Rientrata la situazione di forte tensione nelle strade di Los Angeles, il cielo sopra la California non accenna a schiarirsi. Il braccio di ferro con il governo federale del presidente Donald Trump, terminata una prima fase calda, entra in una fase di guerra fredda, in cui i contenziosi si moltiplicano su tutti i fronti, mentre l’orientamento dell’elettorato americano sembra cambiare.
La California, però, deve affrontare anche una crisi generale radicata nella sua storia e nella sua identità, mentre il governatore Newsom sembra sempre più proiettato verso le elezioni del 2028.
Ancora tensione a Los Angeles
Negli ultimi giorni, i rapporti tra il governo della California e il governo federale degli Stati Uniti sembrano essersi rilassati, almeno se si considerano i toni quasi belligeranti tenuti nelle ultime settimane per via degli scontri a Los Angeles tra manifestanti contrari ai raid federali anti immigrazione e la Guardia Nazionale affiancata da 700 marines. I disordini estesi a tutta la città sono rientrati, e, dopo che la sindaca democratica Karen Bass aveva lamentato pochi giorni fa la persistente presenza di truppe della Guardia Nazionale, il 21 luglio il Pentagono ha ritirato i Marines.
Insieme al governatore democratico Gavin Newsom, anche la Bass era finita nel mirino del presidente Trump nei giorni caldi della vicenda, ma questo sembra aver giovato al suo prestigio tra gli anti trumpiani. Intanto, a Los Angeles, il vescovo della diocesi di San Bernardino, mons. Alberto Rojas, ha inviato un documento ai suoi fedeli, dispensandoli ufficialmente dalle funzioni religiose per proteggere il loro “benessere spirituale”. Una misura simile, presa prima d’ora solo durante la pandemia Covid, è segno di un’insicurezza ancora molto diffusa tra le persone di origine latino-americana, che costituiscono il 40% della popolazione della California.
Scontro a colpi di sentenze
La linea dura applicata da Trump per mezzo dell’Immigration and Custom Enforcement ha infiammato il dibattito americano e mondiale, dai giornali ai tribunali. Un giudice locale aveva presentato un ricorso alla Corte Suprema chiedendo che ai migranti fosse riconosciuta la possibilità di dimostrare l’esistenza di fattori di rischio in caso di rientro nel paese di provenienza.
Il 23 giugno, la Corte Suprema ha ufficialmente respinto il ricorso con una prevedibile maggioranza di sei giudici conservatori, mentre i tre progressisti hanno presentato un documento di allarmato dissenso. La decisione della Corte ha di fatto impedito il rallentamento dei procedimenti di rimpatrio forzato voluti dall’amministrazione Trump. Pochi giorni prima, la linea di Trump aveva ottenuto un altro via libera con la decisione di una corte d’appello secondo cui il Presidente aveva la facoltà di schierare la Guardia Nazionale a Los Angeles per contrastare le proteste contro i raid dell’ICE, scavalcando Newsom, a cui spetterebbe questa facoltà in base alle leggi ordinarie.
Non si tratta però di una partita conclusa, dato che un altro giudice ha emesso una sentenza che impone all’ICE di fornire più garanzie e limitare i casi di uso arbitrario delle proprie facoltà nel fermare e trattenere i migranti sospetti irregolari. Il 14 luglio, Trump ha prevedibilmente richiesto alla corte di ritirare la richiesta di restrizioni. La partita legale è ancora aperta, dato che negli ultimi mesi ogni decisione dell’esecutivo federale è stata seguita da un turbine di sentenze incrociate, a favore o contro.
L’immigrazione secondo gli americani
Sicuramente la partita sull’immigrazione è una di quelle che si può definire decisiva, e va rilevato che sul tema l’orientamento dell’opinione pubblica statunitense sembra registrare un significativo cambiamento di umore: un sondaggio condotto da Gallup mostra che attualmente solo il 30% degli statunitensi crede che l’immigrazione debba diminuire, segnando un significativo calo rispetto al 2024, quando al termine dell’amministrazione Biden si era registrato un 55%.
Altri sondaggi, da parte di testate giornalistiche indipendenti e università, sembrano mostrare un generale calo del gradimento per le politiche dell’amministrazione Trump, anche in seguito all’attacco all’Iran del 22 giugno.
Guerra Fredda USA-California
Il clima da guerra fredda ideologica tra l’esecutivo federale e quello del Golden State inizia a manifestarsi nei modi più variegati. L’amministrazione Trump ha infatti intentato due cause contro il governo della California.
La prima riguarda il prezzo delle uova, che secondo Trump sarebbe enormemente cresciuto in California per via di una legge del 2018 a tutela del benessere delle galline. In realtà l’aumento del prezzo delle uova si sta verificando in tutti gli Stati Uniti, anche dove leggi di questo tipo non esistono. La seconda causa riguarda una legge californiana del 2013 che permette alle ragazze trans di partecipare a competizioni di categoria femminile, contrariamente all’ordine esecutivo firmato da Trump il 5 febbraio scorso appena dopo il ritorno allo Studio Ovale.
Il 9 luglio l’esecutivo federale ha intentato un’ennesima causa contro la California dopo che lo stato si era rifiutato di rivedere le proprie regole. L’esito di questi contenziosi è ovviamente molto incerto, e, al pari di quelli sull’immigrazione e i poteri presidenziali di cui sopra, è molto probabile che verranno assorbiti in una battaglia in cui al merito della questione si darà poco peso, dando rilevanza solo alla propria appartenenza politica. È però chiaro che la collaborazione tra il governo dello Stato progressista per eccellenza e l’amministrazione Trump è sempre più difficile, e che la stretta di mano tra Trump e Newsom dopo gli incendi che a gennaio devastarono i dintorni di Los Angeles sia solo un ricordo.
Risposte alla crisi immobiliare?
Mentre si prepara l’impatto delle decisioni federali, la politica interna californiana ha registrato delle importanti novità riguardo la crisi del settore immobiliare, che da diversi anni sta rendendo sempre più difficile abitare in California a prezzi abbordabili, con conseguente emorragia di abitanti.
Il parlamento californiano ha approvato delle modifiche al California Environmental Quality Act, legge del 1970 (firmata dall’allora governatore, tale Ronald Reagan) che istituisce una serie di controlli ambientali obbligatori per la costruzione di edifici e infrastrutture nello Stato. Tra i simboli dell’avanzamento sociale e ambientale dello Stato, negli ultimi anni la legge (o meglio, i suoi usi distorti) è stata identificata da molti come la causa dell’aumento dei prezzi degli immobili in California. Le modifiche alla legge, approvate con consenso bipartisan da repubblicani e democratici dello Stato, rimuovono alcuni controlli preliminari per alcune opere, come asili, sistemi antincendio e fognari, ma è dubbia l’efficacia di questo provvedimento per rendere di nuovo competitiva la California sul mercato immobiliare.
Va detto che gli stati che hanno beneficiato del flusso di persone dalla California stanno iniziando proprio per questo a sperimentare lo stesso aumento di prezzi degli immobili. Ciò che è sicuro è che le modifiche al CEQA sono state già criticate da parte di chi, preoccupato per la qualità del suolo da lasciare alle prossime generazioni, teme che le nuove deregolamentazioni possano di nuovo peggiorare la qualità di molte costruzioni, a danno dell’ambiente.
Newsom 2028?
Gli eventi di Los Angeles, nella loro drammaticità, lasciano solo molti interrogativi. Ciò che però appare sicuro è che Gavin Newsom, al secondo mandato in scadenza nel 2027, si stia presentando, volontariamente o meno, come il prossimo volto di punta del partito democratico per le elezioni presidenziali del 2028.
Di questo si sono già accorti i californiani: uno studio dell’università di Berkeley e del Los Angeles Times ha riscontrato che secondo almeno un californiano su 2, Newsom è evidentemente più concentrato sulla prospettiva della campagna del 2028 che sulla politica interna californiana. Non mancano certo i temi su cui il suo governo può essere criticato, non ultimi il fenomeno dei senzatetto e la gestione degli incendi di gennaio. È sotto gli occhi di tutti che molte azioni del governatore abbiano un unico secondo fine (o effetto, a seconda che ci sia volontà o no): apparire agli occhi degli USA come un’alternativa forte, ma soprattutto credibile a Trump: lo si era visto già all’inizio del mandato del Presidente, quando aveva convocato una plateale sessione speciale del parlamento californiano per chiedere sostegno economico aggiuntivo nelle previste battaglie legali contro l’amministrazione federale.
Newsom vs Trump
Va ricordato che già da tempo il nome di Newsom sembra tra i papabili per la candidatura democratica, possibilità rilanciata nei giorni incerti dell’abbandono della corsa presidenziale da parte di Joe Biden e poi dopo la fine della disavventura di Kamala Harris. Pesava su di lui, più che le criticità del governo locale (che non sembra considerare troppo), l’apparire troppo “di sinistra”, ma sembra che nelle ultime settimane, su alcuni temi, Newsom stia tentando di spostarsi su posizioni più moderate (per esempio sostenendo proprio le modifiche al CEQA).
Gli eventi delle ultime settimane, se hanno aumentato lo scontento tra i repubblicani meno radicali, hanno contribuito soprattutto a consolidare la narrazione del Newsom oppositore al Trump sempre più autoritario. La sua candidatura sembra riprendere credibilità, ma la strada al 2028 è ancora lunga. Nel frattempo, le elezioni di midterm del novembre 2026, (rinnovo della Camera dei Rappresentanti e di un terzo del Senato) saranno un primo termometro dell’opinione pubblica. Se saranno tali da determinare un governo diviso (esecutivo repubblicano, legislativo a maggioranza democratica), è ancora presto per dirlo.
Conclusioni
Tutto si può dire della contrapposizione tra il governo federale statunitense e lo Stato della California, ma non che abbia colto di sorpresa qualcuno. Il Golden State, che appare agli occhi del movimento MAGA (Make America Great Again, repubblicani radicali cementati intorno a Trump) come un bastione progressista, è un bersaglio perfetto per attacchi ideologici di ogni tipo, che colpiscono le politiche verdi, animaliste e “woke”. Allo stesso tempo, lo stato avanzato raggiunto in California da alcuni processi tipici dei paesi sviluppati nel XXI secolo, come l’implementazione di norme a protezione dell’ambiente e la crescente multietnicità, fa dello Stato un soggetto eccezionale da osservare, per capire come affrontare questioni così vaste e articolate, studiare cosa funziona e cosa no.
Questo significa che anche qui in Europa dobbiamo affrontare i prossimi anni tenendo d’occhio la possibilità che gli sviluppi californiani si ripetano nel Vecchio Mondo. Il cammino della California nella ormai turbolenta vita politica statunitense è invece tutto da scrivere.
20250286