Mercoledì 26 febbraio 2025, ospite de “L’aperitivo” è stato Don Mattia Ferrari, un uomo che ha fatto della sua missione sacerdotale una vera e propria battaglia per la giustizia sociale e la dignità umana.
Come cappellano di bordo di Mediterranea, il movimento che si batte per il soccorso dei migranti nel Mediterraneo, ha scelto di porsi in prima linea di fronte alle tragedie che ogni giorno si consumano lungo le rotte migratorie. “Non basta più fare manifestazioni in piazza, bisogna tendere la mano a chi soffre,” ha dichiarato don Mattia, esprimendo chiaramente il senso di urgenza e responsabilità che guida la sua azione.
LO SPIONAGGIO
Come riportato da L’Espresso, il cellulare di don Mattia è stato intercettato attraverso il potente software israeliano Paragon, utilizzato da aziende private legate alla sorveglianza a pagamento. “Non sappiamo se sia stato proprio Paragon, ho passato settimane a smentire, poi mi sono reso conto, vedendo le altre tre persone, che era vero e non dovevo rimanere sorpreso”, ha detto.
L’intercettazione, che ha avuto origine da ricerche svolte da ricercatori canadesi e da Meta, evidenzia un allarmante trend di violazioni della privacy ai danni di attivisti, giornalisti e difensori dei diritti umani. Nonostante ciò, don Mattia ha confermato la sua fiducia nelle istituzioni: “Abbiamo molta fiducia nel fatto che si riesca a fare chiarezza e a scoprire chi ci ha spiato. E’ chiaro che il quadro complessivo in cui si inserisce invece è visibile da tempo, ogni giorno la solidarietà è diventata a tutti gli effetti quasi subversiva”.
COME NASCE MEDITERRANEA
Il suo impegno va ben oltre le semplici parole di denuncia: don Mattia ha saputo incarnare una risposta concreta e urgente a una delle sfide più rilevanti del nostro tempo. “Mediterranea nasce nel 2018 come risposta a un sistema che ormai nega la dignità umana, specialmente nei confronti dei migranti”, ha spiegato, raccontando la nascita del movimento che, attraverso il soccorso in mare, ha cercato di riportare alla luce quei valori di umanità che sembravano svanire sotto il peso della politica populista.
Nei momenti più turbolenti, sono spesso emerse persone che hanno sentito il bisogno di unirsi, di prendere in mano la situazione e di agire come manifestazione di una crisi profonda della giustizia stessa.
Le ONG erano ridotte a poche unità operative, due o tre al mese, nel mar Mediterraneo, e sembrava quasi fosse stato accettato come “normale” che il soccorso in mare fosse visto come un ostacolo da rimuovere, anziché un dovere fondamentale.
In un contesto tanto grave, in cui il soccorso umano veniva messo in discussione come una pratica ormai superata, si stava cancellando l’eredità di secoli di civiltà. Ma proprio in quel momento storico, a fronte di una deriva culturale e politica preoccupante, è nata l’intuizione che ha dato vita a Mediterranea: la necessità di passare dalla mera denuncia a un’azione concreta, capace di restituire dignità e speranza a chi stava morendo nel mare. Non bastava più fare manifestazioni in piazza o esplicitare la propria protesta; era necessario agire, tendere la mano, e ricostruire una solidarietà e fraternità che andassero oltre le parole.
IL CASO ALMASRI
‘Questo caso è una grandissima ferita’. Parole semplici, ma complesse. Don Mattia spiega che la mafia libica si è inserita dentro un sistema di accordi, dopo Bidja, diventato un cosiddetto guardacoste; vari boss sono riusciti ad entrare nel meccanismo, come Muhammad al-Khoja e al-Nasseri, ricoprendo ruoli di grande importanza e contribuendo a consolidare un apparato che ha intrecciato il potere politico con quello della criminalità organizzata.
Il caso Almasri è pienamente rappresentativo di un contesto più ampio. La cattura è stata un lavoro di squadra: “è avvenuta anche grazie alla collaborazione di queste associazioni e movimenti con le istituzioni. La Corte Penale Internazionale ha scoccato questo mandato di arresto, perché negli anni, con le forze dell’ordine e con il Governo, c’è sempre stata una fortissima collaborazione nel denunciare”.
LA SOLIDARIETA’ NON VA PIU’ DI MODA
Don Ferrari racconta come, nel contesto dell’esperienza di Mediterranea, il primo slogan fosse “prima si salva, poi si discute”, un richiamo al primato del soccorso, che, dopo le prime missioni, si è trasformato in “noi li soccorriamo, loro ci salvano”.
Questo secondo motto, nato dal cuore e non solo dalla mente, racconta dell’incontro tra le persone che soccorrono e quelle che sono soccorse, un incontro che libera da schemi mentali egoistici e restituisce il senso profondo della vita, che è fondato sulla capacità di amare e di donarsi agli altri.
La crisi della salute mentale, che colpisce in particolar modo i giovani, è anch’essa il frutto di questa società basata sul principio di prestazione e sull’individualismo estremo. In un mondo in cui ognuno è lasciato a sé stesso, a lottare per raggiungere obiettivi materiali, la solitudine e il senso di alienazione diventano preoccupazioni sempre più diffuse. Tuttavia, come afferma Don Ferrari, in molte persone che si sono dedicate al volontariato con i migranti si è manifestata una sorta di “liberazione”. Si è compreso che “non è più il principio di prestazione che conta, non è più ciò che appari o il tuo rendimento, il tuo profitto, ma è ciò che sei, è la tua capacità di vivere, la tua capacità di amare, la tua capacità di donarti”.
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