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    Decreto sicurezza: possibili profili di incostituzionalità?

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    Sul “Decreto Sicurezza”, tra mercoledì e giovedì scorso, durante gli interventi delle opposizioni – seppur ridotti all’osso a causa della frenesia del Governo di discutere in tempi celeri il provvedimento, onde evitare il rischio di decadenza se non approvato da entrambi i rami del Parlamento entro 60 giorni – sono state poste all’attenzione dell’esecutivo non solo valutazioni politiche, ma soprattutto considerazioni circa la legittimità costituzionale del testo.

    Senza prendere in considerazione le valutazioni dei parlamentari intervenuti per quanto riguarda gli aspetti materiali e sostanziali, l’Onorevole Giachetti di Italia Viva, rivolgendosi ai rappresentanti del Governo presenti a Montecitorio, ha preferito segnalare i vizi formali, sia per quanto riguarda l’assenza dei presupposti di “straordinaria necessità e urgenza” fissati dalla Costituzione, che per quanto concerne una riserva di legge formale ordinaria che, secondo il deputato, sarebbe prevista dall’articolo 25 per la materia penale.

    Breve storia del Decreto “Sicurezza”: da disegno di legge a decreto-legge

    Il 4 aprile 2025, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge in materia di sicurezza pubblica, riprendendo gran parte delle disposizioni contenute nel disegno di legge “sicurezza” precedentemente approvato dalla Camera dei deputati il 18 settembre 2024. Il disegno di legge, presentato all’inizio del 2024, aveva incontrato ostacoli nel suo iter parlamentare una volta arrivato in Senato, dove erano emerse criticità su alcune misure, sollevate anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma anche problemi sulle coperture dal punto di vista economico.

    Per superare lo stallo legislativo dettato da circostanze politiche, il Governo ha optato per l’adozione di un decreto-legge, strumento previsto dall’articolo 77 della Costituzione che consente l’entrata in vigore immediata delle disposizioni, subordinata alla presenza di “casi straordinari di necessità e di urgenza” e alla successiva conversione in legge da parte del Parlamento entro 60 giorni. Il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha giustificato questa scelta evidenziando la necessità di garantire tempi certi per l’approvazione delle misure ritenute urgenti.

    Cosa comporta?

    Il decreto-legge in questione introduce nuove fattispecie penali e inasprisce le pene per reati esistenti, in particolare quelli legati a manifestazioni pubbliche, terrorismo e criminalità organizzata. Tra le novità, si segnala l’introduzione del reato di detenzione di materiale con finalità terroristiche, punito con la reclusione da 2 a 6 anni, e l’aggravamento delle pene per chi partecipa a manifestazioni non autorizzate che comportano blocchi stradali o ferroviari. 

    Grazie a 163 voti favorevoli, giovedì 29 maggio la Camera dei deputati ha approvato la legge di conversione del decreto, per cui ora la palla passerà al Senato, che avrà tempi stretti per approvarla a sua volta. Le opposizioni hanno accusato la maggioranza di centrodestra di svilire il dibattito parlamentare, a maggior ragione dopo la scelta dello scorso aprile di trasformare quel che era un disegno di legge in un decreto-legge, recependo però quasi tutto il testo originario.

    Vizi formali o materiali: distinzione descrittiva per un’analisi chiara

    Nel controllo di costituzionalità delle leggi, si è soliti a fare una distinzione essenzialmente descrittiva sulla differenza che intercorre tra vizi materiali e vizi formali della legge. 

    Se i primi riguardano i contenuti normativi, colpendo così non l’atto in sé ma le sue singole disposizioni, in contrasto con le norme ricavabili dalla Costituzione, i secondi riguardano il procedimento di formazione dell’atto che, se dovesse risultare difforme rispetto alle previsioni costituzionali, inficerebbe la legittimità dell’atto.

    È su questi vizi formali che ci concentreremo, analizzando la presenza o meno di una riserva di legge formale sulla materia penale e l’assenza dei presupposti per la decretazione d’urgenza.

    Quale tipologia di riserva di legge è presente nell’articolo 25 per il penale?

    Durante il suo intervento alla Camera, il deputato Giachetti ha affermato che per la materia penale la Costituzione prevede “una riserva di legge, ai sensi dell’articolo 25, per cui solo tramite una legge del Parlamento potrebbero essere disposte nuove sanzioni penali.

    La riserva di legge è uno strumento tramite cui la Costituzione impone al legislatore di disciplinare una determinata materia, ma si distingue in diverse tipologie. Mentre la riserva di legge formale ordinaria impone che sulla materia si intervenga solo con un atto legislativo prodotto attraverso il procedimento parlamentare – con l’esclusione degli altri atti equiparati come, nel caso di specie, il decreto-legge – le semplici riserve di legge includono anche gli atti aventi forza di legge come i decreti, escludendo del tutto o limitando l’intervento di altri atti sub-legislativi. 

    L’orientamento della Corte costituzionale ha sancito che l’articolo 25 non pone una riserva di legge formale ordinaria, ma una semplice riserva di legge, che consente l’intervento non solo della legge ordinaria formale, ma anche di atti aventi forza di legge, come i decreti-legge e i decreti legislativi. La Corte, come affermato nella sentenza n. 115 del 2018, non esclude dunque che la “materia penale” possa essere disciplinata anche da atti aventi forza di legge, purché siano rispettati i principi di legalità e determinatezza. 

    Precedenti storici

    Così già in passato, smentendo in parte le affermazioni del deputato di Italia Viva, la Corte ha sottolineato che la riserva di legge in materia penale non implica una riserva di legge formale in senso stretto, ma richiede che le norme penali siano stabilite da fonti primarie, siano esse leggi ordinarie o atti aventi forza di legge. Per di più, trattandosi di una riserva di legge relativa, non si esclude persino il concorso di fonti secondarie, purché la fonte primaria sia in grado di porre limiti, criteri e principi per la determinazione da parte di regolamenti amministrativi di aspetti tecnici o dettagli operativi.

    A riconoscenza della possibilità di intervenire in materia penale anche tramite decreti-legge, figurano alcuni precedenti storici. Si pensi al decreto-legge “Mancino”, che nel ’93 ha introdotto nuove fattispecie penali per contrastare fenomeni di razzismo, xenofobia e antisemitismo, prevedendo sanzioni per chi diffonde idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, nonché per chi incita alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. 

    È la stessa Costituzione a suggerirci che su una materia ci sia una riserva di legge formale ordinaria che non permette il concorso degli atti aventi forza di legge, come nel caso dell’articolo 80, il quale prevede che siano “le Camere” ad autorizzare “con legge la ratifica dei trattati internazionali”. L’oggetto della riserva di legge formale solitamente non è una materia, ma alcuni specifici atti per cui il Parlamento è chiamato a partecipare con legge a un procedimento decisionale che vede come protagonista il Governo.

    I presupposti del decreto-legge: “casi straordinari di necessità e di urgenza”

    La Corte non ha sollevato obiezioni di legittimità costituzionale nel caso del decreto “Mancino”. Eppure, così non è avvenuto in altri casi, ma non per la violazione di un’eventuale riserva di legge, bensì per l’assenza dei presupposti richiesti dall’articolo 77 della Costituzione per ricorrere allo strumento del decreto-legge, cioè “in casi straordinari di necessità e di urgenza”.

    Diversa è dunque la seconda tesi esposta nell’intervento del deputato di Italia Viva, che non fa più riferimento alla materia in sé, ma al requisito di “validità costituzionale dell’adozione” del decreto-legge, “di modo che l’eventuale mancanza configura tanto un vizio di legittimità costituzionale del decreto … quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione”, per cui la Corte, tramite la sentenza 171 del 2007, è giunta a dichiarare illegittima la legge di conversione di un decreto emanato in evidente assenza dei requisiti richiesti dall’articolo 77.

    Analizzando il testo dell’articolo, se per “casi straordinari” intendiamo circostanze eccezionali e imprevedibili, per “necessità” a cui non si possa provvedere con strumenti legislativi ordinari a causa dell’urgenza che rende indispensabile produrre immediatamente gli effetti stabiliti verrebbe da pensare che il decreto-legge “sicurezza”, proprio perché trasformato da disegno di legge in decreto, non rispetti i requisiti posti dalla Costituzione, poiché la ratio nell’uso dello strumento normativo non sarebbe stata rispondere a una circostanza emergenziale ma sfuggire a uno stallo legislativo dovuto a divergenze politiche nell’iter legis ordinario.

    Chi deve giudicare la presenza dei presupposti?

    Il primo controllo viene svolto dal Presidente della Repubblica in sede di emanazione, ma si tratta pur sempre di una verifica assai limitata dato che la necessità di provvedere in casi d’urgenza e la conoscenza dei fatti, corredata da una valutazione concreta, rientra nelle prerogative del Governo. Infatti, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nonostante abbia dato degli input, in parte accolti dalla maggioranza, che hanno portato a dei cambiamenti rispetto al disegno di legge originale, ha firmato in data 11 aprile il decreto, passando così la palla alle Camere.

    Conclusioni

    È più probabile che, in seguito all’approvazione del Senato, come già avvenuto negli esempi precedentemente citati, sia la Corte costituzionale, in caso di un eventuale giudizio di legittimità, a esercitare un controllo sui requisiti, anche se la prassi ormai riconosce dichiarazioni di illegittimità rispetto a decreti-legge quasi solo nei casi reiterazione, come nel caso del decreto “milleproroghe” del ’92 che portò a una sentenza apripista, la 360 del 1996, la stessa che ha messo un argine al fenomeno che portava i Governi alla scadenza dei 60 giorni a emanare un nuovo decreto che riproduceva quello precedente per “sanare” gli effetti.

    20250213

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