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    Il femminicidio come reato autonomo: soddisfazione politica e realtà quotidiana

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    Una novità dirompente, non solo giuridica, ma anche sul piano culturale”: questo il commento della ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Maria Roccella, al varo del disegno di legge che introduce nel sistema giudico italiano il femminicidio quale reato a sé stante, punibile con l’ergastolo. Espressa viva soddisfazione da destra a sinistra, senza distinzione alcuna, tralasciando allegramente il fatto che quanto accaduto altro non è che l’ennesima strumentalizzazione pagata a caro prezzo. 

    Il femminicidio quale reato autonomo

    Nel tardo pomeriggio di venerdì 7 marzo, il Consiglio dei ministri convocato simbolicamente in vista della Giornata internazionale della donna – sottolineiamo simbolicamente, perché ci aiuterà a capire meglio quanto segue – ha approvato  un disegno di legge per l’introduzione del reato di femminicidio nel codice penale. Il testo si pone come dimostrazione plastica di un intervento ampio e sistematico pensato per “il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime”. Dunque, in virtù di ciò, complice “l’estrema urgenza criminologica del fenomeno e per la particolare struttura del reato”, fa si che la fattispecie del femminicidio sia sanzionata con la pena dell’ergastolo

    In aggiunta, stando al comunicato diffuso al termine del Consiglio dei ministri, “le stesse circostanze di commissione del reato sono introdotte quali aggravanti per i delitti più tipici di codice rosso, con la previsione di un aumento delle pene previste di almeno un terzo e fino alla metà o a due terzi, a seconda del delitto”. 

    Tradotto in altri termini, aggravanti ed aumenti di pena per i reati di maltrattamenti personali, stalking, violenza sessuale, revenge porn. Discorso analogo per le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, le lesioni permanenti causate dall’utilizzo di acido, l’omicidio preterintenzionale, l’interruzione di gravidanza non consensuale e gli atti persecutori

    Soddisfazione politica 

    Ferma e convinta la posizione assunta dal Governo: il ministro della giustizia, Carlo Nordio, ha parlato di una modifica “epocale”, mentre la premier Giorgia Meloni ha bollato l’approvazione del suddetto come passo “estremamente significativo” per “dare una sferzata nella lotta a questa intollerabile piaga” [la violenza di genere, ndr]. 

    La realtà quotidiana

    Anzitutto, che cosa si intende per femminicidio: letteralmente, il delitto commesso da “chiunque provochi la morte di una donna per motivi di discriminazione, odio di genere o per ostacolare l’esercizio dei suoi diritti e l’espressione della sua personalità”. Stiamo parlando di un fenomeno che miete vittime ad ampio raggio: stando ai dati forniti dal Ministero dell’interno, nel periodo 1˚ gennaio – 30 giugno 2024, su un totale di 141 omicidi, si contano 49 vittime donne, di cui 44 in ambito affettivo. Sei le donne uccise dall’inizio del 2025. 

    Al di là dei numeri, ciò che deve e dovrebbe colpire è la storia di queste vittime, troppo spesso intrappolate in una ragnatela di soprusi e violenza invisibile ai più. 

    Interrogativi non ascoltati 

    Ecco, fin qui la rendicontazione della quotidianità: assodata la criticità strutturale sottesa, viene spontaneo paragonare l’intervento normativo – beninteso, fondamentale in uno stato di diritto – ad una superficie ben poco patinata che, essendo per l’appunto imparziale, non argina affatto la radice del problema. L’ergastolo, il massimo della pena previsto dall’ordinamento giuridico italiano, non è e non deve essere la panacea a tutti i mali

    In caso non fosse particolarmente chiaro, esiste un problema di fondo tutt’oggi ignorato: la limitazione delle libertà personale come espressione della cultura patriarcale. Sullo stesso piano, la donna vista come oggetto da sfruttare a proprio piacimento, senza preoccupazione alcuna, la mancata indipendenza economica che in molti casi rifugge la denuncia alle forze dell’ordine, la sottomissione subita sul luogo di lavoro. Tutte componenti rispetto alle quali sarebbe auspicabile un intervento culturale. Ciò detto, ci si chiede in che modo, esattamente, il Governo intenda intervenire a tal proposito. 

    Una politica che arranca

    E se quanto detto poc’anzi dovrebbe suonare a dir poco scontato, quanto segue intimorisce, e non poco: il Governo ha approvato il disegno di legge di cui stiamo trattando alla vigilia dell’8 marzo, poche ore prima dell’acquisto spasmodico di mimose, puntualmente messe all’attenzione delle donne. Perché attendere, dunque, fino a questo momento? Trovata di marketing politico? Atto puramente simbolico? Gesto di riconoscimento? Al momento non è dato saperlo, ma di certo le famiglie delle vittime di femminicidio non avrebbero bisogno di attendere l’avvento di una ricorrenza internazionale per ottenere la giusta considerazione. 

    Riprendo un articolo redatto da Mattia Feltri per Huffington Post, “Il reato di femminicidio. Come aggiungere errore a orrore” […] “Il disegno di legge con cui il Governo si propone, per la prima volta in Europa, di introdurre il reato di femminicidio, e presentato alla vigilia dell’Otto marzo come la réclame del panettone alla vigilia di Natale, dice che cosa è diventata la politica (lo sappiamo e ce lo ripetiamo), ma anche che cosa siamo diventati noi”.

    Conclusioni

    In estrema sintesi, bene complimentarsi per l’aumento delle pene, ma è necessario far seguire a quella che finora è stata pura retorica politica misure strutturali e intensive prendendo per esempio spunto dall’educazione alla sessualità, attesa da tempo all’interno dei contesti scolastici di ogni ordine e grado. 

    In attesa di un benché minimo riscontro in quest’ultimo senso, le vittime di femminicidio – pur formalmente riconosciute dal codice penale – continueranno ad aumentare a dismisura, magari poco dopo aver ricevuto l’ennesima mimosa da parte di un uomo che diceva di amarle perdutamente. 

    A cura di Fiammetta Freggiaro – Vicedirettrice vicaria

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