Il prossimo 5 ottobre si terranno in Siria le prime elezioni parlamentari dopo la caduta del regime di Assad. I siriani però non avranno a disposizione un sistema di voto democratico, bensì ibrido.
Le elezioni
Il popolo siriano, guidato dal presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, il 5 ottobre andrà alle urne per decidere da chi sarà composta l’assemblea legislativa. Ma è veramente così? In realtà le elezioni di ottobre, inizialmente previste per settembre ma poi rinviate, non sono considerabili figlie di un sistema democratico. Infatti, la nuova assemblea si formerà sulla base di un sistema ibrido, basato sulla costituzione promulgata nel marzo di quest’anno: dei 210 deputati, infatti, due terzi saranno eletti tramite collegi elettorali su liste bloccate, influenzati da persone nominate dallo stesso Sharaa, mentre la restante parte sarà nominata direttamente dal presidente.
Il collegio elettorale e i suoi componenti, che si stima saranno tra le 6mila e 7mila persone, verranno selezionati, sulla base dei 62 distretti, dai comitati elettorali. Nonostante quindi la volontà da parte di al-Sharaa di voler impegnarsi per ricostruire lo stato siriano, in realtà il voto sarà di fatto una formalità, giustificando questa forma autoritaria con la necessità di stabilità in un paese martoriato dalla fragilità istituzionale e la disgregazione sociale, da altri interpretata come una modalità di accentramento e rafforzamento del potere nelle sue mani.
La retorica, quindi, di transizione democratica, inclusiva e partecipativa del “nuovo che avanza” va in netto contrasto con la realtà dei fatti, perché di fatto non sarà il popolo a scegliere i suoi rappresentanti, come per tutti gli anni del passato regime assadiano.
Il significato dietro il voto
Il 5 ottobre non rappresenta solo il giorno in cui, più o meno, i cittadini voteranno i loro nuovi rappresentanti, ma è soprattutto un banco di prova per il governo siriano della sua stabilità e credibilità.
Sul fronte estero il buon andamento delle elezioni sarà una dimostrazione dell’impegno politico di al-Sharaa nel tentare di ricostruire il proprio paese dopo 53 anni di regime di Assad, di cui 14 anni di guerra. Ma su quello interno, l’accostamento di un ideale democratico con un processo in contrasto con esso, rischia di creare uno scollamento nell’opinione pubblica, alimentando tensioni interne.
Sommando a queste criticità anche l’esclusione delle regioni curde del nord e del nord-est e la provincia drusa di Suweyda, si rischia di arrivare a criticità che potrebbero compromettere l’intero percorso di transizione. La rappresentanza di minoranze, etniche e religiose, in un paese così disgregato non è una questione soltanto politica: si tratta di legittimare porzioni di popolazione ad essere parte integrante della ricostruzione politica ed economica. Per queste aree particolarmente calde la rappresentanza politica all’interno del nuovo parlamento sarà sostanzialmente inesistente.
La commissione elettorale
A tutte le accuse avanzate sul procedimento autoritario e poco trasparente delle prossime elezioni, la commissione elettorale respinge le insinuazioni, assicurando che tutti i deputati saranno scelti sulla base delle competenze e della rappresentanza locale. I tempi stretti per la preparazione di un così complesso iter elettorale non permettono una trasparenza completa, rendendo di fatto la presenza di osservatori internazionali solo formale.
Conclusioni
Il nuovo parlamento sarà uno strumento di coesione sociale ed espressione delle varie categorie, o sarà solamente un organo creato dall’alto senza reali margini di manovra? In una Siria che necessita risposte e politiche durature, riuscirà questo parlamento ad essere uno strumento di stabilità all’interno del Medio Oriente?
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