Da sette giorni, una piccola imbarcazione è in mare con un solo obiettivo: raggiungere la Striscia di Gaza e portare ai palestinesi viveri e medicine. A bordo vi sono dodici attivisti internazionali, uniti dal sentimento di protesta contro l’assedio e il blocco israeliano nella Striscia.
Sono quasi vent’anni che la Freedom Flotilla Coalition combatte per i diritti del popolo palestinese. Il primo giugno la Madleen – chiamata così in onore di Madelyn Culab, la prima e unica pescatrice di Gaza – è partita da Catania, a un mese di distanza da quando un’altra barca della Freedom Flotilla Coalition è stata attaccata da droni israeliani lungo le coste maltesi. Secondo l’ultima monitorizzazione, risalente alla giornata di sabato 7 giugno, la barca starebbe costeggiando l’Egitto.
Il blocco
Il blocco israeliano, iniziato il due marzo scorso, sta portando la Striscia di Gaza verso l’annichilimento totale. Due milioni di persone patiscono la fame e sono giunti ad uno stato di malnutrizione acuta e grave; numerosi i morti.
Secondo il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, “non bisogna aspettare una dichiarazione di carestia a Gaza per sapere che le persone hanno fame, stanno male e stanno morendo, quando cibo e medicine sono a minuti di distanza al di là del confine. I dati ci mostrano che senza un accesso immediato a beni di prima necessità, la situazione continuerà a deteriorarsi, causando più morti”. Soltanto a metà maggio si contavano 57 bambini rimasti vittime del blocco.
La situazione attuale
Attualmente, gli unici beni che hanno il permesso di entrare a Gaza sono quelli distribuiti dalla Gaza Humanitarian Foundation – GHF – una organizzazione non governativa i cui finanziatori sono sconosciuti, voluta dal governo Israeliano per dispensare cibo nella Striscia, ma successivamente rivelatasi un ulteriore strumento da utilizzare per sfruttare la fame come arma contro la popolazione palestinese.
La diffusione dei beni e del cibo condotta dalla GHF è iniziata a fine maggio, con non pochi problemi: tra questi, anzittutto le dimissioni, dopo solo tre settimane, del direttore dell’ONG, Jake Wood, precedentemente occupato nel soccorso di popolazioni vittime di catastrofi. Ritirandosi, Wood ha giustificato la sua scelta dicendo di aver capito di non poter effettivamente distribuire aiuti secondo “principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza”.
L’obiettivo
Sulla Madleen il carico di aiuti per la popolazione di Gaza è fatto di latte in polvere, riso, pannolini, assorbenti, kit per la desalinizzazione dell’acqua, medicine, stampelle e protesi per bambini. Oltre a voler consegnare gli aiuti che si trovano sulla barca e forzare il blocco, l’obiettivo degli attivisti della Freedom Flotilla è quello di creare un “corridoio umanitario popolare” non gestito da uno Stato specifico, tale da forzare l’assedio di Israele su Gaza, rispettando le leggi internazionali.
Durante la conferenza stampa tenutasi prima della partenza, Greta Thunberg, con le lacrime agli occhi, aveva detto ai giornalisti: “lo stiamo facendo perché, a prescindere dai pronostici negativi, dobbiamo continuare a provarci. [Lo stiamo facendo] perché il momento in cui ci fermiamo è il momento in cui perdiamo la nostra umanità. Per quanto possa essere pericolosa questa missione, non è lontanamente pericolosa quanto il silenzio del mondo intero davanti a un genocidio in diretta”.
Arriverà a destinazione?
Le probabilità che la missione giunga a termine sono poche. Già nella notte di mercoledì, in un video postato sui social, i membri dell’equipaggio avevano riferito che l’imbarcazione era stata raggiunta da diversi droni. Israele ha fatto sapere che “se Freedom Flotilla, la nave che trasporta aiuti per Gaza, non si fermerà e tornerà indietro verrà abbordata da un commando dell’esercito israeliano e condotta nel porto di Ashdod”; se le fosse permesso di attraccare a Gaza, altre navi la seguiranno, e Tel Viv non permetterà “che ciò accada”.
Chi è a bordo?
Oltre all’attivista ambientalista Greta Thunberg, a bordo della Madleen ci sono dieci attivisti di varie nazionalità e un giornalista francese, Omar Faiad, corrispondente di Al Jazeera Mubasher. Tra i nomi più noti c’è Rima Hassan, eurodeputata franco-palestinese di La France Insoumise, a cui è stato proibito l’accesso a Israele a seguito della sua ferma posizione contro l’attacco israeliano di Gaza.
Intervistata dal giornale Il Manifesto a pochi giorni dalla partenza, le è stato chiesto cosa la spingesse a partire senza paura. “Siamo chiamati in causa in quando cittadini. La nostra è una piccola barca, non porterà aiuti: si tratta di un’azione politica e simbolica. Se ho paura? Mi rifiuto di averla, l’obiettivo di Israele è paralizzarci, generare terrore nell’esprimere un’opinione”, ha risposto Hassan.
Insieme a loro, è presente anche l’attivista curdo-tedesca Yasemin Acar, i francesi Baptiste Andre, Pascal Maurieras, Yanis Mhamdi e Reva Viard, il turco Suyab Ordu, lo spagnolo Sergio Toribio, il brasiliano Thiago Avila, l’olandese Marco van Rennes e l’attore irlandese Liam Cunningham.
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