Émile Durkheim, uno dei padri della sociologia, dedicò gran parte della propria attività accademica all’esplorazione del legame tra l’individuo e società, captando fin da subito la doppia trazione tra i suddetti poli. Così facendo, si convinse che l’olismo fosse l’unica via possibile per studiare l’agire degli individui. Quale migliore interprete per analizzare la contemporaneità?
Spaccati di realtà
Scandagliando panoramicamente la vita quotidiana, un dato su tutti emerge con nitidezza: esistono buone probabilità che i nostri posteri, una volta giunti sui banchi di scuola, associno all’epoca corrente il lemma “disagio”. Ora, è chiaro che il disagio che oggigiorno fa compagnia a molti nostri coetanei è differente da quello ravvisabile calandoci nel periodo della grande guerra; interiore il primo, economico ed infrastrutturale il secondo. Nonostante ciò, il minimo comune denominatore – violenze e distruzioni – sembra permanere. A dimostrarlo sono le pagine della cronaca, quelle che sfogliamo con la solerte passività tipica di chiunque intenda proseguire su sentieri già battuti, anziché indagare ciò che si cela al di là del proprio dominio di competenza.
La lista degli esempi che possono essere forniti a supporto di questa tesi è molto lunga, per dovere di cronaca citiamo qui quelli più significativi. 21 febbraio 2001, delitto di Novi Ligure: Erika De Nardo, appena sedicenne, e il suo fidanzato di allora Mauro “Omar” Favaro massacrano con oltre 97 coltellate la madre e il fratello undicenne della ragazza. Paderno Dugnano: nella notte compresa tra sabato 31 agosto e domenica 1˚ settembre 2024 un 17enne usa con grosso coltello da cucina per uccidere suo fratello e i suoi genitori, confessando in seguito ai carabinieri di aver agito avvertendo di essere “un corpo estraneo nella famiglia”. Frosinone: in seguito ad un tentativo di rapina di uno smartphone, un 17enne finisce in ospedale con prognosi riservata per le ferite riportate alla pancia e all’addome. Vignale di Traversetolo: la 21enne Chiara Petrolini – giudicata dal Tribunale del Riesame di Bologna “lucida, senza scrupoli e pericolosa” – viene indagata per duplice omicidio pluriaggravato e soppressione di cadaveri, ovvero sia i suoi stessi figli partoriti in casa e poi sepolti nel giardino dell’abitazione. Senigallia: un adolescente di quindici anni si toglie la vita con la pistola detenuta dal padre non reggendo il peso del bullismo, nonché lo spettro di un brutto voto ricevuto a scuola, episodio che avrebbe aggravato un preesistente stato di fragilità emotiva. San Sebastiano al Vesuvio: Santo Romano, 19 anni, muore per mano di un 17enne in seguito ad una lite scoppiata per futili motivi.
Nel nostro piccolo, per quanto di competenza, possiamo mettere da parte i pregiudizi e condurre un’indagine prendendo spunto dai seguenti interrogativi: è davvero ipotizzabile che nessuno abbia mai colto un qualche segnale premonitore? Le dinamiche in questione si sarebbero potute evolvere diversamente? La realtà è che questi episodi, apparentemente slegati tra loro, muovono da un disagio individuale invisibile ai più, benché iscritto nel contesto sociale di volta in volta preminente. Lo stesso contesto che vede pullulare individualismo, narcisismo e ipermediatizzazione e che nessuno di noi, per mancanza di tempo, osa più analizzare in profondità. Chi scrive intende andare controcorrente assimilando la società ad un organismo da curare, affiancando dunque ai sintomi – sia evidenti che latenti – una diagnosi e una prognosi tali da controbilanciare il carattere urgente della patologia in essere.
Scavare oltre la superficie
Procediamo con ordine partendo dai sintomi. Violenze impulsive, tossicomanie, alcolismo, ma anche anoressia, bulimia, ansia generalizzata, depressione ed attacchi di panico costituiscono alcuni dei casi clinici più frequenti. Parte di questi vedono nella pandemia da Covid-19 la propria matrice, come dimostrato dal rapporto “Generazione Post Pandemia: bisogni e aspettative dei giovani italiani nel post Covid 19” elaborato da Censis, Consiglio Nazionale del Giovani e Agenzia Nazionale dei Giovani. Sfogliando le oltre 40 pagine dello stesso, si apprende che il 49,4% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni ha sofferto di almeno due dei casi citati poc’anzi – in particolare ansia e depressione – nell’arco temporale concomitante all’insorgenza dell’emergenza sanitaria.
D’altro canto, a distanza di quasi cinque anni dall’introduzione delle misure preventive di sicurezza sanitaria, i problemi proseguono ad oltranza. Lo testimonia il progetto “Mi vedete?” realizzato da Lundbeck Italia e Your Business Partner: il 71% del campione intervistato ammette di provare un disagio riscontrabile tra quelli elencati. Aspetto interessante è che, secondo la ricerca, solo il 31% dei genitori si accorge delle negatività vissute dal proprio figlio. A ben guardare, non c’è da stupirsi: le persone che ci mettono al mondo sono le stesse – vuoi per distanza generazionale, vuoi per mancanza di interessi comuni – a danno delle quali definiamo rigide barriere relazionali. E qualora sussistano delle tenue parvenze di comunicazione, quest’ultima si professa tremendamente unidirezionale. Il motivo è presto detto: la famiglia non è più il luogo deputato all’incontro, al dialogo e all’ascolto; tutte componenti che fin dai tempi più remoti necessitano di tempo, impegno e volontà per potersi dire effettivamente tali. Il silenzio e le incomprensioni prendono così il posto delle parole, sfociando talvolta in violenza pur di catalizzare l’attenzione del proprio interlocutore ed imporre il proprio punto di vista.
Vedendo latitare il riscontro di cui si avrebbe bisogno, ci si chiude a riccio, declassando il mondo esterno a perenne minaccia. Questo l’humus sul quale attecchiscono silenziosamente gli oltre 60mila adolescenti che vivono in una condizione di isolamento sociale, i circa 3 milioni casi di DNA, finanche i 532 giovani – attestati a febbraio 2024 – reclusi nei diciassette Istituti Penali per Minorenni d’Italia.
Diagnosi
Questa carrellata intende mostrare come il disagio giovanile si celi dietro volti differenti, non di certo ascrivibili a mere percentuali statistiche; è dunque compito delle istituzioni conferire loro un qualche senso logico. Tanti i fronti aperti e tutt’oggi insoluti, ma da dove partire? Rispondere a questo interrogativo è possibile ribadendo l’organicismo anticipato in apertura: molti giovani crescono senza sogni né obiettivi, per di più perdendo di vista la differenza tra bene e male; qui sta la crisi della retorica educativa preposta originariamente al nucleo domestico. Quest’ultimo, non riuscendo più a veicolare modelli edificanti di riferimento, supplica l’intervento – dal canto suo salvifico – della scuola per colmare le lacune presenti e “sistemare” gli stessi figli. Occhio alla semantica, perché questa la dice lunga sulle manchevolezze di cui stiamo trattando: sistemare lo si può dire di un suppellettile, non di certo di un giovane che meriterebbe attenzioni. Il risultato che si ottiene è però tutt’altro che lodevole: complice l’attestazione della scuola-azienda orientata al mercato anziché alla crescita personale, un continuo ed incessante andirivieni di errori, puntualmente scaricati sulla controparte pur di non minare la propria integrità morale.
A farne le spese sono i destinatari ultimi di questa prosopopea, che rischiano di affidare nelle mani sbagliate la propria voglia di riscatto. Il perché di tutto ciò è facilmente dimostrabile: fin dai primi anni di vita, ciascuno di noi subisce la coercizione del contesto sociale che ci ospita, elaborando inconsapevolmente vizi e virtù degli agenti deputati al processo di socializzazione. Soltanto in un secondo momento, accogliendo stimoli e visioni eterogenee, si affina il pensiero critico e ci si espone alle intemperie della vita quotidiana; ed è così che, improvvisamente, quest’ultima diviene la nostra fida consigliera.
Una dinamica articolata secondo le modalità di cui sopra fa sì che i giovani siano come spugne al servizio di opinion leader dotati di un certo grado di autorevolezza; da qui il fatto che la scarsa genuinità o la condotta riprovevole di questi possa rivelarsi fatale. D’altro canto, è fuorviante ritenere che il rischio ‘contagio’ si attenui proporzionalmente al decorso anagrafico: come spesso accade nei fenomeni sociali complessi, a mutare è semplicemente la superficie, e non le fondamenta.
Prognosi: il ruolo della politica
Parzialmente diverso il discorso circa il dilagare della violenza: il suo essere scorporata dal senso testimonia la difficoltà del tradurre la violenza stessa in conflitto. Si badi bene, la violenza è parte integrante, benché primitiva, del conflitto; i due versanti si compenetrano da tempo e probabilmente si compenetreranno ancora a lungo, nonostante l’uomo faccia uso dell’intelletto per relazionarsi nella comunità. Ciò che raramente viene detto è che le più importanti cesure storiche sono state tali in presenza di una dialettica di reciproco riconoscimento, resa successivamente manifesta per mezzo della parola. I recenti fatti di cronaca evidenziano, invece, un completo ossimoro: tante le narrazioni profuse, discutibili – se non esigui – i risultati ottenuti. Qui entra in gioco la politica: il suo operato, sia materiale che simbolico, può innescare la canalizzazione sociale e ripristinare il dialogo interrotto. I lavori sono in corso, anche se allo stato il panorama circostante fa fatica a cantare vittoria. In ogni caso, una cosa è certa: più c’è emarginazione sociale, più la violenza diviene sistemica e le vittime da piangere aumentano a dismisura.
A cura di
Fiammetta Freggiaro (Vicedirettrice editoriale vicaria)