Nel Regno Unito è nato un bambino con il DNA di tre persone differenti.
Nato da fecondazione assistita, sfruttando il Dna di tre persone diverse per cercare di contrastare la trasmissione di geni difettosi nei mitocondri della madre, è il primo bambino europeo con un padre e due madri genetici.
La procedura, che si chiama donazione mitocondriale, era stata approvata Oltremanica nel 2015 ed è possibile soltanto in una clinica (il Newcastle Fertility Center), dove è somministrata previa una valutazione caso per caso. Il risultato è stato quindi raggiunto dopo che i ricercatori del Newcastle Fertility Centre hanno ottenuto il permesso di sperimentare questo discusso procedimento, nel 2017.
Tuttavia, il primo caso di bambino nato grazie ad un trattamento di donazione mitocondriale (MDT) risale al 2016, in Messico, quando una madre con geni portatori della sindrome di Leigh – rara malattia che colpisce il sistema nervoso e spesso porta al decesso – ha fatto ricorso alla tecnica. In precedenza, la donna aveva subito quattro aborti spontanei e aveva avuto due figli: il primo morto a sei anni, l’altro a soli otto mesi.
Questa innovativa tecnica di fecondazione in vitro prevede la sostituzione del DNA della madre con quello di una donatrice, allo scopo di scongiurare la trasmissione di malattie mitocondriali (che coinvolgono i mitocondri, organelli cellulari che hanno il compito di produrre energia). Poiché è stato appurato che il DNA mitocondriale è ereditato esclusivamente dalla madre, le donne gravide portatrici di mutazioni pericolose nei loro mitocondri possono trasmetterle ai loro figli. In media, si stima che queste patologie genetiche riguardino un bambino ogni 5.000.
E bene specificare che, anche se l’embrione risultante ha il materiale genetico di tre persone, soltanto una piccola parte – corrispondente a circa 37 geni – proviene dalla donatrice. L’espressione “three-parent baby” utilizzata per indicare questi bambini è dunque fuorviante, vdato che il 99,8% del DNA dei nuovi nati proviene dai genitori naturali.
A cura di Lorenzo Minio Paulello