Vi sarà capitato, scorrendo tra i reels, di vedere il video in cui Giorgia Meloni ed Elly Schlein si abbracciano calorosamente, vestite con maglioni natalizi. Sui social è ormai impossibile non incappare in contenuti generati dall’intelligenza artificiale. Se questo ti spaventa, sappi che è solo l’inizio. Secondo un rapporto dell’Università di Stanford, il 66% delle persone ritiene che l’IA influenzerà drasticamente le loro vite nei prossimi tre-cinque anni. Ma è il caso di allarmarsi? Ne abbiamo parlato con la deputata Giulia Pastorella e con Alessandro Brusadelli, ricercatore dell’Università di Brescia nel campo dell’intelligenza artificiale.
Siamo pronti per l’intelligenza artificiale?
Cosa sta facendo la politica per riuscire a sfruttare le opportunità dell’IA e, al tempo stesso, mitigarne i potenziali rischi? Come da tradizione, il nostro Paese ha legiferato mediamente più degli altri membri dell’UE riguardo il tema dell’IA, «ma non è detto che questo sia un fattore positivo», esordisce Pastorella. «Il DDL italiano sull’intelligenza artificiale anticipa in modo parziale e frammentario le norme europee. Questo crea confusione sia per gli operatori del settore che per le istituzioni, con una stratificazione normativa che rischia di rallentare lo sviluppo anziché favorirlo. Tutti i programmi strategici per l’intelligenza artificiale emanati negli ultimi anni sono rimasti per lo più lettera morta».
Di fatto l’Italia non ha le condizioni necessarie per implementare un utilizzo su larga scala di questo strumento potenzialmente rivoluzionario. «È essenziale garantire un’infrastruttura tecnologica adeguata a sostenere l’adozione e l’uso dell’IA su scala nazionale. La mia Proposta di Legge sui data center vuole posizionare in un quadro normativo chiaro queste infrastrutture fondamentali per la digitalizzazione, rendendo più semplici gli investimenti». Ma, sempre secondo Giulia Pastorella, «è necessario agire a livello comunitario e non di singoli Stati Membri dell’UE. Stabilire standard e regolamenti a livello di singoli Paesi rischia di frammentare il mercato e complicare il quadro regolatorio, disincentivando gli investimenti e inficiando quindi l’innovazione».
Norme stringenti, progresso bloccato
Anche secondo Alessandro Brusadelli una regolamentazione eccessivamente stringente rischia di ostacolare il progresso: «Paradossalmente, il risultato di tali restrizioni è che gli stessi cittadini dell’Unione Europea, destinatari della tutela normativa, possono subire le conseguenze di un mancato accesso a innovazioni che potrebbero migliorare significativamente la loro qualità e le loro condizioni di vita». Esempio paradigmatico sarebbe quello del trattamento dei dati sanitari. Il legislatore italiano ha adottato il principio del consenso dell’interessato: ogni trattamento dei dati richiede un consenso specifico, limitato alla finalità per cui vengono raccolti. «Nei contesti di ricerca scientifica, questa rigidità normativa comporta ritardi, costi elevati e, in ultima analisi, una riduzione delle opportunità di progresso scientifico. È sufficiente pensare al caso in cui i dati ottenuti per uno studio clinico su una patologia, ad esempio il diabete, non possano essere riutilizzati per ricerche su altre malattie, come il cancro, senza un nuovo consenso individuale».
La paura fa novanta
L’IA non è altro che un insieme di codici ed algoritmi totalmente prevedibili, non dotata di una vera intelligenza, ma piuttosto di una grandissima capacità di semplificazione ed elaborazione. Siamo noi esseri umani ad addestrarla e, potenzialmente, a sfruttarla per intenti negativi. È il caso della disinformazione: «Sarebbe utile contrassegnare i contenuti generati dall’IA con un marchio digitale invisibile o visibile (ad esempio, un logo o metadati) per identificarli chiaramente, oppure incentivare i social media a individuare e segnalare contenuti falsi o ingannevoli», prosegue Brusadelli.
In generale, vale il principio per cui l’educazione all’utilizzo degli strumenti sta alla base del loro corretto sfruttamento. E, considerando i sentimenti di timore e paura attorno all’IA, pare che al momento ciò non stia avvenendo. L’integrazione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro e della pubblica amministrazione sarà il tassello che scatenerà la prossima grande rivoluzione dell’umanità. È necessario già da ora formare i cittadini e i lavoratori, favorendo anche il reskilling per quelle professioni che saranno lentamente assorbite dall’IA.
É fondamentale che tutti possano accedere alle opportunità delle IA, che ve ne sia una vera e propria democratizzazione, tale da mitigare gli effetti di potenziali disuguaglianze. E, soprattutto, della disuguaglianza più grave di tutte: la paura dettata dalla mancanza di consapevolezza.