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    Dipendenze giovanili, tra dati sugli studenti italiani e prevenzione mancata

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    Nell’indifferenza più totale, sono tantissimi i giovani italiani che fanno abitualmente uso di sostanze psicoattive. Malgrado gli interventi di sensibilizzazione in essere, permane comunque un certo distacco, che di fatto, nei casi più gravi, frena il processo di disintossicazione e, al contempo, anche il reinserimento sociale e professionale. 

    Giovani e dipendenze 

    L’adolescenza è un periodo complesso e travagliato in cui confluiscono stimoli e pulsioni differenti. A ciò va poi sommata la necessità istintiva di allargare gli orizzonti noti, elevando l’ignoto ad emblema della massima eccitazione. Il rischio in questo senso è perdere di vista i riferimenti primari – la scuola, la famiglia, le istituzioni – orientandosi acriticamente su quanto proposto dal gruppo di pari, la cui pregnanza diviene quindi fondamentale. Le conseguenze di una simile dinamica sono arcinote, ma volendo identificarle direttamente dobbiamo allora denominarle tossicodipendenze

    Proviamo a tracciare meglio il quadro basandoci sui dati forniti dal rapporto Espad “Navigare il futuro: dipendenze, comportamenti e stili di vita tra gli studenti italiani”, che offre un’analisi dettagliata del consumo di sostanze psicoattive. Alcune di queste sono presenti nel mercato da anni, mentre molte altre sono più recenti, ma non per questo meno impattanti sulla vita di chi ne fa uso. 

    Abitudini di consumo ed effetti 

    Tra le sostanze considerate dal report, cocaina, cannabis, eroina, stimolanti quali amfetamine e metamfetamine, allucinogeni, inalanti e solventi, anabolizzanti, oppioidi sintetici, ketamina. Circa 950 mila studenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni, corrispondenti al 39% del totale, riferiscono di aver assunto almeno una delle suddette sostanze psicoattive nel corso della propria giovane vita. 

    Quanto alle scelte di consumo, la cannabis risulta essere la sostanza maggiormente utilizzata dagli studenti; il 28% di essi, nella fascia d’età considerata dal report, riferisce di consumarla. Seguono, con percentuali inferiori, inalanti e solventi, stimolanti, allucinogeni, cocaina, anabolizzanti e oppiacei. La vera svolta avviene ogni qualvolta qualcuno chiede lumi a proposito del presunto ritorno dell’eroina, la cui assunzione assume oggi portate comunque importanti, dati i bassi prezzi di mercato. “In realtà non se n’è mai andata”, la spiegazione fornita da molti operatori attivi nella lotta alle dipendenze. 

    A prescindere dal tasso di anzianità delle sostanze disponibili, gli effetti riscontrabili sono di tipo psicotropo, ovvero tali da indurre una “modificazione del sistema nervoso producendo effetti di attivazione o inibizione a livello fisiologico che si traducono in stati alterati di coscienza”. 

    Età del primo contatto

    Volendo poi considerare l’età del primo contatto con gli stupefacenti, lo scenario diviene ancora più grave. Secondo i dati raccolti dalla Comunità di San Patrignano, attiva da decenni sul fronte della disintossicazione, il 40% dei giovani che entrano in comunità ha iniziato a fare uso di droghe ben prima dei 14 anni. Queste percentuali sono indici di un processo di normalizzazione che, divenendo anno dopo anno sempre più incalzante, fa sì che le droghe siano oggi spesso percepite come parte integrante della quotidianità. 

    Il rapporto problematico con la società

    Non meno importante è il filo rosso che unisce l’uso precoce delle sostanze, l’abbandono scolastico e la presenza di comportamenti antisociali. Ma al di là dei numeri e delle statistiche, ciò che dovrebbe colpire è la storia assolutamente personale sottesa dietro il consumo di sostanze. In questo senso, la tossicodipendenza altro non è che l’apice di un lungo percorso di ricerca della propria identità mai effettivamente giunto a compimento. 

    Nella maggior parte dei casi, ci si avvia su questo sentiero per compiacere il gruppo di coetanei, spinti dall’emulazione, oppure ancora per sfuggire ad una realtà socio-economica difficile. Una dose, una persona nuova; ecco in sintesi quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio rito. Di lì a poco, l’inizio della fine. 

    Molti i giovani che abbandonano le famiglie, ora dispensatrici di moniti sulla vita, ora gabbie opprimenti, per vivere in strada, ai margini della società. Altrettanti i genitori che sarebbero disposti a tutto pur di salvare il proprio figlio, e poco importa se quest’ultimo passaggio coincida con l’inizio di un percorso di cura lungo e tortuoso. 

    Iperindividualizzazione

    Degno di nota è anche il processo di iperindividualizzazione, che di fatto allontana sempre più il dialogo intergenerazionale. Non c’è allora da meravigliarsi se l’abuso di sostanze si trasformi in una risposta terribilmente immediata ai problemi incontrati nel corso della propria vita, gli stessi per i quali non sussiste alcun tipo di confronto, né tantomeno si dispongono gli strumenti di intervento adeguati. 

    Conclusioni

    A questo punto, la domanda è una: come intervenire? Tenendo ben a mente che l’azione in questione debba essere necessariamente strutturale, per non dire stratificata, esistono comunque alcuni accorgimenti che possono essere tenuti in considerazione. Facciamo qualche esempio: fornire un nome e un volto preciso alle vittime del tunnel della dipendenza, ma anche ascoltare le loro storie, mettendo da parte i pregiudizi.

    Smettere di pensare che soltanto le fasce economicamente più disagiate possano esserne risucchiate, piuttosto cogliere i piccoli, ma comunque percettibili, segnali della crisi in corso. 

    Niente di così speciale, niente di così esaltante, ma nonostante ciò passaggi da non sottovalutare affatto, soprattutto oggi, data l’enorme atomizzazione che coinvolge i contesti urbani. Chissà cosa potrebbe accadere quando, un giorno, ci si renderà conto che quanto detto poc’anzi vale anche e soprattutto in chiave preventiva. 

    A cura di Fiammetta Freggiaro – Vicedirettrice editoriale

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