizione alla Casa delle Libertà, il Centro-sinistra riesce a vincere di un soffio riportando Prodi al governo con una coalizione a macchia di leopardo. Popolari ex DC, liberal-progressisti e laici condividono gli scranni del Parlamento con post-comunisti, legal-populisti guidati da Di Pietro, ambientalisti radicali e tutto quell’universo di sinistra-sinistra che fino a quel momento era rimasto tagliato fuori.
La nascita del Partito Democratico si innesta in questo contesto come il tentativo di superare le conflittualità presenti tra post-democristiani – La Margherita – e post-comunisti – i Democratici di Sinistra – fondando una forza politica riformista e in grado di superare quelle tradizioni così anacronisticamente novecentesche. Tentativo fallito, in quanto non basta vivere nella stessa casa per reputarsi famiglia. Il Centro-sinistra perse contro il granitico Popolo delle Libertà, più per i meriti di Berlusconi che per i demeriti di Veltroni. Da quel momento in poi il Centro-sinistra non è stato capace di vincere nettamente un’elezione di livello nazionale – il governo di larghe intese guidato da Enrico Letta risale al 2014, e nacque grazie all’appoggio del Popolo delle Libertà – tranne quando Renzi lo configurò in maniera tale da guadagnare voti al centro e nel grande bacino dell’astensionismo. Risultato di questa strategia fu un 41% alle europee del 2014, elezioni in cui il PD era certamente avvantaggiato dalla corsa in solitaria.
Il campo dei compromessi è ciò che serve all’Italia?
Nel 2018 e nel 2022, mentre il Centro-destra va unito ed è in ascesa – nonostante la nascita dei governi Conte, che mettono assieme prima Lega e M5S e poi M5S e PD – il Centro-sinistra va diviso. Nell’estate del 2022 succede di tutto: il Movimento 5 Stelle decide di correre da solo, così come i liberali. E il PD rimane col cerino in mano. Proviamo a tirare le somme. Al momento non esiste una visione di Paese che unisca il campo delle opposizioni: ci stanno provando sulla sanità, ma siamo ancora in una fase di riscaldamento. Dall’altro lato il Centro-destra, pur nei suoi scricchiolii, rimane coeso. Le incoerenze della sua coalizione non sembrano preoccupare Meloni, che tiene le barra dritta e non si esime dal mazzolare gli alleati. Ma la prossima campagna elettorale non si potrà giocare sul noi-loro, il tentativo è fallito già una volta: occorre sviluppare una visione di Paese capace di intercettare la richiesta degli elettori non-di-destra, compreso il Centro e gli astenuti. Anche perché dall’altro lato sono disposti più che mai ad annacquarsi pur di tenersi stretto il posto. In secondo luogo, la legge elettorale in vigore non favorisce la nettezza delle idee, ma favorisce le accozzaglie. Solo che le incoerenze a destra si notano di meno, mentre il centro-sinistra trova la sua cifra nella litigiosità e nei distinguo – opportunissimi, considerano che stiamo parlando di governare un Paese, spiacevolissimi se consideriamo che prima le elezioni andrebbero vinte. Serve ragionare, e serve farlo al più presto, su un’offerta politica in grado di mobilitare gli italiani. La legge elettorale parla chiaro: senza un’offerta larga la sconfitta è segnata. Ma offerta larga non significa per forza Campo largo del compromesso a qualsiasi costo.