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    Cosa aspettarsi dal bilaterale tra Trump ed Erdoğan?

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    Entrambi possono essere definiti ossi duri della politica internazionale. Da un lato c’è il presidente della più grande potenza economica e militare del mondo; dall’altro un leader che, sin dall’inizio del suo mandato, non ha fatto altro che imporsi su chiunque si trovasse di fronte, agendo sempre in nome della ragion di Stato — o, più precisamente, delle proprie ragioni. I due si incontreranno il 25 settembre, in un bilaterale a Washington che delineerà parte della politica estera di entrambi. 

    “Per noi il Medio Oriente è una questione vitale”

    Difficile immaginare che il Medio Oriente, e in particolare Gaza, resti sullo sfondo. Dopo gli attentati del 7 ottobre, infatti, il presidente Erdoğan, coerente con la sua politica estera e con un indirizzo interno sempre più segnato dall’istituzionalizzazione dell’Islam nello Stato, si è schierato apertamente dalla parte dei palestinesi.

    Eppure, come emerso nelle ultime settimane, Gaza non dovrebbe rappresentare un terreno di scontro tra i due. Il bilaterale va letto piuttosto in chiave legittimatoria: un momento di confronto tra due realtà che, pur trovandosi spesso in contrasto sul piano ideologico e pratico, sono costrette a coesistere nello stesso spazio strategico. Stati Uniti e Turchia restano infatti alleati, soprattutto in virtù del vincolo atlantico che, con l’articolo 5, sancisce la mutua assistenza militare in caso di aggressione.

    Poco importa se su dossier cruciali — dalla questione curda a quella palestinese, fino alle tensioni in Siria (nella ex Siria di Bashar al-Assad) — non vi sia stata particolare intesa. Washington e Ankara hanno sempre trovato un modo per capirsi.

    L’acquisto dei Boeing

    A conferma di ciò, e nonostante per Erdoğan il Medio Oriente resti una “questione vitale”, non va sottovalutata la recente lista della spesa del Presidente turco: oltre 250 Boeing civili a uso commerciale, caccia F16 e F35. Mezzi che testimoniano come la partita per Ankara non si giochi solo nei dossier regionali, ma soprattutto nei cieli.

    Il conflitto russo-ucraino

    Su questo fronte, invece, potrebbe emergere una maggiore intesa. La Turchia, un tempo Impero Ottomano, sembra ormai aver archiviato le storiche rivalità con la Russia zarista, quando sugli altipiani della Crimea gli eserciti si affrontavano in battaglie non solo strategiche, ma cariche di simbolismo: uno scontro tra l’ortodossia russa e l’islam ottomano.

    Oggi la storia appare diversa e i rancori sembrano superati. Fin dall’inizio della guerra in Ucraina, Erdoğan ha infatti costruito un delicato equilibrio diplomatico, probabilmente motivato anche dalle ragioni energetiche legate agli idrocarburi russi. Questo gli ha consentito di mantenere rapporti sostanzialmente buoni sia con Mosca — e in particolare con Vladimir Putin — sia con Kiev, alla quale Ankara ha fornito anche equipaggiamenti militari, come droni da combattimento.

    Se da un lato il presidente turco ha chiuso il Bosforo alle navi russe – punto cruciale per i commerci del Mar Nero – dall’altro non ha mai applicato sanzioni contro la Russia. Una posizione che molti definiscono ambigua, ma che riflette in realtà una coerenza con l’approccio di Trump.

    Le divergenze

    Tuttavia, nonostante il Tycoon non manchi di esprimere apprezzamenti nei confronti del suo omologo di Ankara, Erdoğan, almeno sulla questione ucraina, si muove su un terreno che da un lato li accomuna, ma dall’altro li mette in competizione sotto il profilo diplomatico

    Se Trump cerca un ruolo da protagonista nel processo di pace, Erdoğan propone la Turchia come sede neutrale per un accordo equo, disertando al contempo i vertici di Washington dell’agosto scorso. Una strategia che rientra in un più ampio disegno: legittimare l’influenza e il potere di Ankara sullo scenario internazionale, anche su un dossier complesso come quello della guerra russo-ucraina.

    In conclusione

    L’ultima visita di Erdoğan nello Studio Ovale risale al novembre 2019, durante il primo mandato di Donald Trump, quando al centro dei colloqui c’erano i curdi, la Siria e i sistemi di difesa missilistici russi. Oggi, però, lo scenario è diverso: due guerre in corso, una competizione latente per il ruolo di protagonisti nelle risoluzioni internazionali e una divergenza marcata sulla questione mediorientale.

    Eppure, nonostante questi possibili terreni di scontro, i due leader non mancano di presentarsi come “grandi amici” — come già fatto in occasione dei recenti incontri alle Nazioni Unite — e l’appartenenza comune all’Alleanza Atlantica resta una garanzia di fondo per mantenere rapporti solidi tra due realtà solo in apparenza distanti.

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