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    Gli effetti dei dazi sul made in Italy: i settori a rischio

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    Con l’imposizione dei dazi al 30% su tutte le importazioni dall’Unione Europea a partire dal primo agosto, il rischio di una guerra commerciale si fa sempre più concreto e i prodotti del made in Italy figurano tra i beni più a rischio. La misura intrapresa da Donald Trump ha colto di sorpresa le capitali europee che speravano ormai in un accordo di gran lunga più vantaggioso. L’Unione aveva infatti negoziato un’intesa preliminare sui dazi al 10%, considerata “dolorosa” per l’economia del Vecchio Continente. 

    Il peso del mercato USA

    Gli Stati Uniti rappresentano uno sbocco cruciale per l’export italiano: sono il secondo mercato di destinazione per le nostre merci dopo la Germania. Nel 2024, le vendite annuali verso gli Stati Uniti sono state pari a 64,7 miliardi di euro, un ammontare che definisce circa il 9% dell’export nazionale. 

    I beni made in Italy più esportati oltreoceano spaziano dall’industria farmaceutica e chimica all’automotive, dalla cantieristica navale ai macchinari industriali. Non vanno dimenticati i settori dell’agroalimentare e della moda grazie ai quali, con alimenti tipici e prodotti di lusso e design, l’apprezzamento dei consumatori statunitensi per la qualità italiana ha trainato le esportazioni negli ultimi decenni.

    Proprio questa trasversalità dei beni commerciati con gli Stati Uniti rende l’Italia fra i Paesi europei più esposti ai nuovi dazi. Un’analisi dell’ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale – indica che l’Italia sarebbe il secondo membro UE più colpito dopo la Germania, dato l’elevato peso dei beni manufatti nel nostro export. 

    I settori italiani più a rischio

    L’annuncio di Trump minaccia di colpire una vasta gamma di prodotti storici italiani. In campo agroalimentare, beni di punta come l’olio extravergine d’oliva, formaggi tipici come il parmigiano o il pecorino e i vini DOCG, subendo un +30% di tariffa doganale, rischiano di vedere compromessi i già risicati margini di profitto delle esportazioni. Analogamente, alcuni prodotti di largo consumo – dal cioccolato belga al burro irlandese, sino all’olio d’oliva italiano – rientrano tra i beni potenzialmente più colpiti, poiché potrebbero essere sostituiti da alternative più economiche.

    Anche i comparti manifatturieri e del lusso subirebbero contraccolpi significativi. Borse, calzature e accessori in pelle, pilastri dell’export italiano, vedrebbero i rispettivi prezzi impennarsi, mettendo a rischio la domanda da parte dei consumatori americani. Allo stesso tempo, macchinari industriali, apparecchiature meccaniche e mezzi di trasporto prodotti in Italia diventerebbero sensibilmente più costosi per gli importatori statunitensi. 

    Possibili effetti sull’economia italiana

    Le preoccupazioni per l’impatto economico dei dazi sul nostro Paese sono elevate: Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, ha sottolineato come l’Italia “non esporti solo beni di lusso la cui domanda è meno sensibile al prezzo ma soprattutto macchinari, mezzi di trasporto e articoli in pelle”, settori per cui un forte aumento dei prezzi potrebbe tradursi in un brusco calo degli ordini; lo stesso vale anche per la filiera dell’agroalimentare. Se marchi italiani iconici dovessero perdere quote di mercato negli Stati Uniti, gli effetti si estenderebbero a monte su tutta la filiera produttiva. 

    Confindustria stima che anche i dazi inferiori – pari al 10% – applicati sulle merci europee avrebbero comportato per l’Italia 20 miliardi di euro di export persi e 118.000 posti di lavoro a rischio nel giro di un anno. In aggiunta, a causa della contestuale svalutazione del dollaro – circa -13% a partire dall’elezione di Trump – queste stesse tariffe, di fatto, si sarebbero tradotte in un aggravio del 23% sui prodotti italiani per i clienti americani.

    Con questi presupposti, un’aliquota al 30% potrebbe portare al potenziale shock dell’export italiano, nonché determinare un significativo calo del PIL, fenomeno che riverserebbe i suoi effetti sul tasso di occupazione, mettendo così a rischio migliaia di lavoratori, quasi 170.000 secondo le stime.

    Il mercato e gli effetti per le imprese

    Il 43% delle nostre esportazioni negli USA è composto da articoli di alta qualità. La clientela che normalmente ne usufruisce potrebbe in parte assorbire l’aumento dei prezzi senza azzerare la domanda. Le imprese esportatrici italiane potrebbero tentare di ridurre i propri margini per mantenere competitivi i prezzi. Per molte piccole-medie imprese italiane orientate all’export, soprattutto nell’agroalimentare e nella componentistica industriale, i dazi rischiano di erodere la redditività e frenare investimenti e assunzioni.

    Reazioni del Governo e prospettive per il futuro

    Palazzo Chigi ha definito “essenziale rimanere concentrati sul negoziato, evitando polarizzazioni che renderebbero più complesso raggiungere un accordo”, mantenendo così un profilo cauto. L’auspicio è sfruttare il mese di luglio per trovare un compromesso ed evitare una guerra commerciale contro gli alleati transatlantici che “non avrebbe senso”.

    In un momento in cui l’economia italiana mostra timidi segnali di ripresa, un crollo dell’export verso il secondo mercato mondiale potrebbe rallentare ulteriormente la crescita. Mentre Bruxelles valuta contromosse e Washington insiste sul riequilibrio dei deficit commerciali, le industrie italiane si preparano a una possibile nuova crisi. Agosto si avvicina rapidamente e, salvo svolte nei prossimi giorni, potrebbe entrare in gioco un rincaro doganale capace di ridisegnare i flussi del commercio e mettere a dura prova la tenuta di intere filiere produttive italiane

    Conclusioni

    In gioco non c’è solo qualche punto percentuale del PIL, ma la sorte di aziende e distretti che hanno fatto del made in Italy un’eccellenza globale. La posizione che l’esecutivo italiano deciderà di assumere – contestualmente al dialogo portato avanti dalle istituzioni europee – si rivelerà di fondamentale importanza per l’economia del Paese.

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