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    Giustizia o propaganda? Il Governo e l’affaire Almasri

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    Negli ultimi giorni, il Governo ha sollevato un nuovo caso rilanciando lo scontro con la magistratura in merito alla scarcerazione del criminale libico Almasri. Alcuni giorni fa, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha pubblicato un video in cui affermava di aver ricevuto un avviso di garanzia da parte del Procuratore Capo di Roma, Francesco Lo Voi. Insieme alla Presidente Meloni, hanno ricevuto la stessa comunicazione anche i Ministri Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Mantovano.

    Tuttavia, la legge stabilisce che si tratti di una semplice comunicazione informativa, e non di un avviso di garanzia vero e proprio. Il Governo, quindi, sembra aver usato questa situazione come strategia comunicativa per intensificare il conflitto con i magistrati, in particolare riguardo alla riforma Nordio.

    Il caso Almasri

    Prima di raccontare come si siano realmente svolti i fatti, è doveroso fare un passo indietro.
    Il 18 gennaio, la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti di Najeem Osema Almasri Habish, comandante della polizia giudiziaria libica, accusato di gravi crimini, tra cui torture, omicidi e crimini di guerra. Almasri è stato arrestato a Torino il 19 gennaio 2025. Tuttavia, il 21 gennaio è stato scarcerato e accompagnato in Libia con un volo di Stato.

    Nell’ordinanza della Corte d’Appello di Roma che ha disposto la sua scarcerazione è presente una dichiarazione del procuratore generale di Roma che ne spiega i motivi: il PG «chiede che codesta Corte dichiari l’irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale Internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio […] e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito». Di conseguenza, il ministro Nordio non aveva risposto alle richieste di chiarimento della Procura.

    La denuncia, i reati contestati e gli sviluppi successivi

    A seguito della scarcerazione di Almasri, l’avvocato Luigi Li Gotti – ex militante del MSI e di Alleanza Nazionale, successivamente Senatore e Sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi II per l’Italia dei Valori – ha denunciato Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano con l’accusa di peculato e favoreggiamento. Secondo Li Gotti, il reato di peculato, previsto dall’articolo 314 del codice penale, si configurerebbe nell’utilizzo di un volo di Stato per trasferire Almasri in Libia. 

    Se questa operazione fosse priva di una giustificazione istituzionale adeguata, potrebbe essere considerata un uso illecito di risorse pubbliche. Il reato di favoreggiamento, disciplinato dall’articolo 378 del codice penale, si realizzerebbe invece nell’aver facilitato la fuga di un individuo ricercato dalla Corte Penale Internazionale. La scarcerazione e il successivo trasferimento di Almasri avrebbero infatti impedito la sua possibile estradizione, ostacolando l’azione della giustizia internazionale.

    Ai sensi dell’articolo 6 della Legge Costituzionale 1/1989, che disciplina le norme in materia di procedimenti per i reati di cui all’articolo 96 della Costituzione, ricevuta la denuncia, gli atti vengono trasmessi al Procuratore Capo presso il tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’Appello competente per territorio. Quest’ultimo, senza compiere alcuna indagine, deve entro quindici giorni trasmettere gli atti al Tribunale dei Ministri e darne immediata comunicazione ai soggetti interessati, affinché possano presentare memorie o chiedere di essere ascoltati.

    Il Tribunale dei Ministri

    Successivamente, si riunisce il Tribunale dei Ministri, composto da tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano almeno cinque anni di esperienza con la qualifica di magistrato di tribunale o superiore.

    Entro 90 giorni, una volta concluse le indagini preliminari e sentito il Pubblico Ministero, il Tribunale dei Ministri, se non ritiene di dover disporre l’archiviazione, trasmette gli atti con una relazione motivata al Procuratore della Repubblica, che provvede alla loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente. Se gli inquisiti appartengono a Camere diverse o se nessuno di loro è membro del Parlamento, l’autorizzazione viene richiesta al Senato. In questo caso, la Giunta per le Autorizzazioni della relativa Camera svolge un’istruttoria, al termine della quale l’Aula vota a maggioranza assoluta per consentire la prosecuzione delle indagini oppure per negarla. Quest’ultima possibilità sussiste qualora si ritenga, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo.

    Il Tribunale dei Ministri potrebbe anche decidere per l’archiviazione con un decreto non impugnabile. In tal caso, il Procuratore della Repubblica può solamente chiedere al collegio di svolgere ulteriori indagini, precisandone i motivi. Il collegio, a sua volta, decide entro i sessanta giorni successivi.

    La realtà dei fatti

    Come emerge dalla legge, ciò che Meloni e gli altri hanno ricevuto non è un avviso di garanzia, ma una semplice comunicazione informativa, utile a consentire loro di presentare memorie o chiedere di essere ascoltati.

    Inoltre, se il Governo, come affermano costantemente, agisce nell’interesse dello Stato, non dovrebbe temere nulla. Detto ciò, il video di Meloni e le dichiarazioni sopraggiunte nelle ore successive paiono essere una strategia comunicativa volta a inasprire lo scontro con la magistratura, che si oppone alla riforma Nordio. In questa eventualità, si tratterebbe di un tentativo maldestro di far credere ai cittadini che i magistrati stiano agendo per vendetta nei confronti di una riforma da loro considerata pericolosa.

    In definitiva, dietro queste manovre si celerebbe più un gioco di propaganda politica che una reale preoccupazione per la giustizia. Il vero scopo sembra essere quello di alimentare un clima di tensione, distogliendo l’attenzione dalle criticità della riforma e dalle sue implicazioni.

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