Come troppo frequentemente avviene nelle vicende umane, le azioni di salvaguardia e di miglioramento delle condizioni di vita sono spesso il risultato di eventi drammatici. Per quanto riguarda il mare, inteso come uno dei fulcri dello sviluppo della civiltà, dopo il disastro del Titanic, avvenuto nel 1914, venne adottata la Convenzione SOLAS (Safety of Life at Sea), volta a stabilire i requisiti di sicurezza essenziali per la navigazione a livello globale. Un caso analogo, più recente, riguarda l’operazione Mare Nostrum, avviata dall’Italia pochi giorni dopo la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013 in cui persero la vita 366 persone. Tuttavia, quel faro di speranza nelle intemperie del Mediterraneo sembra oggi sempre più lontano.
Cos’è Frontex?
Frontex è un’agenzia amministrativa europea il cui compito principale è sorvegliare le frontiere dell’Unione. In questo contesto e alla luce delle recenti misure adottate dall’UE per contrastare l’immigrazione clandestina e proteggere i confini europei, Frontex rappresenta il fulcro di una strategia che sembra aver messo da parte l’impegno umanitario dimostrato con le oltre 175.000 vite salvate durante l’operazione Mare Nostrum. Quest’ultima operazione, avviata dall’Italia per soccorrere i migranti nel Mediterraneo, è stata infatti via via abbandonata fino al 31 ottobre 2014, quando la palla è passata a Triton, un’iniziativa coordinata da Frontex. Triton, tuttavia, differisce significativamente da Mare Nostrum. Prima di tutto, è nata con l’obiettivo di sorvegliare i confini europei, contrastando l’immigrazione clandestina e riducendo il traffico di esseri umani. Una premessa, questa, non da poco dal momento che non vi è alcun riferimento esplicito al salvataggio di vite in mare. In secondo luogo, l’area operativa di Triton è molto più circoscritta rispetto a quella di Mare Nostrum. La salvaguardia della vite umane nel Mediterraneo, quindi, non sembra più essere presente nell’agenda politica dell’Unione.
Questo cambiamento di rotta è stato confermato dal Consiglio Europeo nel novembre 2015, durante un vertice sull’immigrazione a La Valletta. In quell’occasione, il Consiglio ha pubblicamente dichiarato che “il numero di migranti che arrivano nell’Unione Europea è senza precedenti, ed è probabile che questo flusso continui ad aumentare. I migranti lasciano i loro Paesi per una serie di motivi, fra cui i conflitti, l’instabilità politica ed economica, le violazioni dei diritti umani e la povertà. Al fine di ridurre i flussi migratori, l’Ue si adopera per contribuire a creare pace, stabilità e sviluppo economico”. L’Unione Europea pare scollata dal destino di migliaia di vite che, ogni giorno, malgrado le intemperie attraversano le nostre acque; l’ipotetico e già ben noto ‘aiutiamoli a casa loro’ è difatti solo menzionato. Sarà proprio la Commissione ad invitare il nostro Paese a rafforzare il quadro legislativo in materia di gestione delle crisi migratorie, promuovendo l’uso della forza e il trattenimento a lungo termine dei migranti, anche grazie – e soprattutto – ai mezzi dell’Agenzia. Frontex, quindi, non è altro che lo strumento pratico per imporre questa strategia.
Gli amici libici
Consapevole di non promuovere la salvaguardia della vita in mare, intrisa della retorica del ‘contrasto al traffico di esseri umani’, Frontex ha sempre dedicato una particolare attenzione alla cura della propria immagine, elemento centrale della sua strategia comunicativa. A testimonianza di ciò, vi sono collaborazioni e accordi tra l’Agenzia e vari Atenei italiani ed europei: tra questi, il master universitario in “Gestione strategica delle frontiere”. Tuttavia, è necessario considerare alcuni episodi di cronaca in cui l’Agenzia ha svolto un ruolo cruciale per sgretolare questa goffa propaganda.
19 aprile 2015: nel canale di Sicilia un’imbarcazione si ribalta a 73 miglia dalle coste libiche. I 28 superstiti cercano disperatamente di ricostruire il numero delle persone presenti sul peschereccio, con un bilancio stimato tra 700 e 950 persone. Si consuma così la più grande tragedia numerica mai registrata nel cuore del Mediterraneo. Una settimana dopo il disastro, il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, dichiara che le operazioni di salvataggio in mare, al di là delle capacità operative dell’Agenzia, non rientrano nell’agenda di Frontex e, di conseguenza, in quella dell’Unione Europea. “Con la sorveglianza aerea possiamo fare la differenza. Gli aerei ci aiutano a risparmiare tempo: siamo in grado di rilevare e anticipare situazioni rischiose che potrebbero trasformarsi in operazioni di ricerca e salvataggio“, affermava Leggeri. Il suo augurio, quindi, era una strategia capace di individuare rapidamente eventuali operazioni di salvataggio per impedire che venissero effettuate, respingendo così i barconi verso destinazioni diverse da quelle europee. Al fine di concretizzare tali obiettivi, Frontex ha progressivamente sostituito la sorveglianza orizzontale, svolta tramite pattugliamenti in mare, con quella verticale, ossia tramite mezzi aerei.
Nel Mediterraneo le situazioni ad alto rischio sono numerosissime: individuarle dai cieli rende tutto più semplice per l’Agenzia. Frontex, infatti, non esita a contattare direttamente i miliziani libici per accelerare e facilitare i respingimenti. Una volta ricondotti in Libia, i migranti, partiti con i cuori colmi di speranza, dovranno nuovamente confrontarsi con l’inferno dei campi di concentramento; qui torture e trattamenti inumani e degradanti sono all’ordine del giorno.
Le conversazioni su WhatsApp tra gli agenti di Frontex e la ‘guardia costiera libica’ sono state rese pubbliche dall’europarlamentare olandese Tineke Strik, che ha denunciato le interazioni tra l’Agenzia e i miliziani libici, invitando Frontex a fornire la documentazione necessaria per chiarire le proprie condotte e verificarne la coerenza con il diritto internazionale. Il rifiuto dell’Agenzia era già atteso: la divulgazione di tali documenti, considerati sensibili, avrebbe potuto mettere “in pericolo la vita dei migranti“, poiché legati a operazioni marittime coperte dal segreto nell’interesse pubblico. Insomma, Frontex non fornisce informazioni; per contro ha sempre mostrato una certa idiosincrasia nel chiarire le proprie attività e operazioni in mare.
La super Agenzia milionaria
Nel 2005, con fondazione il 3 ottobre dello stesso anno, Frontex iniziò le operazioni di pattugliamento delle frontiere usufruendo di appena 43 agenti, con un budget stimato di 6 milioni di euro. Oggi, con sede nel prestigioso grattacielo “Warsaw Spire“, nel cuore della capitale polacca, Frontex dichiara un budget di 754 milioni di euro, pari a un incremento di 1.653 punti percentuali rispetto i suoi albori. Una cifra mostruosa che non sembra di certo arrestarsi. Per il 2027, infatti, la Commissione Europea, in preda a un atto di ampia generosità, ha disposto un investimento di 5 miliardi di euro in favore dell’Agenzia: 2,2 per l’acquisto di nuove tecnologie e apparecchiature di sorveglianza, mentre la restante parte destinata all’implemento e alla formazione del personale.
L’Unione ha inoltre autorizzato Frontex a intraprendere accordi con soggetti privati – la cosiddetta ‘libertà di spesa’ – per sopperire ai gap finanziari lasciati dalla contribuzione insufficiente dei Paesi membri. L’Agenzia, quindi, potrà noleggiare, acquistare, affittare mezzi, equipaggiamento e apparecchiature utili per la sua attività in totale autonomia, arrivando a costruire, come varie fonti già attestano, un vero e proprio arsenale. Un arsenale paragonabile alle capacità operative di un esercito di piccole dimensioni.
A questo punto è necessario intraprendere un’analisi critica del fenomeno Frontex e di come l’Unione Europea gestisca i flussi migratori e la sicurezza delle proprie frontiere. L’Italia, come gran parte degli Stati membri dell’UE, ha ratificato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che all’articolo 4 del Protocollo Addizionale n.4 – assieme all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, anch’essa ratificata dal nostro Paese – sancisce il principio di non refoulement. Tale principio, ormai consolidato nella prassi del diritto internazionale in materia di diritti umani, stabilisce che nessuna parte contraente – salvo comprovate esigenze di sicurezza nazionale – possa respingere o espellere un rifugiato verso Paesi in cui la sua vita, incolumità e libertà sarebbero minacciate, o dove rischierebbe di subire torture o trattamenti inumani e degradanti. È evidente a tutti noi che la condotta di Frontex, con il benestare dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, firmatari di accordi internazionali che li vincolano al rispetto dei diritti umani, si ponga in netto contrasto con quanto sancito da queste convenzioni.
La Corte Costituzionale, inoltre, nel tempo si è occupata del difficile rapporto tra accordi internazionali, inclusa la CEDU, e il diritto interno. Questa problematica istituzionale e giuridica è stata affrontata con la riforma del Titolo V della Costituzione che, all’articolo 117, impone al legislatore italiano il rispetto dei Trattati e, quindi, degli obblighi internazionalmente assunti. Viene così stabilito il cosiddetto ‘parametro costituzionale’. Una violazione delle norme internazionali, e dunque degli obblighi derivanti dalla ratifica, comporterebbe automaticamente una violazione della Costituzione; sarebbe dunque infranto il parametro costituzionale sancito dall’articolo 117.
Ogni giorno l’Italia, attraverso i finanziamenti a Frontex e il sostegno a un sistema che condanna i rifugiati a perire nelle profondità del Mediterraneo, non solo viola il diritto internazionale a cui è vincolata, bensì infrange anche la Costituzione. In questo modo, tradisce sé stessa e i principi dei padri costituenti, che avevano immaginato un quadro normativo solidale, volto a soccorrere e proteggere chi chiede aiuto. Un sistema che calpesta la dignità e la vita umana sarebbe stato, senza dubbio, inaccettabile per i costituenti ed è, oggi, inaccettabile per noi.