Sempre più giovani si identificano rigidamente con una parte politica, abbracciando idee e posizioni in blocco, senza esercitare un’analisi personale. Ma cosa accade quando l’identità politica diventa una forma di conformismo? E quale ruolo giocano gli influencer in questa nuova forma di partecipazione e manipolazione?
L’omologazione politica giovanile
Negli ultimi anni, il dibattito politico italiano ha registrato una crescente polarizzazione. Tuttavia, non è la divisione in sé il punto critico, quanto il meccanismo con cui molti giovani, ma non solo, aderiscono a visioni politiche in modo meccanico, rinunciando a interrogarsi criticamente su ogni singola posizione.
L’adesione a un partito o schieramento sembra, in molti casi, tradursi in una sorta di programmazione ideologica, per cui ogni pensiero, ogni opinione, ogni partecipazione viene filtrata alla luce della linea ufficiale della propria parte politica, senza valutazioni personali né approfondimenti tematici.
Ciò che dovrebbe essere un esercizio di confronto e crescita si trasforma così in una fedeltà automatica che cancella le sfumature, la complessità e la possibilità legittima di dissentire selettivamente, anche dall’interno della propria area politica.
Uscire dal pensiero unico
È fondamentale ricordare che essere schierati politicamente non implica rinunciare alla propria autonomia di pensiero. Si può militare in un partito, sostenerlo pubblicamente e tuttavia dissentire su singole questioni, anche importanti.
Il caso recente di un giovane dirigente giovanile dimessosi dal suo partito per divergenze valoriali ha fatto notizia, ma in realtà rappresenta un atto di normale onestà intellettuale. La politica non dovrebbe essere un atto di fede, ma una scelta ragionata, fluida, dinamica.
Chi decide di restare fedele a un partito nonostante alcune divergenze, ha tutto il diritto di farlo, così come chi sceglie di cambiare bandiera. La chiave sta nel riconoscere queste possibilità come legittime e auspicabili, non come segnali di tradimento o incoerenza.
L’omologazione cieca, al contrario, porta all’atrofia del pensiero, alla delega integrale del giudizio critico e di fatto annulla la funzione stessa del cittadino nella vita democratica.
Il ruolo crescente degli influencer
Accanto ai partiti e ai movimenti, un altro attore ha assunto un peso crescente nel plasmare l’opinione pubblica giovanile: gli influencer. Questi soggetti, spesso estranei alla politica attiva, detengono oggi un enorme potere mediatico, in grado di orientare opinioni, spingere alla mobilitazione e influenzare persino l’esito di consultazioni elettorali.
La loro forza risiede in una comunicazione diretta, informale, percepita come più autentica rispetto a quella dei politici tradizionali. Numerose ricerche dimostrano come i giovani li considerino più “genuini”, “simili a sé” e quindi più credibili. Video su YouTube, TikTok e Instagram che trattano temi politici sono visti come più coinvolgenti e moderni rispetto all’informazione dei media classici.
Tuttavia, questa apparente vicinanza può trasformarsi in una trappola. La semplificazione eccessiva di temi complessi, la mancanza di competenze specifiche o, peggio, la diffusione di slogan populisti possono condurre alla disinformazione o alla radicalizzazione di alcuni segmenti dell’opinione pubblica.
Tra potenziale educativo e rischio manipolazione
Non è tutto nero o tutto bianco. Gli influencer possono avere un impatto positivo sulla partecipazione politica giovanile: semplificare il linguaggio, creare empatia, abbattere barriere all’accesso all’informazione. Possono trasmettere l’idea che “la politica riguarda tutti” e far emergere nuove istanze e sensibilità.
Ma il rischio opposto è altrettanto presente: manipolazione, polarizzazione, sfiducia preconcetta nei confronti delle istituzioni. Quando un influencer, magari inconsapevolmente, trasmette un messaggio fortemente ideologizzato o complottista, i suoi follower più giovani, spesso sprovvisti di strumenti critici adeguati, possono assorbirlo senza alcuna mediazione.
La differenza sta nella responsabilità: quella dei creator, chiamati a un minimo di rigore e trasparenza, e quella dei follower, che dovrebbero sforzarsi di verificare, informarsi e soprattutto non prendere per oro colato ogni messaggio virale.
Pensare è ancora un atto rivoluzionario?
La politica, in tutte le sue forme, ha bisogno di individui pensanti, non di tifosi ciechi. Eppure, nel mondo della comunicazione veloce, dei like e delle opinioni preconfezionate, il pensiero critico sembra essere un lusso sempre meno praticato.
È ancora possibile costruire una cittadinanza consapevole, fatta di scelte personali, di dubbi legittimi e di confronti anche scomodi? I giovani riusciranno a emanciparsi dalla retorica binaria e riconoscere che le idee non appartengono a una sola parte politica, ma vanno valutate per ciò che sono?
Forse il futuro della democrazia dipende proprio da questo: dalla capacità di ciascuno di scegliere, ma soprattutto di pensare.
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