Dopo settimane di negoziati, Stati Uniti e Unione Europea hanno annunciato un nuovo accordo commerciale volto ad allentare le tensioni tariffarie tra le due sponde dell’Atlantico. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente americano Donald Trump hanno presentato l’intesa come un passo verso la stabilizzazione delle relazioni economiche. Malgrado ciò, le reazioni dei governi europei rivelano un’Europa profondamente divisa, tra preoccupazioni economiche, disaccordi politici e timori strategici.
Un’intesa dai contorni incerti
L’accordo prevede l’introduzione di dazi uniformi del 15% su gran parte delle esportazioni europee, mantenendo però il 50% su acciaio e alluminio. L’Unione si è impegnata ad acquistare 750 miliardi di dollari in energia statunitense e a generare 600 miliardi di investimenti negli USA. Persistono ambiguità relativamente al settore tecnologico, mentre sono esclusi dall’intesa gli alcolici. I dettagli esatti dell’applicazione delle misure restano oggetto di confronto.
Parigi: “Giorno oscuro per l’Europa”
Tra le reazioni più dure, quella della Francia. Il primo ministro François Bayrou ha definito l’accordo “un giorno oscuro per l’Europa”, denunciando la rinuncia alla coerenza strategica del progetto europeo. Il ministro degli Affari europei Benjamin Haddad ha chiesto di ricorrere allo strumento anti-coercizione, mentre il ministro del Commercio Saint-Martin ha accusato l’UE di “mancanza di volontà nel rispondere a Trump”.
Il presidente Emmanuel Macron ha evitato commenti ufficiali, ma secondo fonti di governo sarebbe contrario a qualsiasi approccio accomodante che indebolisca l’autonomia strategica europea, già messa a dura prova dalle pressioni esterne.
Berlino: sollievo parziale, ma timori per l’industria
In Germania, il tono è stato più prudente. Il cancelliere Friedrich Merz ha parlato di un’intesa “necessaria per evitare l’escalation”. Tuttavia, l’industria automobilistica resta in allarme: secondo il VDA, il dazio del 15% sulle esportazioni verso gli Stati Uniti potrebbe costare oltre 7 miliardi di euro all’anno, penalizzando un settore già sotto pressione per la transizione ecologica e la competizione asiatica.Il compromesso, seppur accolto con cautela, viene visto come un modo per acquistare tempo. In ogni caso, la Germania spinge affinché si lavori a una riduzione progressiva delle tariffe.
Italia: equilibrio politico e preoccupazioni settoriali
L’Italia si è espressa in toni meno drammatici. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in missione ad Addis Abeba, ha definito l’accordo “un passo importante per evitare scenari peggiori”, sottolineando altresì come non sia “giuridicamente vincolante”. Ecco spiegato perché quest’ultimo richiederà verifiche puntuali sulle deroghe settoriali, con particolare attenzione al comparto agricolo.
Espressa preoccupazione da parte di varie categorie produttive: Assica ha segnalato un impatto negativo sull’export di salumi, mentre Ucimu teme ripercussioni sulle esportazioni di macchine utensili. Inoltre, la Cgil ha chiesto un tavolo di confronto urgente per tutelare i lavoratori nei settori colpiti. Le opposizioni, invece, parlano di una “resa politica mascherata da diplomazia economica”.
L’impatto sui mercati europei
L’accordo ha prodotto reazioni contrastanti sui mercati europei, evidenziando l’incertezza sul suo reale impatto economico. A Milano, l’indice FTSE MIB ha chiuso la giornata successiva all’annuncio in lieve calo, penalizzato soprattutto dai titoli del settore manifatturiero e automobilistico. FCA, Leonardo e CNH hanno registrato perdite comprese tra l’1,2% e il 2,8%, mentre si è mantenuto stabile il comparto energetico, in vista di maggiori scambi transatlantici nel settore gas e oil.
In Francia e Germania, i titoli legati alla produzione di acciaio e alla componentistica industriale hanno mostrato segnali di flessione. A Parigi, ArcelorMittal ha perso oltre il 3%, mentre a Francoforte Volkswagen e BMW hanno subito vendite significative da parte degli investitori istituzionali.
Sotto pressione anche l’euro, che ha perso terreno contro il dollaro, segno della preoccupazione per un possibile squilibrio commerciale strutturale nei rapporti con Washington. Secondo analisti di Société Générale, il rischio è che l’Europa si ritrovi ad importare energia e materie prime a prezzi crescenti, senza adeguate contropartite in termini di accesso ai mercati statunitensi.
I rischi per l’Italia
L’Italia, in particolare, rischia una doppia esposizione: non solo nei settori agroalimentari e meccanici, direttamente colpiti dai dazi, ma anche sul piano industriale, a causa di una crescente attrattività degli Stati Uniti per gli investimenti. Alcuni osservatori parlano di un possibile “effetto drenaggio”, con capitali che potrebbero progressivamente lasciare l’Europa per cercare condizioni fiscali e normative più vantaggiose oltreoceano.
Prospettive e interrogativi
L’Europa si trova di fronte a un bivio: consolidare una vera autonomia strategica oppure rincorrere compromessi tattici dettati dall’urgenza. Le divergenze interne, già evidenti in occasione dell’accordo con Washington, potrebbero acuirsi nei prossimi mesi.
L’intesa sui dazi segna una tregua, ma lascia insoluti tutti i nodi di fondo. Per Bruxelles, il rischio è di aver ottenuto la pace commerciale al prezzo della coerenza politica e della difesa degli interessi europei. Resta da capire se l’Europa sarà capace di agire con una sola voce o se continuerà a muoversi in ordine sparso, oscillando tra la dipendenza e la frammentazione.
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