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    I ricercatori diventano i nuovi proletari: il governo Meloni fa un enorme passo indietro

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    La condizione precaria dei ricercatori come la conosciamo oggi prende avvio con il Governo Berlusconi, in particolare con la legge 240/2010, proposta dall’allora ministra Gelmini.

    L’attuale ministra Bernini sembrerebbe proseguire sulla linea di alcune di quelle politiche portate avanti a partire dal 2010: vengono già da quest’anno spostate le risorse destinate alla ricerca dall’ex governo Draghi (circa poco meno di 2,07 miliardi di euro) al personale docente e non docente, inserendole nello stato di previsione (disposto combinato art. 15 co. 1 quinquies legge 106/2024, che rinvia alle risorse di cui all’art. 1 co. 297 legge 234/2021, di concerto con l’art. 5 co. 1 a. legge 537/1993).

    Si rileva, inoltre, una differenza di 7 milioni di euro tra il bilancio per azione della ricerca del 2023 (L.197/2022 quadri generali riassuntivi, bilancio per azioni) e quello del 2024 (L. 213/2023 quadri generali riassuntivi, bilancio per azioni), tagli che non tengono conto dell’inflazione e che quindi sono sottostimati.

    In questo articolo però non ci soffermeremo tanto sui costi per programma di spesa e sugli spostamenti delle risorse che sono stati fatti e che si continuano ad eseguire da parte dei vari governi, bensì sui contratti che gli enti interessati (Università, EPR e altri istituti) stipulano con i ricercatori. Dobbiamo prima partire dalla storia della legge Gelmini per capire a fondo come si è evoluta la situazione dei ricercatori.

    La disciplina dei contratti da ricercatore dal 2011 al 2022

    L’art. 22 (insieme all’art. 24) della legge 240/2010 andava a rendere i ricercatori dei proletari: la legge introduceva gli assegni di ricerca e diversi tipi di contratti (RTD) per coloro in possesso di un dottorato di ricerca. In particolare si seguiva un lungo iter burocratico prima di poter diventare professore (nonché ricercatore a tempo indeterminato).

    Gli assegni di borsa

    Al co. 3 dell’art. 22 era sancito che gli assegni di borsa venissero erogati ai vincitori del bando del concorso, e che avessero durata da 1 a 3 anni, rinnovabili fino a un periodo massimo di 4 anni (aumentati successivamente a 6 con l’avvento della legge 11/2015 – art. 6 co. 2 bis – introdotta dal Governo Renzi).

    Le caratteristiche principali dell’assegno erano stabilite dai commi 6 e 7 dello stesso articolo: gli assegni erano esentasse (art. 4 legge 476/1984) e gli assegnisti dovevano versare alla Cassa autonoma INPS 1/3 dei contributi previdenziali, mentre gli altri 2/3 erano versati dall’ente finanziatore. L’importo minimo della borsa veniva stabilito con decreto ministeriale da parte del ministro dell’Università: a quei tempi il d.m. 102/2011 aveva imposto come trattamento economico minimo 19.367 euro lordi.

    Non venivano sanciti diritti (ferie, autonomia nelle pubblicazioni e ricerche) o tutele per gli assegnisti (un sindacato di riferimento, contratti collettivi) che potessero salvaguardare gli interessi dei ricercatori.

    I contratti RTDa e RTDb

    Terminato il periodo della durata di conferimento dell’assegno, i ricercatori, dalla borsa esentasse, passavano – se tutto andava bene e superavano il concorso pubblico di selezione –  ai contratti a tempo determinato per ricercatori. Ovviamente le procedure per l’ammissione erano disciplinate dalle università: questo voleva dire che gli accessi ai contratti a tempo determinato potevano essere subordinati al requisito che si fosse stati titolari dell’assegno di ricerca, oltre che essere dottori di ricerca (art. 24 co. 1 lett. b).

    I contratti erano di due tipi (art. 24 co. 3): 

    • RTDa: contratti di durata triennale con un’unica possibilità di proroga per ulteriori 2 anni;
    • RTDb: contratti di durata triennale non rinnovabili o prorogabili, destinati unicamente a coloro che erano stati titolari del contratto RTDa.

    I contratti avevano ad oggetto la ricerca, l’attività di didattica, didattica integrativa e servizio agli studenti fino a un ammontare di 350 ore massime annue. Solo chi conseguiva l’abilitazione scientifica e riceveva una valutazione positiva dell’Ateneo, al terzo anno del contratto RTDb, poteva conseguire il titolo di professore o ricercatore a tempo indeterminato.

    La sommatoria dei vari contratti e delle borse non poteva comunque superare i 12 anni (art. 22 co. 9). Il tempo, dunque, per conseguire un contratto indeterminato era di 12 anni, anche non continuativi (se tutto andava bene):

    • 4 anni di assegno di ricerca
    • 5 anni di RTDa
    • 3 anni di RTDb 

    Tutto questo senza alcuna garanzia, né tutele o diritti di base per i ricercatori. Tra l’altro la ricerca si svolgeva dopo il dottorato di ricerca (quindi un periodo che va dai 3 ai 5 anni dopo la laurea magistrale). La riforma Gelmini portava ad esiti infausti: si rischiava, a una media di 41 anni, di non essere ancora stabili a livello lavorativo (basta fare un calcolo medio su una laurea magistrale con i tempi di tutti i contratti elencati, più o meno 5+5+12, contando la laurea, il dottorato e la ricerca).

    Un leggero passo avanti: il governo Draghi

    Il governo Draghi impone dei cambiamenti. Innanzitutto vengono eliminati i vecchi assegni di ricerca: si introducono i nuovi contratti di ricerca con il d.l 36/2022. Questi divengono contratti di lavoro a tempo determinato, di durata biennale (si modificano sempre gli art. 22 e 24 della legge Gelmini) rinnovabili per altri due anni e comunque con durata massima di 5 anni. Viene eliminata la distinzione tra RTDa e RTDb: viene introdotto un unico RTD con durata di 6 anni.

    Ai contratti si accede tramite concorso pubblico, tra l’altro il contratto di RTD si può subordinare al requisito di essere stati vincitori del contratto di ricerca. Dopo tre anni dall’inizio del contratto di RTD, e aver conseguito l’abilitazione scientifica, si può conseguire l’indeterminato come professore o ricercatore.

    La differenza con gli assegni di borsa è che per i contratti di ricerca il salario annuo è stabilito in sede di contrattazione collettiva, e comunque non inferiore al salario spettante al ricercatore a tempo definito.

    I contributi divengono a carico dell’ente che propugna la ricerca, e viene corrisposta l’IRPEF. Il lordo minimo diviene 37.630 euro, quasi più del doppio rispetto agli assegni di borsa (DPCM 15/03/2022). La retribuzione del RTD invece diviene di 45.367 euro annui, la stessa che avevano gli RTDb a tempo pieno, con un monte ore annuo di 350. Viene abrogato il limite massimo di 12 anni per il rinnovo o la proroga di questi contratti.

    Possiamo dunque affermare che c’è stata una netta differenziazione in confronto al mondo universitario creato dal Governo Berlusconi e dalla ministra Gelmini, sia rispetto alla stabilità delle figure dei ricercatori, sia rispetto al tempo per conseguire l’indeterminato, che si abbassa di 4 o 5 anni (a seconda dei casi).

    In sintesi:

    • I contratti di ricerca sono biennali con rinnovo o proroga biennale (massimo 5 anni)
    • Il nuovo RTD è unico e di 6 anni. Dopo 3 anni si può richiedere la valutazione per l’accesso all’indeterminato, dopo aver ottenuto l’abilitazione scientifica.

    Il tempo medio per l’acquisizione dell’indeterminato è di 7/8 anni dopo il conseguimento del dottorato e non più di 12 anni (anche 6 anni se un ricercatore è inserito in un progetto di rilievo nazionale o europeo). La legge però sta per essere modificata dal governo Meloni.

    Il ritorno alla precarietà: il DDL Bernini

    Il DDL Bernini (DDL 1240, presentato al Senato il 20 Settembre) mira all’introduzione di altri tipi di contratti (che hanno meno tutele rispetto a quelli vigenti al giorno d’oggi) e aggiunge a questi, di nuovo, le vecchie borse di ricerca, questa volta però non per fare “ricerca” vera e propria, ma per assistere i ricercatori. Vediamo nel dettaglio la nuova disciplina (non ancora in vigore).

    Le borse di assistenza alla ricerca

    Innanzitutto l’art. 1 del DDL introduce l’art. 22 ter alla l. 240/2010: le borse di assistenza alla ricerca. Si tratterebbe di borse concesse ai dottorati per assistere nella ricerca altri ricercatori. Queste borse, oltre che tramite concorso pubblico, possono essere assegnate mediante conferimento diretto da parte degli Atenei, su indicazione da parte del responsabile scientifico del progetto di ricerca.

    Le borse si dividono in due tipi:

    • borse di assistenza alla ricerca junior;
    • borse di assistenza alla ricerca senior.

    Per la prima è richiesto che il candidato abbia un diploma di laurea magistrale da non più di 6 anni, per la seconda un dottorato di ricerca conseguito da non più di 6 anni. È previsto lo stesso trattamento economico delle vecchie borse di ricerca. Il salario annuo è stabilito con decreto ministeriale. Le borse hanno durata minima di 1 anno prorogabile o rinnovabile fino a 3 anni.

    Il contratto post-doc

    Viene introdotto poi l’art. 22 bis alla legge 240/2010 che riguarda il contratto ‘post-doc’. L’oggetto del contratto è l’attività di ricerca, attività didattiche e di terza missione. Sussiste quindi un ampliamento dell’oggetto contrattuale rispetto al contratto di ricerca, che riguarda appunto, come dice il nome, solo la ricerca.

    All’art. 1 co. 4 viene previsto che le Università disciplinino le modalità di conferimento del contratto post-doc ai detentori di un titolo di dottorato di ricerca e di un curriculum idoneo (clausola ampia che potrebbe comprendere il passaggio per le borse di assistenza alla ricerca jr e sr per poter partecipare alla selezione). Tra l’altro la procedura di selezione è stabilita con regolamento di Ateneo e non con concorso pubblico, tramite colloquio orale. Il trattamento economico è simile a quello previsto dal contratto di ricerca.

    Il contratto di professore aggiunto

    Viene introdotto infine all’art. 22 quater il contratto di professore aggiunto nei confronti di esperti ad alta qualificazione (anche senza dottorato), su proposta del rettore del consiglio di amministrazione, con durata minima di 3 mesi e durata massima di 3 anni.

    Punti critici del nuovo DDL

    L’art. 22 co. 3 della legge 240/2010 prescrive che gli Atenei possano introdurre requisiti ulteriori nel curriculum per il conseguimento degli attuali contratti di ricerca, quindi il computo massimo degli anni aumenta fino a un numero illimitato per poter conseguire un contratto indeterminato:

    • le borse di assistenza alla ricerca durano massimo 6 anni se sommate nella loro durata massima;
    • Il contratto post-doc dura massimo 3 anni;
    • Il contratto di ricerca dura massimo 5 anni;
    • Il contratto RTD unico dura 6 anni.

    Dunque se vengono subordinati i requisiti di accesso a ogni tipologia contrattuale nell’ordine qui presente, gli anni per divenire ricercatore a tempo indeterminato o professore vanno a sommarsi fino a 17 (nel tempo non viene computato il dottorato che si deve conseguire per poter ottenere la borsa sr). Ovviamente le Università hanno campo libero: possono gestire i contratti come vogliono. Inoltre l’abuso più grande sembra proprio il contratto di professore aggiunto: persone esterne che eludendo la procedura lunghissima per divenire professore riescono ad essere immessi nell’ambiente universitario.

    In sintesi si esplicano le differenze tra i nuovi contratti e il contratto di ricerca vigente.

    Differenze tra borsa di assistenza alla ricerca senior e contratto di ricerca (vigente):

    • la borsa di assistenza alla ricerca sr non prevede un trattamento economico e un versamento dei contributi (sostanzialmente ricalca la disciplina del vecchio assegno di borsa) come quelli del vigente contratto di ricerca;
    • le borse di assistenza alla ricerca sono conferite su indicazione del responsabile scientifico rispetto alla vigente procedura concorsuale del contratto di ricerca.

    Differenze tra contratto post-doc e contratto di ricerca:

    • il contratto post-doc ha un oggetto più ampio rispetto al contratto di ricerca, ossia attività di ricerca, didattica e terze missioni (il contratto di ricerca ha ad oggetto solo l’attività di ricerca);
    • la procedura per l’ottenimento del post-doc appare molto più arbitraria di quella del contratto di ricerca.

    Non è previsto un limite al monte ore annuo per contratti di ricerca, contratti post-doc e borse di assistenza alla ricerca.

    Si comprende dunque come i ricercatori continuino ad essere sfruttati e malpagati in un’ottica governativa che non riesce a comprendere le loro istanze.

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