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    Il generale bosniaco Mladić, tra condanne per genocidio e richieste di scarcerazione

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    Ratko Mladić, ex generale dell’esercito serbo-bosniaco, la figura più famosa legata ai processi per crimini di guerra relativi al conflitto in Bosnia ed Erzegovina (1992–1995), si trova in condizioni fisiche molto gravi, arrivando a domandare – anche in questi ultimi giorni – la scarcerazione. 

    Mladić è considerato responsabile di alcuni dei più atroci crimini compiuti durante le guerre jugoslave negli anni Novanta: è stato arrestato nel 2011 dopo oltre 15 anni di latitanza. Mladić è stato condannato all’ergastolo nel 2017 per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, con la sentenza confermata nel 2021 dal Meccanismo Residuale Internazionale per i Tribunali Penali (IRMCT), l’erede del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY).

    La richiesta di rilascio e il ruolo dell’IRMCT

    Non si tratta della prima richiesta di scarcerazione temporanea per motivi di salute avanzata da Mladić: i suoi legali avevano già presentato un’istanza in tal senso nel maggio 2024.Tra i motivi delle varie domande proposte svariati problemi di salute, tra i quali complicanze renali, cardiache e neurologiche.

    Gli avvocati hanno sempre sostenuto che l’assistenza sanitaria presso il centro di detenzione delle Nazioni Unite nei Paesi Bassi non sia sufficiente per garantirgli cure adeguate. Hanno quindi chiesto il trasferimento in Serbia, dove potrebbe ricevere – secondo il rispettivo parere – migliori cure, oltre ad essere anche vicino alla famiglia. Il 31 maggio 2024, l’IRMCT ha respinto tale richiesta: la corte ha stabilito che Mladić, nonostante le sue condizioni di salute, riceve già un’assistenza medica sufficiente presso l’unità di detenzione dell’ONU. 

    Oltre a completare i procedimenti pendenti, l’IRMCT è responsabile della supervisione delle pene, della gestione delle richieste di rilascio anticipato e della custodia dei condannati. Nel caso di Mladić, la corte aveva affermato che la documentazione medica fornita dalla difesa non dimostrava l’urgenza o l’inadeguatezza delle cure fornite. Il tribunale aveva quindi concluso che la permanenza in carcere era compatibile con la tutela della sua salute.

    Il caso Mladic 

    Il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY), e ora il suo successore IRMCT, ha rappresentato una svolta nella giustizia penale internazionale. È stato il primo tribunale penale internazionale istituito dopo i processi di Norimberga e Tokyo e ha contribuito allo sviluppo del diritto penale internazionale.

    Ratko Mladić è uno dei casi simbolo della funzione storica di questi tribunali: dimostrare che anche i più alti comandanti militari possono essere chiamati a rispondere delle loro azioni. La sua condanna per genocidio nel 2017 ha rappresentato un momento storico chiave, perché avvenuta dopo svariati anni e perché si è presentata la sua elevata responsabilità nella panificazione e nell’esecuzione di settemila bosniaci uccisi a Srbrenica

    La memoria collettiva e il negazionismo nei Balcani

    Nonostante la gravità dei crimini accertati, Ratko Mladić continua ad essere considerato da una parte della popolazione serba come un eroe nazionale. Suo figlio, Dario Mladić, compare spesso nei media locali serbi per denunciare le condizioni di salute del padre e per chiederne la scarcerazione. 

    Il caso Mladić non è soltanto una questione giuridica o umanitaria: è anche un esempio chiave nel conflitto di memorie presente nei Balcani al giorno d’oggi. Nonostante le sentenze definitive, è visto come un comandante che ha difeso la nazione durante un periodo violento della storia jugoslava. In questa rilettura, i crimini vengono giustificati come atti di guerra o addirittura negati.

    Questa dinamica va inserita successivamente in un contesto più ampio, come il negazionismo storico e il revisionismo: i crimini commessi negli anni Novanta, nel corso delle guerre jugoslave, vengono sistematicamente manipolati e rielaborati con una narrativa che subisce inevitabilmente delle finalità a scopo identitario.

    Questo fenomeno non è presente unicamente in Serbia, ma anche in Croazia e in Bosnia, dove il passato è spesso ‘reinterpretato’: ad esempio, in Serbia sono numerose le manifestazioni pubbliche di supporto a Mladić, dai murales che lo raffigurano come un martire, a magliette e bandiere con la sua immagine. 

    In contrapposizione alle manifestazioni serbe, per le comunità bosgnacche, e in particolare tra i sopravvissuti e i familiari delle vittime del genocidio di Srebrenica, la figura di Mladić incarna l’apice dell’orrore e della disumanizzazione. Ogni richiesta di scarcerazione, anche se giustificata da motivi di salute, viene vissuta come un insulto alla memoria delle vittime. Per molti, la permanenza in carcere di Mladić rappresenta un riconoscimento simbolico del dolore subito e della dignità ritrovata attraverso il processo.

    20250219

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