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    Cosa aspettarsi dal bilaterale tra Trump e Putin in Alaska?

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    In quella terra un tempo acquistata dai russi, Donald Trump incontrerà Vladimir Putin nella base militare di Elmendorf – Richardson, nei pressi di Anchorage. La posta in gioco vale molto più della – seppur non banale – tregua nei combattimenti al fronte russo-ucraino a danno dei civili: se vittorioso, il presidente Trump riuscirà laddove l’Unione europea non è mai arrivata prima, dimostrare al mondo che fermare l’avanzata di Mosca è possibile. 

    Verso il bilaterale

    Un giorno, la realtà geopolitica che stiamo vivendo, ivi compresi i suoi dettagli anche più sottili, entrerà nei libri di storia. Dunque, con buona probabilità, i nostri posteri ricorderanno il 15 agosto 2025 come il giorno del disgelo, o meglio del grande scambio. Andiamo con ordine: su invito statunitense, il presidente russo Putin – accompagnato da due consiglieri presidenziali e dai ministri degli esteri Sergej Lavrov, della difesa Andrej Belousov, e delle finanze Anton Siluanov – è arrivato in Alaska dove, alle 11 ora locale, le 21 ora italiana, incontrerà il presidente Trump e la sua delegazione – formata dal segretario di Stato Marco Rubio e dall’inviato speciale per il Medio Oriente Steve Witkoff – per discutere la cessazione delle ostilità tra Russia e Ucraina. 

    Con il fiato sospeso, l’intera comunità internazionale attende di conoscere gli sviluppi del vertice. Lo stesso sembra non valere per l’informazione, che da più parti pare invocare a presunte traiettorie che, seppur latenti, se guardate in prospettiva, sancirebbero la pace tra le parti nella serata odierna. Donald Trump, quasi a voler placare gli entusiasmi di chi è già proiettato alla foto di rito con la storica stretta di mano, ha voluto lanciare un avvertimento: “esiste il 25% di probabilità che il vertice sia un insuccesso”. Le variabili potenzialmente tali da decretare un finale simile sono al momento ignote. Nonostante ciò, viene comunque spontaneo chiedersi: cosa aspettarsi da questo vertice?

    La realtà sul campo

    A più di tre anni dall’inizio della guerra, Mosca è oggi più che mai vicina dallo sfondare l’intero fronte, decretando così il totale cedimento delle difese ucraine. Basti pensare che martedì 12 agosto, a soli tre giorni dal vertice, l’esercito russo ha infatti sfondato parzialmente una linea di difesa nella regione orientale del Donetsk, avanzando di circa 10 chilometri tra le città di Dobropillia e Kramatorsk. Più a sud, Mosca sta tentando da mesi di conquistare la città di Pokrovsk, dando quindi seguito alla propria strategia militare che prevede, tra i vari obiettivi, il controllo totale dello stesso Donetsk

    A fronte del vantaggio sul campo, Vladimir Putin ha consistenti interessi nel protrarre il conflitto ad oltranza. Mollare la presa ora, subito dopo il colloquio con Trump, equivarrebbe ad una inspiegabile resa. Ma, soprattutto, tradirebbe le richieste per la pace formalizzate il 14 giugno 2024 e ribadite proprio in questi giorni, poiché “invariate”: il ritiro delle truppe ucraine dalle quattro regioni ucraine rivendicate – Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson – e la rinuncia di Kiev ad aderire alla NATO

    La posizione russa

    Come già accaduto in altre occasioni, connotate tutte dall’apparente distensione, è più probabile che Putin avanzi – ancora una volta, soltanto formalmente – l’intenzione di trattare in vista di un eventuale cessate il fuoco, da prevedere non prima di aver risolto “le cause profonde del conflitto”. In altri termini, ciò che con buona probabilità accadrà nella base militare di Elmendorf – Richardson servirà a Mosca per prendere tempo e, successivamente, colpire Kiev. Un enorme bluff sotto i riflettori internazionali. I fatti attestati finora paiono confermare quest’ultima eventualità: poco dopo aver definito “insignificanti” i colloqui in videoconferenza tenuti dai leader europei, Putin ha celebrato il suo omologo statunitense, ringraziandolo per i “sinceri sforzi” profusi per la pace. Per riuscire in questa impresa, Mosca potrebbe fare leva su due elementi, la spettacolarizzazione e il protagonismo che paiono guidare il mandato presidenziale di Trump, sempre più convinto che – in sua presenza – il conflitto russo-ucraino non sarebbe mai scoppiato. 

    Più di ogni altro elemento di carattere prettamente strategico, ciò che colpisce è la replica pressoché asettica dello stesso modus operandi: nella prospettiva russa, l’elogio a Trump e il ringraziamento a Kim Jong-un stanno di fatto sullo stesso piano. Ed è per questo che Mosca si relaziona con il dittatore nordcoreano esattamente come con un presidente eletto in un regime libero e democratico. Forte della consapevolezza che, nessuno dei due, tradirebbe mai la parola data a Mosca. 

    Come si comporterà Trump?

    Più complessa e variegata è la posizione statunitense, che secondo il Telegraph sarebbe prossima a consentire a Putin l’accesso a minerali e terre rare in Alaska e nei territori ucraini attualmente occupati, revocando al contempo alcune sanzioni imposte all’industria aeronautica russa. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, in un punto stampa ripreso dall’emittente Fox, ha confermato questa linea, sostenendo che il presidente Trump avrebbe “molti strumenti a sua disposizione” per fronteggiare l’omologo russo. Di certo c’è il fatto che, quantomeno nella consapevolezza di Trump, ci sarà uno scambio di territori, un do ut des di romana memoria che, secondo il vicepresidente JD Vance, a fine giornata, lascerà insoddisfatte entrambe le parti

    Conclusioni

    A prescindere dall’esito della giornata, Donald Trump potrà comunque dire di essere arrivato – e perché no, riuscito – esattamente dove i ventisette Paesi dell’Unione europea, con diciotto pacchetti di sanzioni, non sono mai giunti: ottenere un dialogo potenzialmente rivoluzionario con Putin. Qualora l’incontro dovesse poi essere profittevole, seguirà un secondo incontro al quale, oltre al presidente Volodymyr Zelensky, potrebbe presenziare anche un rappresentante dell’Unione. Ma arrivati a quel punto, per il Vecchio Continente sarà troppo tardi, il destino ucraino sarà già pressoché scritto, e difficilmente Bruxelles riuscirà a far risaltare la propria voce sullo scacchiere internazionale.

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