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    Giornata mondiale dell’endometriosi: conoscere per saper affrontare

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    Venerdì 28 marzo, in occasione della Giornata mondiale sull’endometriosi, l’accento è posto su una malattia invalidante, cronica, con un impatto rilevante sulla qualità della vita, nonché una stima nazionale che colpisce più di 1.800.000 donne. Una battaglia che va combattuta in nome di un dolore che non si vede, ma che accompagna ogni giorno. 

    Che cos’è l’endometriosi 

    L’endometriosi è una malattia cronica che può fare la sua comparsa fin dal primo ciclo mestruale, con cause ad oggi ancora poco note. Si tratta di un’infiammazione cronica che favorisce la crescita del tessuto endometriale al di fuori della cavità uterina, e può colpire vari organi, dunque non solo l’apparato riproduttivo femminile. Quando la malattia colpisce il muscolo della parete uterina parliamo invece di “adenomiosi”. 

    L’endometriosi presenta una sintomatologia vasta con ripercussioni su quelli che sono gli aspetti quotidiani della vita, rendendoli di fatto impossibili. Il dolore mestruale, quello lombare, il gonfiore addominale, i disturbi che riguardano la sfera sessuale, tutti sintomi che contribuiscono a rendere difficile la sua gestione e che possono stravolgere la vita di chi ne soffre. Una situazione, dunque, in cui il sistema immunitario si trova a dover riparare i danni che le cellule endometriosiche attivano ad ogni mestruazione. 

    Le conseguenze psicologiche

    Non vanno ignorate le conseguenze psicologiche, le quali portano la donna ad isolarsi a causa dell’enorme sofferenza che comporta la convivenza con tale patologia. L’ansia, la frustrazione, i sensi di colpa, le difficoltà relazionali, la vergogna, accompagnate dalla paura di non venire capite, di essere sole. Si tratta di una malattia che coinvolge non solo il corpo, ma che influenza notevolmente la sfera emozionale e psico-sociale dell’individuo. Affrontare i rapporti con gli altri richiede spiegazioni, che molto spesso non si ha voglia di dare. Fare i conti con una malattia è sempre complicato, ancor di più se questa richiede anni di diagnosi prima di essere riconosciuta. 

    Il ritardo diagnostico 

    L’endometriosi è una malattia aggressiva che colpisce circa il 10-15% delle donne; si tratta molto spesso di sintomi sottovalutati, ignorati oppure associati ad altre patologie sminuendo così il dolore manifestato dal paziente. 

    “Nonostante il dolore sia la principale causa per cui una donna in età fertile si rivolge al proprio medico curante, il ritardo diagnostico medio tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi  di endometriosi è stato stimato oltre 6 anni. Per molte donne, ancora oggi, è ritenuto normale provare dolore, anche quando l’intensità è così elevata da non consentire una vita normale”, afferma Flaminia Coluzzi, professore di Anestesiologia e Terapia del Dolore presso l’Università Sapienza di Roma, Azienda Ospedaliera Universitaria Sant’Andrea di Roma. Ciò avviene a causa di sintomi oggigiorno troppo spesso sottovalutati: negli ultimi anni dieci anni, sono stati registrati più di 113.000 ricoveri a causa dell’endometriosi, con un’incidenza che raggiunge il valore massimo nella fascia compresa tra i 30 e i 35 anni, pari allo 0,12% a livello nazionale. 

    Oltre il dolore fisico 

    L’invisibilità prolungata della patologia al sistema sanitario, al Parlamento e agli occhi delle persone ha reso la sua stessa gestione complicata. La rabbia nel desiderare una vita diversa, la consapevolezza della sofferenza come ricompensa; la necessità di indossare una maschera per nascondere un dolore, la stessa che si indossa per adattarsi ad uno stile non proprio. 

    Una quotidianità lontana dalla normalità che, una volta tornata a casa, presenta il conto. Una malattia che provoca sofferenze difficili da descrivere, le stesse che nei casi più gravi possono diventare invalidanti. 

    Per gli stati clinici più avanzati, è stata inserita nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti; ciò permette alle donne che ne soffrono di usufruire – in esenzione dal pagamento ticket sanitario – di alcune prestazioni specialistiche finalizzate al monitoraggio della malattia e alla prevenzione di eventuali rischi legati ad essa. Prendere consapevolezza del fatto che il dolore non è normalità e che non debba essere vissuto come tale può costituire un primo passo verso una diagnosi precoce. 

    Le tutele previste 

    L’endometriosi è stata riconosciuta come malattia cronica attraverso il DPCM del 12 gennaio 2017. In base a quanto previsto dal Decreto stesso, tuttavia, la copertura da parte del Servizio Sanitario Nazionale per le prestazioni associate all’endometriosi sarebbe dovuta divenire operativa con l’approvazione del Nuovo Nomenclatore tariffario, che ha richiesto invece un paio di anni. 

    Alla luce dell’approvazione del Nuovo Nomenclatore, le prestazioni che non prevedono il pagamento del ticket in tutte le Regioni italiane restano legate all’endometriosi  “moderata” e “grave” (III e IV STADIO), ad esclusione di chiunque abbia ricevuto una diagnosi di grado minore. Inoltre, a seguito dell’approvazione del Decreto Tariffe sono state aggiunte nuove prestazioni ai cosiddetti (LEA) “livelli di assistenza essenziali” insieme ad altre 1100 prestazioni sanitarie, rendendole accessibili attraverso il pagamento del ticket, alle condizioni di cui sopra. Questi aggiornamenti, di fatto, ampliano notevolmente l’accesso a cure gratuite o a costi contenuti, garantendo prestazioni allineate alle più recenti innovazioni in campo medico.

    Questo decreto rappresenta un punto di svolta, garantire l’accesso a cure all’avanguardia non è solo una questione di salute ma di giustizia sociale”, ha commentato il Ministro della Salute Schillaci. Tale decreto rappresenta sicuramente un passo in avanti, ma sarebbe importante che chiunque potesse avere accesso ai trattamenti e alle terapie riconosciute dai LEA, questo perché la prevenzione è fondamentale per evitare un aggravamento della malattia. 

    Conoscere è prevenire 

    Non siamo abituati a parlare apertamente di questioni che riguardano l’aspetto ginecologico o sessuale dell’individuo: molto spesso siamo vittime delle disinformazione, cui va sommato il pregiudizio persistente attorno a queste tematiche.

    La difficoltà di queste patologie risiede anche nel superamento del timore di parlarne apertamente; la conoscenza spesso può aiutarci a prevenire rischi e pericoli. 

    Parlare di una malattia così importante è una responsabilità complessa e doverosa, una rivendicazione di diritti affinché anche quel che sembra apparentemente invisibile possa finalmente avere un nome.

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