Negli ultimi mesi è emerso un inquietante fenomeno legato alla diffusione online di immagini di donne senza il loro consenso, spesso attraverso piattaforme anonime o siti sessisti. Le modalità di sfruttamento variano ma seguono schemi ricorrenti: foto tratte da profili social, eventi pubblici o archivi personali vengono raccolte, manipolate e ripubblicate in contesti sessualmente espliciti o umilianti.
In molti casi, oltre ai contenuti intimi pubblicati senza consenso, una delle modalità più comuni di acquisizione del materiale è quella di prelevare foto pubbliche da Instagram o altre piattaforme e caricarle su siti o gruppi chiusi. Foto estrapolate dal loro contesto e usate contro la volontà delle persone ritratte, accompagnandole con didascalie offensive, minacce e commenti sessisti.
INQUADRAMENTO GIURIDICO ATTUALE
La diffusione non consensuale di immagini, specialmente quando a contenuto intimo o sessualmente esplicito, è oggi riconosciuta dall’ordinamento italiano come una forma di violenza digitale e, in alcuni casi, reato autonomo. Il riferimento normativo principale è l’art. 612-ter del Codice Penale, introdotto dalla Legge 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. Codice Rosso), che punisce con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro “chiunque diffonda, consegni, ceda, pubblichi o diffonda immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.” La stessa pena si applica “a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento” .
È significativa la scelta del legislatore di non collocare questa fattispecie né tra i reati sessuali né tra quelli contro la riservatezza o la privacy, ma tra i reati contro la libertà individuale, e in particolare contro la libertà morale della persona. L’obiettivo è quello di tutelare il diritto all’autodeterminazione individuale, ovvero la libertà di ciascuno di decidere se, come e con chi condividere contenuti intimi.
Il fulcro della tutela non è tanto la natura sessuale dell’immagine, quanto la sua destinazione privata: ciò che rileva penalmente è la violazione del patto di riservatezza che accompagna la creazione o la condivisione originaria di quei contenuti.
REATI CONNESSI ALLA DIFFUSIONE NON CONSENSUALE DI IMMAGINI
Sebbene il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti ex art. 612-ter c.p. – comunemente noto come revenge porn – rappresenti oggi il principale strumento penale per contrastare alcune forme di violenza digitale, la realtà mostra una varietà di condotte illecite che vanno ben oltre i confini di quella specifica fattispecie.
Infatti, non tutte le immagini pubblicate senza consenso rientrano nei criteri stabiliti dall’art. 612-ter: in molti casi, le fotografie o i video non sono “esplicitamente sessuali” oppure non sono stati prodotti o condivisi all’interno di un contesto privato. Tuttavia, la diffusione non autorizzata o la manipolazione di immagini – anche innocue o pubbliche, ad esempio prese dai social – può configurare altri reati o illeciti civili, spesso concorrenti tra loro.
L’utilizzo e la divulgazione dell’immagine altrui senza consenso sono vietati dalla legge: il codice civile punisce l’abuso dell’immagine altrui all’art. 10 stabilendo che “se l’immagine di una persona o dei suoi congiunti viene pubblicata senza il suo consenso, o in modo da danneggiare la reputazione o il decoro, l’autorità giudiziaria può ordinare la cessazione dell’abuso e il risarcimento dei danni.” A ciò si aggiunge la tutela fornita dalla legge sul diritto d’autore, la quale stabilisce che qualsiasi opera a carattere creativo, compresi gli scatti fotografici, è di uso esclusivo del titolare.
Quando l’immagine è pubblicata con intento denigratorio, accompagnata da frasi offensive o collocata in un contesto lesivo della reputazione della persona ritratta, la condotta integra il reato di diffamazione ex art. 595 c.p.; offendere le persone ritratte con commenti associati alla loro immagine – soprattutto se pubblicata online e senza consenso – può integrare il reato di diffamazione aggravata.
USO LEGITTIMO DELL’IMMAGINE ALTRUI
Il diritto all’immagine è un diritto della personalità tutelato dall’art. 10 del Codice Civile e dagli art. 96 e 97 della Legge sul diritto d’autore (L. 22 aprile 1941, n. 633). In linea generale, la pubblicazione dell’immagine altrui richiede il consenso dell’interessato, soprattutto se questa può arrecare pregiudizio alla sua dignità, reputazione o riservatezza. Tuttavia, il nostro ordinamento prevede eccezioni precise in cui la divulgazione dell’immagine è considerata lecita anche in assenza di consenso.
Se la persona è ritratta in un luogo pubblico o durante eventi pubblici – manifestazioni, conferenze, comizi – la pubblicazione può essere ammessa, soprattutto se ha valore documentale o informativo. È lecito divulgare la fotografia di una persona famosa: la notorietà, infatti, esclude il divieto di pubblicazione, restringendone in ogni caso la tutela, salvo che l’immagine non ritragga il soggetto in una situazione lesiva della sua dignità o sia decontestualizzata in modo da alterarne il significato originario.
TUTELA GIURIDICA DELLE VITTIME
La persona ritratta in un’immagine diffusa senza consenso può avvalersi di diversi strumenti di tutela giuridica, sia in ambito penale, sia civile e amministrativo, a seconda della natura e della gravità del fatto. In primo luogo, se si tratta della pubblicazione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso dell’interessato, è possibile sporgere querela per il reato previsto dall’art. 612-ter c.p. introdotto dalla legge n. 69/2019 (Codice Rosso).
La querela deve essere proposta entro sei mesi dal fatto, è procedibile d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità (ai sensi dell’art. 3 della Legge 104/92), o quando il reato è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
In presenza di una grave e attuale lesione del diritto all’immagine o alla riservatezza, la vittima può presentare ricorso al Tribunale ex art. 700 c.p.c., volto a ottenere un provvedimento immediato e cautelare che impedisca o faccia cessare la diffusione delle immagini lesive. Lo strumento è applicabile quando il danno è imminente e irreparabile, e quando l’azione ordinaria risulterebbe troppo lenta per garantire una tutela effettiva.
Il tribunale, valutati i presupposti del periculum in mora (pericolo nel ritardo) e del fumus boni iuris (verosimile fondatezza del diritto), può disporre misure quali l’inibitoria alla diffusione ulteriore dell’immagine, l’ordine di rimozione dai siti web o dai profili social, eventuali penali per ogni giorno di inottemperanza. Il ricorso ex art. 700 c.p.c. si rivela particolarmente utile nei casi in cui le immagini siano già circolanti online e occorra un intervento tempestivo per limitarne la diffusione virale.
CONCLUSIONI
Inoltre, è importante ricordare che la tutela giuridica non si esaurisce nella sanzione del colpevole, ma mira anche a interrompere la circolazione dell’immagine lesiva e a ripristinare la dignità e l’integrità della persona offesa. La crescente diffusione di immagini personali in rete, spesso avvenuta senza alcun consenso, ha reso evidente quanto la tutela dell’immagine, dell’identità digitale e della libertà individuale sia oggi un tema centrale per il diritto.
Sebbene il legislatore sia intervenuto con strumenti specifici – come il reato di revenge porn ex art. 612-ter c.p. – e la giurisprudenza abbia progressivamente ampliato le garanzie anche in casi non tipizzati, permangono zone grigie, soprattutto con riferimento ai nuovi fenomeni digitali (deepfake, uso improprio di contenuti social, diffusione massiva su piattaforme chiuse).
L’equilibrio tra diritto all’informazione, diritto di cronaca e tutela dei diritti della persona impone al giurista, al giudice e al legislatore un continuo lavoro di bilanciamento, specie in un contesto tecnologico in rapida evoluzione. La difesa della libertà e dell’integrità digitale delle persone non può essere affidata solo alla repressione giudiziaria, ma richiede un approccio integrato, fatto di educazione, responsabilità collettiva e aggiornamento normativo costante.
20250332