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    “Ecogiustizia subito: in nome del popolo inquinato”

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    Questo è il titolo della campagna nazionale promossa da Acli, Agesci, Arci, Azione Cattolica Italiana, Legambiente e Libera che ha preso avvio il 27 novembre scorso dopo il flash-mob dinanzi la scalinata della Corte d’Appello di Torino, dove in questi giorni si sta celebrando il processo “Eternit bis”. Ed è proprio Casal Monferrato, la cittadina che ospitava lo stabilimento produttivo del cemento-amianto della ditta Eternit, la prima delle sei tappe della marcia all’insegna della legalità che da novembre ad aprile attraverserà la penisola insieme a tante associazioni, reti sociali, comitati locali e istituzioni che vogliono mobilitarsi per la giustizia ambientale e siglare un “Patto di comunità per l’Ecogiustizia.  

    LE RAGIONI E LE RICHIESTE

    L’iniziativa è resa necessaria considerando il fatto che in Italia sei milioni di persone vivono ancora in aree gravemente inquinate e 42 sono i SIN, ovvero i siti di interesse nazionale in attesa di bonifica, per una superficie totale di circa 170.000 ettari a terra e 78.000 ettari in mare. In queste aree e nelle zone limitrofe vengono registrate gravi malformazioni, tumori e decessi in percentuale maggiore rispetto al restante territorio nazionale. Inoltre, nella maggior parte dei casi, si tratta di aree produttive dove si consumano processi di de-industrializzazione, incrementando degrado sociale e ambientale. 

    Le associazioni chiedono impegni concreti e tempi certi per le bonifiche, oltre all’applicazione del principio di diritto internazionale “chi inquina paga” e all’affermazione del diritto alla salute. Bonificare le aree inquinate significa anche garantire quel diritto all’ambiente salubre e allo sviluppo locale nell’ottica della transizione ecologica che oggi fatica a esserci in questi luoghi. Attivare un piano di risanamento potrebbe portare a ulteriori benefici e risultati concreti sul piano occupazionale ed economico: secondo una stima di Confindustria, un investimento di 10 miliardi di euro nelle bonifiche dei SIN potrebbe creare 200mila nuovi posti di lavoro, incrementando la filiera occupazionale dell’economia green e riuscendo ad affermare l’esistenza di posti di lavoro puliti che non pongono a rischio la vita degli occupati. 

    VIAGGIO NEI LUOGHI SIMBOLO DELLE INGIUSTIZIE AMBIENTALI

    CASAL MONFERRATO, ‘LA CITTÀ BIANCA’

    A Casal Monferrato veniva lavorato l’amianto, il minerale fibroso largamente impiegato nel settore dell’edilizia. Qui i dipendenti, per via delle operazioni di trasformazione dell’asbesto in cemento-amianto, lavoravano immersi in una vera e propria nube bianca polverosa, respirando quotidianamente silicati fibrosi come il crisolito, la crocidolite e l’amosite. L’inalazione, l’ingerimento e l’esposizione prolungata alla nube hanno provocato infiammazioni corporee importanti che, sul lungo periodo, hanno condotto a numerosi casi di asbestosi e di mesotelioma pleurico. A essere coinvolti non sono solo gli operai dell’ex Eternit, ma anche i familiari degli stessi, i restanti casalesi e gli abitanti di una vasta area pregna di polveri tossiche, limitrofa al comune di Casale. 

    Il caso di Casal Monferrato è considerato da molti uno dei più gravi disastri ambientali della storia italiana, le vicende giudiziarie si concludono per il primo grado con 714 pagine di sentenza, il riconoscimento di 62 morti sul lavoro e 330 morti civili connesse all’amianto e la condanna a 16 anni di reclusione per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, l’uomo alla guida dello stabilimento dal 1975 al 1986, per i reati di disastro innominato doloso e aggravato e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, aggravata da infortuni realmente verificatisi. Ma con l’intervento della Cassazione la sentenza venne erosa così come le condanne in essa previste.

    Le opere di bonifica di quello che era il sito di lavorazione di amianto più grande d’Europa prendono avvio alla fine del secolo scorso e terminano con 54.000 mq di superfici rimosse e 1500 mc di amianto inviato in discarica, a oggi quello operato a Casale è l’unico intervento di bonifica e demolizione portato a termine in Italia, ma per le associazioni quanto fatto non basta. Secondo l’oncologa Daniela Degiovanni, anche medico del lavoro presso l’ospedale casalese, di amianto si muore ancora: sono circa 50 gli individui che ogni anno sono affetti da patologie asbesto correlate. Ciò sarebbe connesso allo stato di abbandono del polo produttivo, possibile fonte di inquinamento atmosferico, nonché dall’insufficiente opera di bonifica operata dal Comune. 

    Il secondo atto del processo all’ex Eternit è cominciato e i cittadini, assieme ad AFEVA (Associazione familiari e vittime da amianto) attendono un epilogo che possa in parte ristorarli dei danni e delle perdite subite. 

    TARANTO, QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DEL QUARTIERE TAMBURI   

    Il 15 gennaio 2025 la campagna “Ecogiustizia” sarà a Taranto, per la seconda tappa. Anche in questo territorio, come in quello di Casal Monferrato, si è verificata un’ipotesi di cumulative pollution: la compromissione dell’ecosistema è stata provocata dall’accumulo seriale delle offese arrecate alle risorse naturali. 

    A Taranto e nelle zone immediatamente circostanti l’attività produttiva ha inizio ben prima del 25 luglio 2012, ma questa data è importante perché ha segnato l’avvio di un’infinita e tortuosa vicenda processuale, che ancora oggi prosegue nei meandri dei palazzi di giustizia. 

    Nell’estate 2012 vengono mosse contestazioni ai vertici della società Ilva s.p.a. e di altre due società collegate, la Riva F.I.R.E. s.p.a. e la Riva Forni Elettrici s.p.a., nonché ad altri soggetti, tra cui i rappresentanti delle istituzioni politiche e amministrative locali per le emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico presente sul territorio. Le contestazioni si articolano in 35 capi di imputazione, essi ruotano essenzialmente attorno a due nuclei, cui si aggiunge l’associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione dei reati contestati. Il primo nucleo attiene alla tutela dell’incolumità pubblica e dell’ambiente, in esso l’accusa annoverava reati come il disastro ambientale doloso e l’avvelenamento di sostanze alimentari. Il secondo nucleo attiene all’adozione dei provvedimenti autorizzatori che secondo l’accusa avrebbe integrato le ipotesi di concussione, corruzione e abuso d’ufficio. Sempre nello stesso periodo viene disposto il sequestro preventivo dello stabilimento, ed è stato allora che la crisi ambientale locale attrasse l’interesse nazionale: il sequestro avrebbe interrotto l’attività produttiva, con un devastante impatto negativo sul piano occupazionale di una regione già in sofferenza lavorativa. 

    Non si trattava solo di una contrapposizione istituzionale, tipica italiana, tra potere politico e potere giudiziario, ma di uno scontro ideologico tra tutela della salute e diritto del lavoro. La controversia è stata in parte risolta con la sentenza della Corte costituzionale 85 del 2013, che ammetteva la prosecuzione dell’attività lavorativa nello stabilimento siderurgico, seppure in un regime di commissariamento, con sacrificio della fondamentale tutela alla salute. 

    Di fronte ad un caso tanto complesso devono essere presi in considerazione anche gli studi epidemiologici condotti in loco, i quali hanno dimostrato l’eccesso della mortalità nella città di Taranto e nell’area limitrofa, oltre ad un aumento di patologie oncologiche, dell’apparato respiratorio, digerente e cardiovascolare nella popolazione residente nei quartieri più prossimi alla zona industriale, rilevando una verità incontrovertibile di environmental Justice: in materia ambientale le conseguenze peggiori ricadono sugli strati meno abbienti della società, sugli ultimi, gli indifesi. 

    Anche qui le attività di bonifica non sono state realizzate, diversamente da quanto era stato promesso e mentre si discute per la proprietà del sito produttivo, continuano a essere registrati decessi da mesotelioma pleurico. 

    LE ALTRE TAPPE

    La campagna nazionale proseguirà poi nella data del 22 gennaio 2025 a Marghera, in provincia di Venezia, emblema dell’inquinamento criminale della laguna, qui le bonifiche si sono impantanate tra incidenti istituzionali e burocratici, opere inesistenti, controlli mancati e spese vertiginose, portando a un nulla di fatto. 

    Il 12 febbraio la marcia toccherà i territori di Augusta, Priolo e Melilli, in provincia di Siracusa. Ribattezzata ‘quadrilatero della morte’, l’area iblea è stata sede dell’aggressiva industria petrolchimica che dagli anni ‘50 avvelena suolo, acqua e aria, compromettendo la salute degli abitanti. L’Atlante delle Patologie pubblicato dall’ASL 8 di Siracusa in collaborazione con l’Università di Catania rileva come la mortalità per tutti i tumori nella provincia di Siracusa sia aumentata e come nel solo distretto di Augusta si siano registrati scostamenti significativi in rapporto agli standard regionali, con valori dei tassi standardizzati superiori alla media nazionale. Contribuiscono a questo ulteriore peggioramento sia i tumori del polmone sia quelle neoplasie che ammettono fattori eziologici professionali, tra le quali i tumori epatici, pancreatici e pleurici, a dimostrazione non solo dell’inquinamento atmosferico, ma di tutta la matrice ambientale e di conseguenza della catena alimentare. 

    E ancora, nel 2005 anche l’Osservatorio Epidemiologico dell’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia ha pubblicato uno studio sull’analisi della mortalità dal 1995 al 2000 e dei ricoveri ospedalieri dal 2001 al 2003 riguardante la popolazione residente nelle aree a elevato rischio ambientale della Sicilia, riconoscendo che l’area di Augusta-Priolo presentava un eccesso di patologie tumorali sia negli uomini che nelle donne. 

    Anche qui, dopo oltre 10 anni dall’ottenimento dei primi risarcimenti, le persone continuano a morire a causa dell’elevato inquinamento da mercurio, piombo, arsenico e diossine mentre negli occhi si riflette il loro mare “colore brunastro e ferruginoso”.

    Le ultime due tappe saranno poi quelle del 12 marzo a Brescia e del 3 aprile a Napoli

    UNA QUESTIONE MORALE 

    Studiando la geografia delle sei tappe è possibile individuare una mappa dei luoghi più significativi del processo di industrializzazione del nostro Paese, delle conseguenze di scelte politiche nefaste, nonché dei casi più significativi di compromissione delle risorse ambientali spesso emersi a considerevole distanza di tempo dall’avvio delle attività produttive. 

    Una mappa che lega con un filo grigio aree diverse ma congiunte dallo stesso tragico destino e, mentre gli atti giudiziari si accumulano nelle aule di tribunale, pare necessario domandarsi se sia degno di un Paese civile morire per un pezzo di pane, se sia lecito dire: “meglio il cancro, che la fame”.

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