In un mondo pervaso dalla tecnologia, è molto probabile che i più piccoli cambiamenti che la riguardano possano finire in sordina, salvo poi rendersi conto che sarebbe bastato veramente poco per placare transizioni in realtà impetuose: manca l’intenzione effettiva di contrastare le conseguenze correlate all’uso e all’abuso dei social.
‘Non mi piace’ su Instagram
Gli utenti quotidianamente attivi su Instagram e TikTok non accennano a diminuire, anzi aumentano sempre più, ed è proprio in virtù di questa continua parabola ascendente che Meta e ByteDance tentano di migliorare la funzionalità delle rispettive app. L’aggiornamento puntualmente sottoposto e richiesto agli utenti è considerato essenziale per continuare a condividere, pena l’inibizione dalla piattaforma stessa. D’altro canto, non sempre i mutamenti indotti sono radicali. Così non si può dire della funzione ‘non mi piace’, attualmente riservata ad un ristretto numero di utenti, poiché in fase di sperimentazione, ma in un prossimo futuro universalmente disponibile su Instagram.
Capiamo meglio il punto. Accanto a ogni commento visibile sotto post o reel, gli utenti potranno esprimere in modo discreto il proprio disappunto, senza però rendere pubblico il loro giudizio né la quantità di ‘non mi piace’ ricevuti dal contenuto in questione. L’obiettivo sotteso alla rivoluzione pare chiaro: migliorare la qualità delle interazioni via social spostando più in basso nel thread commenti poco rilevanti o potenzialmente problematici.
Criticità e salute mentale
Ben prima di passare alla fase di implementazione vera e propria, alcuni esperti sollevano già alcuni punti critici, tra cui la potenziale penalizzazione di determinati contenuti o profili, benché legittimi, così come ulteriori ripercussioni sulla salute mentale dei più giovani.
A ben guardare, data l’influenza in molti casi connessa ai cosiddetti cuoricini, ovvero i like racimolati da un determinato contenuto, pensare di introdurre una funzione ‘non mi piace’ altro non è che un palliativo che, di fatto, non estirpa la vera radice del problema: l’odio sulle piattaforme social. Decine le giovani vite spezzate da commenti tanto taglienti quanto subdoli, persino difficili da segnalare, in quanto correlati a profili non chiaramente identificabili. A conti fatti, appare estremamente risicato il margine d’intervento a disposizione di iniziative edificanti, quali il manifesto della comunicazione ostile.
Il caso “#SkinnyTok”
Chiunque pensi che le cose possano andare meglio cambiando app, facendo riferimento a TikTok, si sbaglia di grosso: proprio su quest’ultima, nota per l’utilizzo massiccio di hashtag, sono apparsi contenuti “#SkinnyTok”, intesi quali forme di promozione dei disturbi del comportamento alimentare.
Vista la rilevanza non solo psicologica, ma soprattutto sanitaria sottesa, il governo francese è intervenuto per criticare l’impiego dell’hashtag, sperando di frenare la potenziale diffusione della malattia e al contempo mettere al riparo gli utenti più vulnerabili. A poco sono valsi, però, gli sforzi profusi: i contenuti “#SkinnyTok” non saranno rimossi, ma chiunque tenterà di reperire materiale a riguardo verrà automaticamente reindirizzato verso una pagina che offre sostegno per la salute mentale.
Anche in questo caso, una soluzione di comodo che tenta di rimediare alla proliferazione dei contenuti social, ma senza successo. Questo perché, nel momento in cui la società nota la portata delle conseguenze indotte e, sdegnata, grida allo scandalo, in molti casi è purtroppo troppo tardi: il passaparola ha già compiuto il suo dovere e la curiosità regna sovrana.
Challenge social e ricerca di modelli
Destino analogo anche per le numerose challenge che, puntualmente, fanno capolino nei feed degli utenti; in molti casi, la spinta all’emulazione prende totalmente il sopravvento. Escludendo poi casi estremi, esistono molte altre casistiche degne di nota, quelle in cui – in mancanza di una identità personale ben definita – il singolo va alla ricerca continua e ossessiva di modelli cui ispirarsi. Ed è così che la perfezione a tutti i costi diventa la chimera da inseguire, ma anche lo status symbol apprezzato dalla società.
Il ruolo della politica
Fatte queste premesse, è innegabile che l’intervento delle istituzioni e della politica non possa più attendere. Pensare che singole ed isolate iniziative possano ripianare decenni di ritardi normativi è altamente fuorviante. Ma fino a quando non verrà stabilito un filo rosso tra la salute mentale delle nuove generazioni e l’utilizzo del digitale l’unico risultato sarà la reiterazione delle condizioni attuali.
20250215