Dopo il caso dell’ingegnere iraniano Abedini, arrestato in Italia con l’accusa di traffico internazionale di armi e rilasciato il 12 gennaio su richiesta del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, un altro episodio ha sollevato polemiche e acceso un ampio dibattito nell’opinione pubblica.
Questa volta, al centro delle attenzioni è la scarcerazione di Najeem Osema Almasri Habish, comandante della polizia giudiziaria libica, arrestato a Torino domenica scorsa in esecuzione di un mandato emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI).
Il fatto
Da quanto si apprende, sabato 18 gennaio Almasri si trovava in Germania, dove si è recato presso un autonoleggio per chiedere se fosse possibile restituire il veicolo preso in affitto presso l’aeroporto di Fiumicino. Nella stessa giornata, la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti, accogliendo una richiesta del procuratore datata 2 ottobre, spiccato «per i reati di crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga (Libia) dal 15.2.2011 puniti con la pena massima dell’ergastolo.»
Durante quelle ore, un funzionario della Corte dell’Aia ha contattato un responsabile della sicurezza dell’ambasciata italiana nei Paesi Bassi, informandolo che Almasri avrebbe fatto ingresso in Italia, dove è stato poi arrestato la sera del 19 gennaio.
Errore procedurale libera il “mostro” libico: il clamoroso incidente di Almasri
Almasri, accusato dalla CPI di gravi crimini tra cui torture, omicidi e crimini di guerra, era ricercato a livello internazionale e la sua detenzione aveva suscitato grande attenzione, considerata la gravità delle accuse a suo carico.
Tuttavia, un errore procedurale ha portato al suo rilascio martedì, quando è emerso che l’arresto non era stato preceduto dalle necessarie procedure ed interlocuzioni in capo al Ministro della Giustizia, «in ossequio al principio sancìto nell’art. 2, comma 1, della stessa Legge 237/2012, secondo il quale “I rapporti tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale sono curati in via esclusiva dal Ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito.»1
È dunque risultata mancante la «richiesta di applicazione di misura cautelare da parte del Procuratore Generale per mancata trasmissione degli atti della Corte penale internazionale di competenza ministeriale»2, e ciò ha reso irrituale l’applicazione delle misure cautelari. Nella stessa serata del 21 gennaio, Almasri è stato rimpatriato con un volo di Stato nella capitale libica, scatenando una serie di reazioni politiche e diplomatiche.
Il Procuratore generale della Corte d’Appello di Roma ha spiegato, in una nota ufficiale diramata alla stampa, che l’arresto era stato “irrituale” e che non si erano rispettati i protocolli previsti dalla legge, in particolare l’obbligo di interlocuzione tra il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la CPI, e la Corte di Appello di Roma.
Le opposizioni gridano allo scandalo. Imbarazzo libico e silenzio italiano.
Le reazioni alla vicenda sono state immediate e intense. La Libia ha espresso la propria indignazione per l’arresto e l’Italia si è trovata a fronteggiare un’imbarazzante situazione interna, con forti critiche per la gestione dell’intera operazione. Il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha rassicurato l’opinione pubblica con una dichiarazione tesa a risaltare la corretta applicazione del diritto da parte dei magistrati italiani.
Tuttavia, le opposizioni non hanno esitato a definire l’accaduto un “atto gravissimo”. I rappresentanti dell’opposizione hanno chiesto una convocazione urgente del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per fornire spiegazioni sullo svolgimento dell’intera vicenda. Si attende ora l’informativa del ministro dell’interno Piantedosi, prevista per la prossima settimana.
La richiesta di chiarimenti della Corte penale internazionale
Nel frattempo, la Corte Penale Internazionale ha richiesto chiarimenti ufficiali alle autorità italiane riguardo al rilascio del comandante libico, ricordando a tutti che la cooperazione tra gli Stati membri nella gestione di indagini e procedimenti penali è obbligatoria. La CPI ha ribadito l’importanza di rispettare gli impegni internazionali e di garantire che gli arrestati per crimini di guerra e altre violazioni gravi non sfuggano alla giustizia.
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