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    Guida alla Manovra 2026: una bussola tra nuove tasse e sconti fiscali

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    La Legge di Bilancio 2026, per come è stata confezionata dal Consiglio dei ministri, inciderà sul sistema tributario italiano introducendo alcune rilevanti novità. Al centro del dibattito politico ed economico ci sono tre misure chiave:

    1. la riforma dell’IRPEF, con il taglio dell’aliquota del secondo scaglione;
    2. le nuove regole fiscali sugli affitti brevi e la cedolare secca;
    3. il contributo aggiuntivo richiesto al settore bancario tramite l’IRAP maggiorata.

    Questi interventi, insieme, raccontano la direzione che il governo vuole imprimere al sistema fiscale, ma anche le tensioni interne alla maggioranza e le critiche delle opposizioni, delle imprese attraverso Confindustria e della Banca d’Italia.

    Il percorso parlamentare

    La manovra è stata approvata in Consiglio dei ministri il 17 ottobre 2025 e presentata al Senato il 22 ottobre, avviando un iter serrato. Le Commissioni hanno fissato il termine per gli emendamenti al 14 novembre, mentre il passaggio in Aula è stato programmato per metà dicembre, così da consentire l’approvazione definitiva entro il 31 dicembre, data oltre la quale scatta il rischio di esercizio provvisorio.

    Il percorso non è stato lineare: oltre 100 emendamenti sono stati dichiarati inammissibili, e diversi nodi — affitti brevi, IRAP, detrazioni — hanno richiesto vertici di maggioranza e più revisioni. L’iter si è così trasformato anche in un banco di prova degli equilibri interni e della capacità del governo di tenere una linea condivisa sulle misure fiscali; equilibri su cui potrebbero aver inciso anche i recenti esiti delle elezioni regionali, soprattutto in Veneto e Campania.

    Taglio IRPEF 2026

    Una delle novità principali è proprio la revisione delle aliquote IRPEF, che guarda al ceto medio-alto della popolazione: dal 2026 lo scaglione intermedio (28.000–50.000 euro) scende dal 35% al 33%. Restano invariati il 23% fino a 28.000 euro e il 43% oltre i 50.000.
    Il risparmio stimato è variabile: per un reddito da 50.000 euro si parla di circa 440 euro annui, mentre per chi percepisce 30–40.000 euro il beneficio è già più contenuto.
    Il governo, infatti, presenta la misura come un sostegno al “ceto medio”, mentre le opposizioni — PD, M5S e AvS — criticano la riforma, considerandola poco redistributiva, che lascia quasi invariata la situazione dei redditi bassi. Anche la Banca d’Italia sottolinea l’impatto limitato sulla riduzione delle disuguaglianze

    Affitti brevi e cedolare

    La partita degli affitti brevi è stata tra le più controverse della manovra. L’ipotesi iniziale prevedeva un aumento della cedolare secca dal 21% al 26% per tutti (anche prime case), ma l’opposizione interna — soprattutto di Forza Italia, che minacciava di affrancarsi da un voto favorevole sulla misura, e Lega  — ha costretto a rivedere il piano.
    L’accordo finale distingue tra piccoli proprietari e gestioni più strutturate: la cedolare rimane al 21% per la prima unità immobiliare utilizzata per affitti brevi, va al 26% per la seconda casa e dal terzo immobile scatta la tassazione più alta e l’inquadramento come attività d’impresa turistico-ricettiva, con obbligo per i proprietari di dotarsi della partita IVA.

    Ne emerge, dunque, una soluzione di compromesso che cerca di non penalizzare eccessivamente i piccoli locatori.

    IRAP e banche

    Altra questione molto spinosa riguarda il contributo richiesto agli istituti di credito attraverso un aumento dell’IRAP

    La manovra 2026 prevede, infatti, un aumento dell’IRAP per banche, intermediari finanziari e assicurazioni, con l’aliquota per il settore finanziario che passa dal 4,65% al 6,65%, generando, stando alle previsioni dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), un gettito stimato di circa 3,9 miliardi nel 2026 e fino a 9,5 miliardi nel triennio 2026‑2028. 

    A queste imposte si aggiungono limitazioni sulla deducibilità dei crediti dubbi e sul riporto delle perdite, con l’obiettivo di contribuire al finanziamento della manovra senza aumentare il deficit. Contestualmente, il governo consente alle banche di liberare parte delle riserve accumulate negli anni precedenti pagando un’aliquota agevolata, un meccanismo definito di “anticipazione di liquidità”, che consente allo Stato di ottenere risorse immediate. 

    L’ABI ha espresso preoccupazione per l’impatto combinato di IRAP maggiorata, minore deducibilità e modifiche su crediti e perdite, stimando una compressione della redditività e un possibile rallentamento dell’erogazione del credito e degli investimenti. 

    E i partiti? La Lega spingeva per mantenere l’aumento come segnale di equità fiscale e come copertura della manovra; Forza Italia, invece, molto critica, temeva ripercussioni sul credito e sull’economia reale. L’intesa raggiunta prevede un incremento più contenuto e il meccanismo di anticipazione di liquidità da parte delle banche sopra citato. Un compromesso necessario, ma che conferma la fragilità della linea politica sulla tassazione degli istituti finanziari.

    Sono critiche Confindustria e Banca d’Italia

    Confindustria e Banca d’Italia hanno espresso valutazioni critiche sulla manovra 2026, pur da prospettive diverse. Per gli industriali, la legge di bilancio non contiene alcuna vera spinta alla crescita: le misure per le imprese — come iper-ammortamenti e crediti d’imposta — vengono giudicate troppo limitate e soprattutto temporanee, incapaci di offrire quella continuità pluriennale necessaria a stimolare investimenti. 

    Secondo Confindustria, la manovra resta troppo sbilanciata su consumi, bonus e previdenza, a scapito di energia, infrastrutture, innovazione e competitività, con il rischio di proseguire nella “crescita zero” che caratterizza l’Italia. Il mondo produttivo teme che senza un piano industriale stabile, fatto di politiche strutturali e non di interventi spot, il Paese rimanga intrappolato in stagnazione e scarsa attrattività per i capitali.

    Parallelamente, anche Banca d’Italia solleva riserve significative, soprattutto sul profilo redistributivo e sulla sostenibilità dei conti. L’istituto evidenzia che il taglio dell’aliquota IRPEF dal 35% al 33% genererà una perdita di gettito di circa 3 miliardi di euro l’anno, con benefici concentrati sui redditi medio-alti: secondo le analisi citate nella stessa audizione parlamentare, oltre l’85% del vantaggio fiscale complessivo si concentra nel 40% più ricco della popolazione

    Per i redditi bassi, invece, il risparmio è giudicato modesto e privo di effetti rilevanti sul potere d’acquisto. Banca d’Italia avverte inoltre che l’insieme delle misure espansive non produce una riduzione strutturale del deficit e contribuisce solo marginalmente ad alleggerire il debito nel medio periodo. La manovra, sottolinea l’istituto, non affronta le radici delle disuguaglianze né rafforza in modo significativo la capacità del Paese di migliorare produttività, occupazione e redditi reali.

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