Il 17 maggio ricorre la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e transfobia, un momento di riflessione che dovrebbe indurre a superare stereotipi, a riconoscere e promuovere l’uguaglianza dei diritti di tutti.
La Costituzione italiana, all’art. 3, sancisce: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali ”, eppure molto spesso tali condizioni paiono essere riservate a pochi. In una giornata nella quale si celebra la parità dei diritti, noi tutti dovremmo farci promotori della cultura del rispetto, affinché ogni persona possa vedere riconosciuta la propria individualità, contrastando così ogni forma di violenza.
17 maggio 1990: il contesto storico
Il 17 maggio 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rimosse ufficialmente l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nella Classificazione Internazionale delle malattie. Questo evento rappresentò una svolta storica per i diritti delle persone LGBTQ+ e contribuì a ridurre lo stigma medico e sociale legato all’orientamento sessuale. In onore di questa data, dal 2004 si celebra ogni 17 maggio la Giornata Internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.
Fino alla fine degli anni ‘60, l’omosessualità era considerata una malattia mentale sia nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) dell’American Psychiatric Association – APA, sia nell’ICD (International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death), lo standard di classificazione delle malattie e dei problemi ad esse correlati dell’OMS. Nel 1973 l’APA rimosse l’omosessualità dal DSM, sostituendola con la diagnosi di “disturbo dell’orientamento sessuale”. Questa decisione fu il risultato di anni di pressione da parte dei movimenti di liberazione sessuale e di ricerche scientifiche che mettevano in discussione la validità della classificazione precedente.
Tuttavia, il cammino che condusse alla depatologizzazione dell’omosessualità è stato lungo e complesso. Tale percorso ha rappresentato il frutto di considerazioni scientifiche e mediche, nonché il superamento di retaggi culturali e stigmi sociali tolti i quali si è arrivati a riconoscere l’omosessualità non come malattia, ma come variazione naturale dell’orientamento sessuale.
Ddl Zan contro l’omofobia
Il disegno di legge che mirava a introdurre misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità è stato approvato dalla Camera dei deputati il 4 novembre 2020 con 265 voti favorevoli e 193 contrari.
Dopo un lungo percorso, non è ancora stato sottoposto ad approvazione, suscitando un acceso dibattito tra l’opinione pubblica e le forze politiche. Il 27 ottobre 2021, il Senato ha infatti deciso di non procedere con l’analisi del disegno di legge, interrompendo di fatto l’iter legislativo del provvedimento.
L’obiettivo di quest’ultimo è quello di ampliare l’ambito di applicazione dei reati attualmente contenuti nella sezione dedicata ai “delitti contro l’eguaglianza”, nonché modificare l’art. 1 della legge Mancino – che attualmente punisce mediante aggravante i soli crimini d’odio per razza, etnia, religione e nazionalità – estendendo le tutele contro le discriminazioni previste da tale legge anche a nuove categorie.
È importante sottolineare che il ddl Zan non introduce nuove fattispecie, ma si limita ad ampliare ed estendere i confini delle fattispecie individuate dagli artt. 604 bis e ter c.p. La proposta di modifica agli attuali articoli 604 bis e 604 ter c.p. interviene aggiungendo all’attuale formulazione: “i motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”, andando ad ampliare il concetto di discriminazione.
Italia: mancata adesione alla proposta europea
Il 17 maggio 2024, la Presidenza europea di turno belga ha presentato una dichiarazione per la tutela dei diritti LGBTQ+, firmata da 18 paesi membri dell’Unione europea. Secondo le informazioni fornite dal Ministero della Famiglia, l’Italia avrebbe deciso di non aderirvi poiché giudica tale dichiarazione “squilibrata riguardo all’identità di genere”, richiamando elementi analoghi alla legge Zan, che è stata oggetto di ripetute critiche da parte del governo italiano.
La ministra Eugenia Roccella ha negato l’attenzione dell’Italia rispetto a questi temi, affermando che l’Italia non sottoscriverà alcun accordo che ”riguardi la negazione dell’identità maschile e femminile.” Giorgia Meloni ha spiegato le ragioni di tale scelta affermando che: « È giusto combattere ogni discriminazione, ogni persecuzione, ogni abuso che in molte nazioni del mondo vengono perpetrati ancora in base all’orientamento sessuale – è giusto chiedere alla comunità internazionale di tenere la guardia alta, ma abbiamo colto nella dichiarazione dell’Unione un approccio idelogico».
Così, l’Italia sceglie di rimanere fuori assieme ad Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Ufficialmente, il rifiuto è motivato dalla volontà di non sostenere documenti percepiti come “sbilanciati” sull’identità di genere, ma questo si inserisce in una linea politica più ampia che tende a ridurre l’enfasi sui diritti delle minoranze sessuali in nome della difesa dei valori tradizionali.
Politiche di uguaglianza e parità di diritti
Il documento riguardante l’Italia, reso pubblico dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza – ECRI – del Consiglio d’Europa, esamina anche la situazione delle persone LGBT+. Questo studio si concentra sui diritti riconosciuti e effettivamente accessibili, sulle forme di discriminazione subite e sulle politiche di uguaglianza implementate o meno. Dopo un attento lavoro ed un’analisi accurata, in base alle problematiche identificate, utilizzando dati statistici, indagini e interviste, la Commissione europea ha fornito diverse raccomandazioni specifiche al governo italiano per assicurare che le persone LGBTQ+ possano godere della piena uguaglianza a cui hanno diritto, in conformità con il dettame della Costituzione.
Tra le iniziative adottate dalle istituzioni italiane per contrastare e prevenire la discriminazione nei confronti delle persone LGBTQ+, l’ECRI menziona “l’attribuzione di un sostegno finanziario a 46 centri contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, gestiti da organizzazioni della società civile o da enti locali.” In particolare, la delegazione della Commissione europea si è dichiarata “positivamente impressionata dall’impegno del personale e dall’assistenza offerta ai giovani che sono sotto la loro responsabilità”.
Conclusioni
Su scala nazionale, i dati attuali fotografano una situazione preoccupante. Questo fa intendere quanto sia urgente l’impegno di tutti, istituzioni comprese, affinché si arrivi a riconoscere a ciascun cittadino uguale dignità. La lotta per i diritti delle persone LGBTQ+ è una questione di giustizia sociale e umana, ed è fondamentale che le istituzioni, la società civile e ogni individuo si adoperino per rimuovere le barriere legali, culturali e sociali che ne ostacolano ancora la parità.
20250190