Giovedì 24 ottobre si è tenuto, presso il Senato, l’Intergruppo Parlamentare sui Diritti Fondamentali della Persona; la plenaria si è incentrata su un tema cruciale e spesso trascurato: le misure alternative al carcere. L’evento, aperto dalla giornalista della Rai e membro del Collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Daniela De Robert, è iniziato con una frase che ha colpito l’uditorio: “In carcere lo spazio è pieno e il tempo è vuoto”. Questa riflessione ha posto l’accento sulla condizione inumana che molti detenuti affrontano quotidianamente, in un sistema penitenziario sovraffollato e poco funzionale.
Il carcere in Italia funziona?
I dati forniti durante la plenaria hanno dipinto un quadro allarmante della realtà carceraria italiana: attualmente, gli istituti penitenziari dovrebbero accogliere 46.700 detenuti, ma la realtà è ben diversa. Infatti, secondo quanto riportato dal report del Ministero della Giustizia, inerente al numero dei detenuti presenti nelle strutture carcerarie, si registrano 61.998 detenuti, dei quali 6.346 in attesa di giudizio. Dal 2022, l’indice di sovraffollamento è aumentato di 17 punti percentuali, portando a un tasso nazionale pari al 133,40%. In alcune carceri, come San Vittore, i tassi di sovraffollamento raggiungono il 200%. In un contesto così critico, in 56 istituti il sovraffollamento è superiore al 50%, mentre solamente in due regioni, ovvero Valle d’Aosta e Sardegna, si registrano carceri sottopopolate.
I dati del Ministero della Giustizia evidenziano anche che ci sono 109 detenuti costretti a vivere in spazi vitali inferiori ai 3 mq, condizione considerata inumana dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e che, combinata con il lungo tempo di detenzione, riduce l’esperienza carceraria a giornate vuote e senza significato.
L’alternativa di chi non ha alternativa
Nel corso della plenaria, diversi interventi sono stati mirati alla promozione delle misure alternative al carcere come soluzione a questa crisi. Raffaella Sette, professoressa di sociologia del diritto e della devianza, ha in particolare evidenziato il problema della recidiva, tema centrale nel dibattito sulle politiche penali italiane. Infatti, con un tasso di recidiva che si attesta intorno al 70%, è fondamentale interrogarsi sulle cause di questo fenomeno, così come del resto sul concetto di desistenza, ovverosia il processo attraverso il quale un individuo abbandona la vita criminale, processo che richiede tempo, supporto sociale e un ambiente favorevole.
La desistenza necessita di capitale sociale, afferma Raffaella Sette. A tal proposito è rilevante evidenziare il pensiero del sociologo Alessandro Pizzorno, il quale ha distinto diversi tipi di capitale sociale1: il primo di questi è la solidarietà, basata su relazioni forti e coese, che può giocare un ruolo cruciale nel supportare i detenuti nel loro percorso di reinserimento. Secondo Pizzorno, dunque, è essenziale costruire reti di sostegno che possano accompagnare le persone nel passaggio dalla vita in carcere a quella nella società.
Parlano i protagonisti: le testimonianze di chi ha vissuto il carcere
Le testimonianze di ex detenuti presenti alla plenaria hanno fornito un ulteriore punto di vista sulla questione. Giuseppe G., che ha trascorso gran parte della sua vita in carcere, ha raccontato le difficoltà di adattamento alla vita dopo la detenzione. “Dopo 17 anni, quando sono uscito, il mondo era completamente cambiato. Non è facile dimostrare il proprio cambiamento a una società che ti guarda con sospetto”
Giuseppe ha raccontato come le misure alternative lo abbiano aiutato a trovare un nuovo percorso professionale, diventando educatore sociale, mettendo tuttavia in luce come, senza un supporto costante e senza la costruzione di un rapporto di fiducia con la comunità, sia difficile per chi esce dal carcere reintegrarsi con successo.
Anche Marco Costantini, segretario dell’associazione “Sbarre di Zucchero”, ha condiviso la propria esperienza, ponendo l’accento sulle ingiustizie e le disuguaglianze che persistono nel sistema penitenziario. “Ci sono 76 persone morte in carcere quest’anno e non possiamo dimenticarlo” ha affermato. Anche nella sua analisi è nuovamente emerso come, sebbene esistano diritti garantiti dalla Costituzione, nella pratica le condizioni di vita all’interno delle carceri siano spesso degradanti e inadeguate, e come il lavoro dignitoso sia essenziale per prevenire la recidiva, nonostante, in molti casi, i detenuti siano costretti a lavorare per compensi “ridicoli”, ben al di sotto del necessario per vivere dignitosamente una volta reintegrati.
La necessità di riforme
La plenaria ha quindi sottolineato l’urgenza di una riforma sistematica del sistema penitenziario italiano. Le misure alternative non devono essere semplicemente un’eccezione, ma parte integrante di una strategia globale per affrontare il sovraffollamento e garantire il rispetto dei diritti umani. È cruciale che lo Stato si faccia carico della responsabilità di garantire assistenza e riabilitazione ai detenuti, evitando di delegare questo compito a organizzazioni private, che spesso operano con risorse limitate. In conclusione, l’incontro ha costituito un’importante occasione di confronto tra esperti, senatori e ex detenuti, rendendo chiaro che senza un impegno serio e strutturale da parte del governo, il rischio di perpetuare un sistema ingiusto e inefficace rimane alto. L’umanizzazione del sistema penitenziario, il rispetto dei diritti fondamentali e il sostegno reale per la reintegrazione sociale devono diventare priorità indiscutibili per il futuro della giustizia in Italia. Infatti, “Finché lo stato vedrà il carcere come una spesa e non come un investimento’’, conclude Flavia Carlini – vicepresidente dell’Intergruppo Parlamentare – “non ci sarà futuro’’.
- Arnaldo Bagnasco, Fortunata Piselli, Alessandro Pizzorno, Carlo Triglia, Il capitale sociale, 2001, Mulino. ↩︎