Se fosse confermato, vivo o morto che sia, aver preso Mohammed Deif sarebbe un colpo importante per Israele. Deif è il capo delle Brigate Qassam, l’ala militare di Hamas, e il principale ricercato dopo Yahya Sinwar, il leader del movimento islamico palestinese. La sua cattura o eliminazione potrebbe sembrare un successo per il governo di Tel Aviv, ma la domanda che sorge è: cambierebbe davvero qualcosa in questa guerra, ormai entrata nel suo decimo mese e segnata da un drammatico bilancio di vittime e distruzione? Probabilmente no.
Una guerra di lunga durata
Il conflitto israelo-palestinese è caratterizzato da una cyclical escalation di violenze, e l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che ha causato la morte di 1.200 israeliani e più di 250 ostaggi, ha portato a una reazione militare israeliana devastante. Tuttavia, l’idea che la cattura di Deif possa segnare un turning point nel conflitto è illusoria. Israele ha già eliminato figure di spicco di Hamas in passato, come Yahya Ayyash e Salah Shahade, senza riuscire a sradicare il movimento. Anzi, ogni volta che un leader viene ucciso, un altro emerge, spesso con una mentalità ancora più estremista.
La guerra, che ha causato un numero straziante di morti tra i civili palestinesi e ha portato alla distruzione di infrastrutture vitali, sembra non avere una fine in vista. Mentre i leader israeliani, in particolare il premier Bibi Netanyahu, potrebbero proclamare che la morte o la cattura di Deif dimostri che la vittoria è vicina, la realtà sul campo è molto più complessa. La maggior parte degli esperti concorda nel dire che la lotta contro Hamas è destinata a continuare, nonostante gli sforzi per ridurre la sua leadership.
Le dinamiche di Hamas
Un articolo pubblicato dal New York Times ha fornito un’analisi approfondita delle modalità operative di Hamas. Cinque giornalisti hanno intervistato soldati e ufficiali, esperti militari e politici, e hanno esaminato migliaia di video per offrire una visione chiara di come il gruppo stia affrontando il conflitto. Dopo l’attacco del 7 ottobre, le Brigate Qassam si sono trasformate da un esercito convenzionale in un movimento di guerriglia altamente adattabile.
Hamas ha imparato a evitare battaglie frontali con l’esercito israeliano, rifugiandosi tra la popolazione civile. Questo approccio non solo gli consente di utilizzare i civili come scudi umani, ma rende anche estremamente difficile per le forze israeliane colpire i militanti senza causare enormi perdite tra la popolazione palestinese. I membri delle Brigate Qassam indossano abiti civili e si mimetizzano tra la gente, rendendo la loro identificazione e neutralizzazione estremamente complessa per i militari israeliani.
Ogni volta che Hamas colpisce, lo fa in modo da massimizzare l’impatto psicologico e propagandistico. Un membro della squadra di attacco è spesso armato di una videocamera, e il filmato che documenta l’operazione ha un effetto più potente delle armi usate. Ciò significa che il conflitto non si gioca solo sul campo di battaglia, ma anche in quello della comunicazione e dell’immagine.
Le conseguenze delle operazioni israeliane
Da quando sono iniziate le operazioni di terra, Israele ha subito perdite significative: quasi 350 soldati, meno di quanto temuto dai comandi militari, ma comunque un costo umano considerevole. Ciò nonostante, Hamas sembra sfruttare maggiormente il bilancio dei civili palestinesi che il numero di israeliani uccisi. Ogni massacro israeliano diventa un’arma di propaganda potente, un modo per raccogliere sostegno internazionale e galvanizzare l’opinione pubblica palestinese.
Mousa Abu Marzouk, un alto esponente di Hamas in esilio a Doha, ha sollevato una questione cruciale: “Se qualcuno prende un’arma da sotto un letto, è una giustificazione per uccidere in una scuola e distruggere un ospedale?” Questa ammissione sottolinea l’indifferenza di Hamas nei confronti dei civili e pone un dilemma morale per l’esercito israeliano, che si definisce l’unica democrazia del Medio Oriente. Come può un paese democratico giustificare la morte di innocenti nel tentativo di combattere un’organizzazione che si nasconde tra la popolazione?
La risposta della comunità internazionale
L’opinione pubblica israeliana, al momento, sembra accettare le perdite civili come parte del prezzo da pagare in un conflitto che dura da decenni. Eppure, il resto del mondo osserva con crescente preoccupazione. Mai Israele è stato così criticato dalla comunità internazionale, che condanna le sue operazioni militari a Gaza come sproporzionate e inumane. Questo isolamento diplomatico potrebbe avere ripercussioni a lungo termine sulla posizione di Israele nel contesto geopolitico mediorientale.
Nonostante le affermazioni di Netanyahu, la realtà è che la lotta contro Hamas non è solo una questione di eliminazione fisica dei leader. Come ha recentemente affermato il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, “Hamas non è solo un’organizzazione terroristica, ma anche un’idea”. Questa distinzione fondamentale evidenzia l’impossibilità di sradicare un movimento che ha radici profonde nella società palestinese. Se l’organizzazione può essere distrutta militarmente, l’idea e la giustificazione per la resistenza rimangono, alimentate dalle ingiustizie e dalle sofferenze vissute dai palestinesi.
Conclusioni: verso una soluzione duratura?
Mentre gli israeliani e i palestinesi si trovano intrappolati in un ciclo di violenza che sembra senza fine, la cattura o l’uccisione di Mohammed Deif non cambierà il panorama complessivo del conflitto. Le operazioni militari, le rappresaglie e le conseguenze tragiche per la popolazione civile continueranno a generare una spirale di odio e vendetta.
Per raggiungere una pace duratura, è necessaria una strategia che vada oltre il semplice approccio militare. È indispensabile un dialogo che affronti le cause profonde del conflitto, che includa il riconoscimento dei diritti e delle aspirazioni dei palestinesi, oltre a garantire la sicurezza di Israele. Solo così sarà possibile sperare in un futuro in cui entrambe le nazioni possano coesistere pacificamente, lontano dalle ombre di una guerra che ha già causato troppi lutti.