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    Gli Stati Uniti attaccano l’Iran: una pericolosa escalation

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    Nella notte tra il 21 e il 22 giugno gli Stati Uniti hanno lanciato un blitz militare contro l’Iran, colpendo con bombardieri B-2 da guerra tre siti nucleari (Fordow, Natanz ed Esfahan). Donald Trump ha immediatamente parlato di un “successo spettacolare” e della completa distruzione dell’apparato nucleare iraniano, affermando che nessun altro esercito al mondo avrebbe potuto fare altrettanto. Nel discorso alla nazione, Trump ha ribadito che la Repubblica islamica non avrebbe altra scelta che “fare la pace o sarà una tragedia”: il presidente USA ha promesso ulteriori raid se Teheran non dovesse arrendersi. 

    La realtà sul campo appare ben diversa dalla narrazione della Casa Bianca. L’Iran ha subito replicato che il raid non avrebbe causato danni gravi ai siti colpiti: il portavoce del Parlamento iraniano ha infatti negato che il principale impianto di Fordow sia stato “seriamente danneggiato”, ricordando che l’uranio a rischio era stato evacuato preventivamente. Anche l’Agenzia internazionale per l’energia atomica non ha segnalato aumenti delle radiazioni nei luoghi colpiti. 

    Reazioni e critiche all’escalation regionale

    Diversi analisti sottolineano che l’attacco è stato ordinato senza alcuna autorizzazione del Congresso americano, rendendolo di fatto incostituzionale. I democratici, con Alexandria Ocasio-Cortez, sono arrivati a chiedere l’impeachment del presidente per un simile gesto in violazione della War Powers Clause. In Italia l’Onorevole Fratoianni, a tal proposito, ha parlato di “azioni illegali non solo rispetto al diritto internazionale ma anche dal punto di vista dell’ordinamento costituzionale americano”, chiedendo che il governo italiano si presenti in Parlamento.

    L’offensiva statunitense mette gravemente a rischio la stabilità già precaria del Medio Oriente. Già nelle prime ore successive all’attacco si sono registrati razzi iraniani e missili Houthi diretti contro obiettivi israeliani, con decine di feriti a Tel Aviv e Gerusalemme, con una situazione che nelle prossime ore sembra destinata a peggiorare. 

    La comunità internazionale teme che Trump abbia portato gli Usa di fatto direttamente in guerra. Il segretario generale dell’ONU António Guterres ha avvertito del rischio di una “pericolosa escalation in una regione già sull’orlo del baratro”. Anche l’Unione Europea, tramite esponenti come la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha invitato alla calma chiedendo che “si torni a negoziare”. Il Qatar, tradizionalmente alleato degli USA, ha denunciato “gravi ripercussioni catastrofiche” se si continuerà con l’escalation, mentre il governo del Bahrein, sede di basi americane, ha invitato i propri funzionari a operare da remoto per timore di ritorsioni.

    Siamo nella terza guerra mondiale?

    Il mondo si trova immerso in una galassia di conflitti mai così numerosi dal 1946, con più di 61 teatri di guerra aperti. A differenza dei due conflitti globali del secolo scorso, oggi assistiamo a una nuova tipologia di guerra, frammentata e ibrida, fatta di scontri diretti e indiretti, di bombardamenti e attacchi informatici, di propaganda e disinformazione, con le principali potenze che si fronteggiano sul campo per procura.

    L’operato dell’amministrazione Trump pesa come un macigno sulla credibilità e sulla tenuta dell’ordine mondiale a causa del ricorso disinvolto alla forza e per la retorica populista che ha scardinato regole e alleanze internazionali. Le ricadute sono devastanti con l’inflazione fuori controllo, crollo dei sistemi produttivi dei paesi più fragili, milioni di profughi e un’instabilità sociale che alimenta polarizzazione e populismi anche nel cuore dell’Occidente.

    Ciò che stiamo vivendo è una nuova forma di guerra mondiale, dispersa e tentacolare, in cui l’illusione di un conflitto contenuto e localizzato viene meno ogni giorno che passa. In questo quadro, l’eredità di politiche sconsiderate nate dal sonno della ragione umana, si rivela un catalizzatore di caos che genera situazioni mostruose, rendendo ancora più urgente una riflessione radicale sulla ricostruzione di un sistema di regole e di equilibrio condiviso.

    Conclusioni sull’attacco statunitense 

    Al di là delle motivazioni ufficiali rese note dalla Casa Bianca, l’offensiva americana sembra inserirsi in un piano più ampio concordato con l’establishment di Israele per arrivare all’annientamento della Repubblica islamica e alla creazione di un “Iran amico”, come ai tempi dello Shah. 

    L’attacco di questa notte rappresenta l’ennesimo episodio di imperialismo militare occidentale, fondato sull’illusione che la forza possa imporre soluzioni geopolitiche. In realtà, oltre a infrangere norme costituzionali e internazionali, l’atteggiamento statunitense rischia solo di trascinare il Medio Oriente in una guerra regionale di proporzioni incalcolabili che lascerà alle future generazioni non solo le macerie ma anche alla rabbia di chi vede la propria casa fatta a pezzi da una forza straniera.

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