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    Focus sul caso Cecilia Sala

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    Cecilia Sala consegna ogni episodio del suo podcast Stories, prodotto per Chora Media, alle 14, ma la puntata di giovedì 19 dicembre non è mai arrivata. 

    L’arresto

    La giornalista del Foglio è atterrata in Iran il 13 dicembre con un regolare visto giornalistico di otto giorni, allo scopo di produrre quattro puntate. Sarebbe dovuta tornare in Italia il 20 dicembre, ma non ha preso il volo di ritorno per casa. Il 19 dicembre, infatti, nell’arco di tempo che va dalle 9 del mattino (le 12 a Teheran), quando ha mandato il suo ultimo messaggio alla redazione, fino alle 14, quando i suoi colleghi, non vedendo arrivare l’episodio, hanno fatto partire l’allarme contattando le autorità italiane, Cecilia Sala è stata arrestata. L’accusa, resa nota solo una decina di giorni dopo, secondo l’agenzia di stampa iraniana IRNA è quella di violazione delle leggi della Repubblica islamica. 

    «La cittadina italiana è arrivata in Iran il 13 dicembre con un visto giornalistico ed è stata arrestata il 19 per aver violato la legge della Repubblica islamica dell’Iran. Il suo caso è sotto inchiesta. L’arresto è stato eseguito secondo la normativa vigente e l’ambasciata italiana è stata informata. Le è stato garantito l’accesso consolare ed il contatto telefonico con la famiglia. Saranno forniti ulteriori dettagli se le autorità lo riterranno necessario», riporta il comunicato stampa dell’IRNA.

    Da quando si trovava in Iran le puntate prodotte per il suo podcast erano state tre: Una conversazione sul patriarcato a Teheran, con Diba, una studentessa di 21 anni; L’album di famiglia dell’Asse della resistenza, con Hossein Kanaani, fondatore del Pasdaran, il corpo delle guardie della rivoluzione islamica; e infine Lei fa così ridere che le hanno tolto Instagram: Teheran comedy, con Zeinab Musavi, comica iraniana arrestata per la sua satira. 

    Chi è Cecilia Sala?

    Precedentemente giornalista per l’Espresso, Vanity Fair, Vice e Wired, ha lavorato anche nella redazione di Otto e mezzo, seguendo sempre sul campo la crisi venezuelana, le proteste cilene, la presa talebana dell’Afghanistan nel 2021 e la guerra russo-ucraina. Tra le sue pubblicazioni più celebri c’è però il podcast, poi diventato libro, Polvere, sul caso Marta Russo, scritto insieme a Chiara Lalli.

    Il carcere di Evin

    Uno dei motivi della preoccupazione generalizzata per Cecilia Sala è il fatto che sia detenuta nel carcere di Evin, conosciuto per le dure condizioni dei detenuti, spesso e volentieri giornalisti, attivisti e dissidenti politici.

    Aperto nel 1972, il penitenziario di Evin era originariamente gestito dalla polizia segreta imperiale iraniana, la Savak. A seguito della rivoluzione del 1979, che ha trasformato la monarchia del Paese in una Repubblica islamica sciita, fondata sulla shari’a, a Evin iniziano a essere rinchiusi filomonarchici e dissidenti politici, ma anche giornalisti, intellettuali e attivisti, frequentemente accusati di spionaggio contro il governo.

    Sono molte le ONG che hanno stilato rapporti preoccupanti riguardo alle condizioni dei detenuti di Evin, tra queste Amnesty International, che ha più volte denunciato violenze e abusi, soprattutto nelle sezioni più rigide del carcere, che sembrerebbero essere quelle gestite direttamente dal Ministero dell’Interno iraniano, la 240, la 235 e la 209, dove sarebbe attualmente rinchiusa Cecilia Sala, e dove, nel 2022, era stata detenuta 45 giorni un’altra nostra connazionale, la blogger Alessia Piperno

    La documentazione di Amnesty descrive una moltitudine di sistemi di tortura, che variano da finte esecuzioni a fustigazioni, violenze sessuali e al rifiuto di cure mediche. Una delle torture più note ad Evin è quella conosciuta come “tortura bianca”, interamente psicologica. Questa consiste in un prolungato isolamento solitario, al fine di spingere i detenuti a confessare colpe anche mai perpetuate. Alessia Piperno, dopo essere stata rilasciata il 10 novembre 2022, aveva raccontato ai media italiani della sua esperienza a Evin, nello specifico all’interno del settore 209: qui non ci sono letti e si dorme a terra, e per esperienza personale della blogger, gli stranieri subiscono solo torture psicologiche e mai fisiche.

    In un’intervista al Corriere della Sera, il premio Nobel Shirin Ebadi, parla di quella che con buone probabilità è la situazione che sta vivendo Cecilia Sala ad Evin. 

    «È tagliata fuori dal mondo. Non sa nulla di quello che succede. La porta della cella si apre tre volte al giorno per fornire cibo e per andare in bagno. C’è sempre una luce artificiale accesa. C’è una finestrella sulla porta da cui le guardie controllano le prigioniere. Questo spioncino crea molto stress alle detenute. In isolamento, cercano di fare pressioni affinché si confessino cose non commesse, usate poi durante i processi-farsa».

    La politica iraniana degli ostaggi

    Un recente rapporto dell’Istituto francese per le relazioni internazionali (IFRI), firmato dal sociologo Clement Therme, esamina il caso degli europei detenuti a Teheran e il loro arresto arbitrario, legato alla cosiddetta “diplomazia degli ostaggi”, che ha più volte permesso alla Repubblica islamica di usare i prigionieri stranieri per costringere i paesi occidentali a liberare cittadini iraniani detenuti all’estero. La pratica inizia il 4 novembre 1979, quando centinaia di studenti rivoluzionari invadono l’ambasciata americana a Teheran, prendendo in ostaggio circa cinquanta diplomatici per la durata di 444 giorni. Secondo l’IFRI, questa doppia trasgressione volontaria delle norme del diritto internazionale è da allora una componente essenziale della strategia asimmetrica iraniana nei confronti dell’Occidente, che rende l’Iran “diplomaticamente inaffidabile”.

    Il motivo dell’arresto

    Come nel caso dell’accademica anglo-australiana Kylie Moore Gilbert, detenuta ad Evin tra il 2018 e il 2020, l’arresto di Cecilia Sala potrebbe essere stato attuato con la speranza per Teheran di ricevere qualcosa in cambio. Gilbert, fu infatti rilasciata dopo due anni, in cambio della liberazione di tre iraniani detenuti in Thailandia. Nel caso della giornalista italiana il legame sembrerebbe essere con l’arresto dell’imprenditore svizzero-iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, avvenuto in Italia su mandato di cattura statunitense. Le aziende di Najafabadi producono tecnologie avanzate utilizzabili in diversi ambiti, da quello sanitario a quello sportivo, ma l’accusa nei suoi confronti è quella di esportazione illegale di dispositivi elettronici utilizzabili per droni militari

    Secondo quanto dichiarato dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, i componenti inviati dall’uomo sarebbero stati utilizzati a gennaio 2024 per un attacco in Giordania, che ha provocato la morte di tre militari statunitensi. Per l’Iran le accuse sono prive di fondamento.

    Reza M., docente volutamente anonimo della facoltà di scienze politiche di un’università iraniana, parlando al Manifesto discute della probabilità che questo sia il movente che si cela dietro all’arresto di Sala: «Al momento non ci sono state comunicazioni ufficiali dalle nostre autorità. Se la notizia è stata confermata dagli americani, si può presumere che Teheran abbia lasciato intendere la motivazione dell’arresto della giornalista ai diplomatici italiani, i quali, a loro volta, avrebbero avvisato gli Stati Uniti, che da ora in poi gestiranno la questione. Oppure, mentre Teheran e Roma mantengono un basso profilo in attesa di una soluzione rapida, gli americani tendono a giocare in anticipo ed evitare che ciò avvenga. Comunque, è chiaro che il nostro governo non ammetterà mai apertamente questa versione dei fatti».

    Sempre l’avvocato premio Nobel Shirin Ebadi si dichiara preoccupata per la giornalista italiana: «Sala è una giornalista innocente presa in ostaggio dalla Repubblica islamica per essere scambiata con persone vicine al regime».

    Per Ebadi non si tratta di un caso di libertà di stampa, quanto della già citata strategia degli ostaggi, usata dal governo come ricatto. L’accusa di violazione della legge della Repubblica islamica appare generica ai suoi occhi, e sembra un modo per l’Iran di prendere tempo per vedere quale sarà la reazione italiana e statunitense. Secondo l’attivista, è probabile che le autorità iraniane abbiano già comunicato accuse più precise all’ambasciata italiana e all’avvocato della giornalista, accuse che potrebbero essere legate al codice di abbigliamento o a un’eventuale collaborazione con Paesi ostili, e non a contatti con l’opposizione, accusa che non esiste nella legislazione iraniana, che prevede come reato solo il far parte di tali organizzazioni.

    La reazione delle nostre istituzioni

    Il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani ha dichiarato l’arresto di Cecilia Sala inaccettabile, e ha parlato di sforzi estremamente complicati per liberarla. Ai microfoni di Zona Bianca, Tajani ha spiegato che i tempi per il rilascio di Cecilia Sala non sono facilmente stimabili perché la trattativa diplomatica è molto delicata: «la situazione è abbastanza complicata per questo abbiamo chiesto il massimo riserbo». Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso la sua vicinanza alla giornalista e l’auspicio che i media italiani operino con cautela a riguardo.

    Gli ultimi aggiornamenti

    Si è concluso intorno alle 18 del 2 gennaio a Palazzo Chigi, il vertice di governo sul caso Sala, convocato dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Alla riunione erano presenti oltre al Capo di Governo, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e i vertici dei Servizi di intelligence. L’obiettivo prefissato è quello di intensificare gli sforzi per riuscire a ottenere la liberazione della giornalista, incarcerata ad Evin dal 19 dicembre. 

    Tajani ha inoltre oggi convocato l’ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Reza Sabouri, per aumentare la pressione diplomatica dell’Italia sull’Iran. Su X l’ambasciata iraniana in Italia ha parlato di un “colloquio amichevole” tra Sabouri e Riccardo Guariglia, il segretario generale del Ministero degli Esteri italiano, mettendo in relazione il caso Sala con quello di Mohammad Abedini:

    «L’ambasciatore del nostro Paese ha annunciato in questo incontro che sin dai primi momenti  dell’arresto della signora Sala, secondo l’approccio islamico e sulla base di  considerazioni umanitarie, tenendo conto del ricorrente anniversario della  nascita di Cristo e dell’approssimarsi del nuovo anno cristiano, si è garantito l’accesso consolare all’ambasciata italiana a Teheran, sono state inoltre fornite alla signora Sala tutte le agevolazioni necessarie, tra cui ripetuti contatti telefonici con i propri cari e ci si aspetta dal governo italiano, che reciprocamente oltre ad accelerare la liberazione del cittadino iraniano detenuto vengano fornite le necessarie  agevolazioni assistenziali di cui ha bisogno». 

    Dall’opposizione giungono esortazioni nei confronti del Governo ad unire gli sforzi. Sia Matteo Renzi che la leader del Partito Democratico Elly Schlein hanno chiesto la condivisione delle iniziative intraprese e ribadito la volontà di collaborare affinchè Cecilia Sala venga liberata dalle condizioni di prigionia in cui si trova.

    Condizioni, che pur sembrando inizialmente sopportabili, non si sono rivelate tali, come dichiarato dalla stessa giornalista in una telefonata ai genitori e al compagno, il giornalista del Post Daniele Raineri, il giorno di Capodanno: «Dormo per terra in una cella senza letto, mangio solo datteri. MI hanno tolto anche gli occhiali. Fate presto».

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