A poche ore dalla firma dell’accordo di Sharm el-Sheikh per il termine del conflitto in Medio Oriente non pochi sono i dubbi in merito a se e quale ruolo avrà l’Unione europea nella ricostruzione di Gaza, nel cosiddetto “day after”.
Il “Board of Peace”
A due anni dall’inizio della guerra tra Hamas ed Israele, l’Unione europea rivendica il suo ruolo nell’implementazione del piano trumpiano. Il capo della diplomazia europea ha dichiarato: “La prima fase dell’accordo di Gaza rappresenta un passo importante verso la pace. Ovviamente, dobbiamo pianificare il futuro e questo è il motivo per cui siamo qui. Qualsiasi piano, per funzionare, necessita anche del sostegno internazionale”.
L’Unione, dunque, sostiene il piano statunitense, ma vuole farne parte nonostante nei due anni di guerra essa sia sempre stata paralizzata a causa delle divisioni interne. Nel passaggio tra la fine del conflitto armato e la lunga e complessa fase di ricostruzione di Gaza, per cui secondo un rapporto della stessa Unione sarebbero necessari circa 53 miliardi di dollari, i leader europei stanno cercando di ritagliarsi un ruolo.
Infatti, secondo quanto descritto dal piano del presidente Trump su Gaza, ci sarà un governo transitorio tecnico, composto da funzionari esperti palestinesi e internazionali, e coordinato dal cosiddetto “Board of Peace”.
Quest’ultimo, se già al suo interno è stato inserito Tony Blair, al momento non prevede nessun’autorità europea, il che significherebbe che l’UE potrebbe non avere voce in capitolo a livello politico, né tantomeno militare.
La missione Rafah
I nodi da sciogliere interni al piano sono dunque molti e riguardano aspetti di fondamentale importanza quali la governance, il controllo delle milizie e la partecipazione o meno dell’Autorità palestinese, da un lato nel governo in sé ma anche nella ricostruzione di Gaza e della Striscia.
Importante, per quanto riguarda la strategia politica europea, è la missione Rafah rilanciata dall’Unione, dopo la sospensione nel 2007, riguardante l’invio di fondi umanitari al valico di Rafah, tra Gaza ed Egitto, che recentemente è stato chiuso dall’autorità israeliana.
L’Unione europea, dunque, conta di “fare la sua parte” attraverso questa missione e ampliando il sostegno al bilancio dell’Autorità palestinese e ai progetti di cooperazione infrastrutturale. Come ha affermato l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas: “Siamo i maggiori donatori alla Palestina in termini di aiuti umanitari, ma anche all’Autorità palestinese. Pertanto, ritengo che, dato il nostro contributo, dovremmo essere presenti al tavolo delle trattative per discutere”.
Quali sono gli ostacoli?
Nonostante il grande impegno che L’Unione europea dice di voler mettere in atto, come già affermato prima, in questi anni di conflitto le divisioni interne hanno giocato un ruolo molto importante nella mancata attuazione di provvedimenti. L’Unione è stata da molti percepita come assente e definita anche da Netanyahu come “irrilevante” nei negoziati mediorientali.
In più anche i paesi arabi operano un ruolo importante nella decisione delle personalità che entreranno a far parte del “Consiglio di pace”. Dal loro punto di vista un’occidentalizzazione troppo marcata metterebbe a rischio la ricostruzione, ma soprattutto la stabilità di un luogo fragile come il Medio Oriente, compromettendo quindi tutto il progetto.
In più, un eccessivo controllo esterno potrebbe da un lato portare a maggiori aiuti e fondi ad un popolo completamente devastato dalla fame e dalla povertà, ma dall’altro potrebbe portare a dissapori tra l’autorità occidentale e le escluse forze palestinesi, che continueranno di fatto a mantenere una forte influenza nella popolazione.
Inoltre, il costo elevato necessario per la sopravvivenza e la ricostruzione della Striscia è insostenibile dalla sola Unione europea, che può sicuramente dare un contributo importante, ma che dovrà essere comunque supportata da altri stati. Questo richiederà un grande sforzo ed un grande esempio di diplomazia globale, non di facile attuazione.
L’Unione riuscirà a ritagliarsi un ruolo?
In conclusione, l’Unione europea dovrà essere in grado, in un tempo molto ristretto, di avere capacità diplomatica e finanziaria per permetterle di non avere un ruolo marginale, se non addirittura del tutto assente, all’interno del futuro di Gaza.
In più dovrà essere preparata anche strategicamente nel costruire alleanze con i paesi arabi e nell’inserirsi politicamente ed economicamente all’interno della governance palestinese. Le fratture interne saranno anche questa volta motivo di ostacolo? Le crepe nei rapporti tra Israele e alcuni paesi europei, che si sono mostrati negli scorsi mesi favorevoli all’autodeterminazione del popolo palestinese, mineranno il progetto europeo su Gaza?
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