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    Giustizia e separazione delle carriere: qual è l’opinione dei cittadini?

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    Ogni volta che si parla di giustizia e di riforme del sistema giudiziario, una parte della nostra opinione pubblica sembra andare in corto circuito, relegando il tema a una sorta di bolla di cristallo, intoccabile per principio. 

    La separazione delle carriere non è esente da questo atteggiamento; anzi, da quando il centrodestra, assieme ad altre forze politiche, ha proposto la riforma, alcuni tra gli esponenti più prestigiosi della giurisprudenza nazionale hanno immediatamente espresso la loro. Ma cosa ne pensano gli italiani? 

    La riforma in breve

    Il presupposto della separazione delle carriere è chiaro: il magistrato formatosi come soggetto accusatorio durante i processi sviluppa una coscienza e un’impostazione professionale tali da non consentirgli di svolgere – o comunque di svolgere imparzialmente come previsto dal nostro ordinamento – la funzione di magistrato giudicante. 

    La riforma mira quindi a separare nettamente i due percorsi: da un lato i giudici (ossia i magistrati giudicanti), dall’altro i pubblici ministeri (i magistrati requirenti), che attualmente possono transitare da un ruolo all’altro nel corso della loro carriera. L’obiettivo, oltre alla chiara distinzione tra due figure sensibilmente diverse, è quello di garantire una maggiore imparzialità nei processi. A questo si aggiunge la previsione di separare anche l’organo disciplinare: il Consiglio Superiore della Magistratura verrebbe dunque sdoppiato, creando due CSM distinti, uno per ciascuna carriera.

    L’opinione dei cittadini

    Partiamo da una considerazione: gli italiani, almeno stando ai sondaggi, non nutrono grande fiducia nelle istituzioni, comprese quelle legate alla giustizia. Questa mancanza non nasce esclusivamente da una reazione istintiva dei cittadini verso l’autorità, ma affonda le radici in episodi concreti che hanno contribuito a consolidare una visione critica della cosa pubblica e delle istituzioni repubblicane.

    Interessante, in questo senso, è il sondaggio dell’Istituto Tecnè, condotto tra il 31 gennaio e il 3 febbraio su commissione del Giornale Radio Rai, che ha chiesto all’opinione pubblica un parere sul caso del capo della polizia libica Osama Almasri. Il 43% degli intervistati ritiene, infatti, che la condotta della magistratura, e in particolare quella del giudice che ha emanato l’atto giudiziario contro alcuni esponenti del governo Meloni, fosse orientata a colpire politicamente l’Esecutivo. Oppure, lo scorso anno, un’indagine Eurispes aveva fotografato un quadro simile: il 47% del campione si dichiarava fiducioso nelle istituzioni giudiziarie, contro un 44% che esprimeva sfiducia.

    Tuttavia, questo sentimento di diffidenza nei confronti della magistratura non è una novità nella storia italiana. Recentemente si è parlato dei “colori” che caratterizzerebbero l’orientamento delle toghe, come, ad esempio, nella scelta del Tribunale di Roma riguardo ai centri di detenzione in Albania, interpretate da alcuni come mosse politiche contro la strategia del governo Meloni. Emblematico, nell’immaginario collettivo, resta il caso di Silvio Berlusconi, con il feroce dibattito sul presunto accanimento giudiziario nei confronti dell’ex Presidente del Consiglio.

    E sulla separazione delle carriere? 

    Questi sono i presupposti che orientano l’opinione degli italiani sul tema della giustizia. Tuttavia, almeno per quanto riguarda la separazione delle carriere, la questione si fa più complessa.

    Secondo un sondaggio condotto da SWG e trasmesso dal TG La7, il 63% delle persone coinvolte si è detto favorevole a una netta separazione delle carriere, ritenendo la questione di vitale importanza per le sorti democratiche del Paese. Tuttavia, come sempre, anche i sondaggi sono opinabili. Lo scorso 19 febbraio, ad esempio, il quotidiano Domani ha pubblicato un sondaggio in cui circa il 75,9% degli intervistati si è dichiarato “completamente contrario” alla riforma sulla separazione delle carriere. 

    Interessante, invece, è il lavoro di Quorum/YouTrend, diffuso su SkyTg24, che non si concentrava esplicitamente sulla separazione delle carriere, ma su una riforma complessiva del sistema giudiziario: in questo caso, 3 intervistati su 4 si sono detti favorevoli a un rimodellamento dell’istituto della giustizia.

    Il Referendum del 2022

    Un indicatore a cui va prestata adeguata attenzione, anche perché istituito in un contesto politico relativamente diverso da quello attuale, è il referendum promosso nel 2022 dalla Lega di Matteo Salvini e dal Partito Radicale. 

    Nel merito, i quesiti referendari erano cinque, ma nessuno di essi raggiunse il 51%, cioè il quorum necessario affinché i referendum abrogativi potessero essere validati. Tra i temi proposti vi erano: la possibilità di valutare la responsabilità dei magistrati, la limitazione della legge Severino, una riforma concreta del Consiglio Superiore della Magistratura, un limite più restrittivo sull’uso della custodia cautelare e il quesito sulla separazione delle carriere. Proprio su quest’ultimo, infatti, si registrò un’ampia adesione: circa il 74% dei votanti, pari a circa 7 milioni di cittadini, si espresse a favore della separazione.

    Conclusioni

    Tirando le somme, quella sulla giustizia rimane una partita ancora aperta, in cui da una parte la politica e avvocati, e dall’altra l’universo dei magistrati, si fronteggiano a colpi di sondaggi e strategie comunicative, nel tentativo di consolidare o svalutare le rispettive posizioni. Tuttavia, il fatto che il nostro sistema giudiziario viva da anni una crisi profonda, accompagnata da una crescente perdita di fiducia da parte della società civile, è una realtà ormai consolidata.

    Una riforma, in questo senso, potrebbe rappresentare un’occasione per risollevare un’istituzione che, come in ogni paese democratico, costituisce uno dei pilastri fondamentali della nostra civiltà.

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