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    Immunità parlamentare: presentata alla Camera una proposta per estenderla

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    La Fondazione Einaudi ha avanzato una proposta alla Camera per il reintegro dell’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari non solo per l’arresto, ma anche per l’avvio delle indagini. D’accordo gli esponenti di Forza Italia e Lega. Mentre secondo Fratelli d’Italia non rappresenta una priorità.

    Il disegno di legge della Fondazione Luigi Einaudi prevede una modifica dell’articolo 68 della Costituzione per ripristinare la vecchia immunità parlamentare riscritta in senso restrittivo nel 1993, dopo Tangentopoli. Ritornerebbe pertanto la clausola che «nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale, senza una autorizzazione della Camera alla quale appartiene». 

    COS’È L’IMMUNITÀ PARLAMENTARE 

    L’immunità parlamentare è una garanzia costituzionale che tutela i membri del Parlamento (deputati e senatori) da possibili interferenze o pressioni da parte di altri poteri dello Stato, in particolare quello giudiziario. L’immunità parlamentare si articola in due forme: l’insindacabilità e l’inviolabilità. L’insindacabilità consiste nel fatto che i parlamentari non possono essere perseguiti o chiamati a rispondere per le opinioni espresse o i voti dati nell’esercizio della loro funzione. 

    L’inviolabilità consiste nel fatto che i parlamentari non possono essere arrestati, perquisiti o sottoposti a misure cautelari senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza, salvo i casi di flagranza di reato. L’inviolabilità si applica quindi a tutte le attività dei parlamentari, anche quelle non connesse al mandato, ma non impedisce l’esercizio dell’azione penale da parte della magistratura.

    Si ritiene che l’insindacabilità sia una tutela indispensabile per la libertà di espressione e di coscienza dei parlamentari, e che debba essere mantenuta inalterata. L’inviolabilità, invece, sarebbe una forma di privilegio ingiustificato, che potrebbe essere abolita o limitata ai soli reati di opinione o politici. L’immunità parlamentare non rappresenta un vantaggio personale, bensì una protezione istituzionale che ha l’obiettivo di tutelare l’indipendenza e l’autonomia del Parlamento. Essa non esclude la responsabilità penale dei membri del parlamento, ma ne disciplina le modalità di verifica e di attuazione delle possibili sanzioni. Questo istituto presenta, quindi, dei vincoli, che sono determinati dalla Costituzione e dalle regole interne delle Camere. 

    Il primo vincolo è la flagranza di reato, che attiva l’obbligo di arresto e di comunicazione immediata alla Camera competente, che può decidere, entro ventiquattro ore, se consentire o meno la continuazione del procedimento. Il secondo vincolo è la necessità di ottenere il permesso di procedere dalla magistratura, che deve essere valutato dalla Giunta per le autorizzazioni e ratificato dalla Camera con voto aperto. Il terzo limite concerne la possibilità di revocare l’autorizzazione a procedere da parte della Camera, qualora ci sia un cambiamento della situazione di fatto o di diritto. 

    LA LEGGE 29 OTTOBRE 1993 

    Le vicende delle immunità penali dei Parlamentari nel periodo Repubblicano sono segnate da uno spartiacque: la Legge Costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, che ha modificato in maniera decisiva l’originario impianto dell’art. 68 Cost. Già con lo Statuto Albertino, l’istituto si era effettivamente integrato nella nostra tradizione giuridica, che aveva preso come modello di riferimento le costituzioni francesi tra la fine del settecento (a partire da quella del 1791) e l’inizio dell’ottocento.

    Seguendo tale modello, l’art. 68 Cost. nel testo originario disciplinava le immunità secondo la ben nota suddivisione tra insindacabilità e inviolabilità. La prima tutela i parlamentari quanto “alle opinioni espresse e ai voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”; ha natura sostanziale poiché elimina in radice l’antigiuridicità del fatto, impedisce il sorgere del reato. L’inviolabilità ha invece natura processuale, risolvendosi in un impedimento a specifiche attività dell’autorità giudiziaria, che può essere rimosso solo mediante un’autorizzazione della camera di appartenenza del parlamentare. 

    La riforma del 1993 si limita ad una modifica formale al primo comma, ma incide sul regime dell’inviolabilità per tre aspetti assai importanti: elimina l’autorizzazione parlamentare per la sottoposizione a “procedimento penale”; elimina l’autorizzazione per l’arresto o il mantenimento in detenzione in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna; introduce l’autorizzazione per la sottoposizione dei parlamentari a “intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro della corrispondenza”. 

    L’autorizzazione ad agire era sempre più vista dall’opinione pubblica come un vantaggio. A funzionare da detonatore fu l’indagine c. d. Mani pulite e il rapido incremento delle domande di approvazione a procedere per crimini legati al commercio di denaro.  Dunque, una classe politica che per lungo tempo aveva diretto la nazione, compromessa nella percezione pubblica, ansiosa e indecisa nel trovare una soluzione, arrivò all’approvazione della legge costituzionale n. 3 del 1993. L’aspetto più significativo consiste nel superamento del principio secondo cui le camere erano gli unici arbitri della loro composizione, sia in merito a situazioni transitorie (un arresto di breve durata), sia in riferimento a situazioni definitive (un arresto seguito da condanna a lungo termine, o la pronuncia di decadenza). 

    IL DISEGNO DI LEGGE DELLA FONDAZIONE EINAUDI 

    Ora sul tavolo arriva una proposta ufficiale della Fondazione Einaudi a cui guardano con interesse Forza Italia e Lega. E in un momento delicato nei rapporti tra magistratura e politica per via del caso Almasri la maggioranza appare divisa sul tema. “La riforma dell’articolo 68 è in cima alle leggi liberticide del disgraziato 1993” ha spiegato il presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto presentando il disegno di legge alla Camera. 

    Il disegno di legge vuole modificare l’articolo 68 della Carta, prevedendo che i membri del Parlamento non possano essere perseguiti per “le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Senza l’autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun deputato o senatore potrà essere sottoposto a procedimento penale. Non potrà essere arrestato, privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, “salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura”.

    Il testo specifica che “eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile”. Nella relazione allegata al disegno di legge, la Fondazione Einaudi sottolinea che “la mancanza di qualsiasi forma di responsabilità e valutazione, anche solo professionale, dei magistrati, insieme alla riforma costituzionale del 1993, ha provocato indubbi e gravissimi squilibri nell’ordine democratico costituzionale che devono essere necessariamente corretti.”

    LA REVOCA DELL’IMMUNITÀ PARLAMENTARE 

    Ogni richiesta circa l’autorità competente volta a revocare l’immunità a un membro del Parlamento è comunicata al Parlamento stesso riunito in seduta plenaria e deferita alla Commissione competente. La quale avrà il compito di procedere con un accoglimento della stessa, od un suo rigetto.

    Dopo l’esame della Commissione competente, il Parlamento procede con la votazione e la successiva decisione verrà comunicata all’interessato e all’autorità competente. Contro nessun deputato o senatore, senza autorizzazione del Parlamento, può essere adottata alcuna misura privativa o limitativa della sua libertà o qualsiasi altra misura, compresa la sottoposizione a processo penale, che gli impedisca di esercitare le funzioni proprie del mandato, “salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato di ordine di cattura.” 

    La modifica dell’art. 68 cost. del 1993 ha modificato il corso degli eventi politici e istituzionali in Italia. I riformatori del ’93 sapevano indubbiamente di alterare il bilanciamento tra politica e magistratura a vantaggio di quest’ultima, ma è altrettanto vero che non potevano anticipare le tensioni emerse successivamente. 

    L’eliminazione dell’autorizzazione a procedere ha inaspettatamente generato un intervallo nei legami tra parlamento e magistratura, da cui sono nate tensioni che si sono riflesse sull’insindacabilità parlamentare. Lega e Fratelli d’Italia pensano  «che sia assolutamente utile affrontare questo dibattito con massima serenità per il bene del Paese», e «il fatto che si sia aperto il dibattito» anche se accademico, ha evidenziato Romeo, «è un passo in avanti verso quella che dovrebbe essere l’indipendenza delle politica». 

    Mentre da AVS il co-portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, dichiara: “che mentre milioni di italiani sono costretti a rinunciare al riscaldamento per il caro bollette, il governo Meloni e i suoi alleati non trovano niente di meglio da fare che tentare di garantirsi nuovi scudi giudiziari”. Un tema che dovrebbe essere trattato con maggiore attenzione in vista delle sfide imposte dalle dinamiche istituzionali.

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