spot_img
Altro
    HomeIntervisteL’intervista al Senatore Dario Parrini, dal premierato all’antifascismo

    L’intervista al Senatore Dario Parrini, dal premierato all’antifascismo

    Pubblicato il

    spot_img

    È oggi nostro ospite l’On. Dario Parrini, senatore del Partito Democratico e già sindaco del comune di Vinci dal 2004 al 2013.

    Dopo il recente annuncio della candidatura della segretaria del PD Elly Schlein alle prossime elezioni europee, Romano Prodi ha dichiarato che questo causerebbe inevitabilmente “una ferita alla democrazia”, in quanto non si riuscirebbe a portare avanti efficacemente la battaglia contro il premierato del governo Meloni Cosa ne pensa? Crede veramente che la candidatura della segretaria del PD possa “ostacolare” la battaglia contro il premierato?

    Sono d’accordo con Prodi sul fatto che una candidatura a una carica che non si ricoprirà è sempre discutibile, io rispetto la scelta della segretaria, capisco le ragioni per cui ha deciso di mettersi in gioco e credo che voglia dare un contributo fondamentale alla campagna elettorale del PD. Penso però che la regola seguita sinora dal PD, ossia di non candidare il segretario al parlamento europeo, perché poi al parlamento europeo non sarebbe andato, è una regola che sarebbe stato meglio rispettare anche questa volta. La contraddizione con la nostra battaglia sul premierato non è tanto sulla decisione di candidarsi, bensì di mettere il proprio nome nel simbolo, cosa che per alcune ore è sembrata possibile, finanche probabile.
    Ovviamente l’indicazione del nome del leader del partito nel simbolo per le elezioni europee, dove si deve eleggere una rappresentanza collegiale e dove non c’è in palio il governo del paese né la designazione di una persona ad un organo monocratico esecutivo, non è coerente con la critica che noi facciamo al progetto di estrema personalizzazione del potere, che il premierato della Meloni si “porta dietro”. Un premierato che io definirei sempre “premierato all’italiana”.

    Da ex presidente e poi vicepresidente della commissione affari costituzionali, rispettivamente durante la XVIII e la XIX legislatura, qual’è la sua opinione riguardo il premierato del governo Meloni? Crede veramente che, come afferma lo stesso governo, i poteri del Presidente della Repubblica rimarranno inalterati?

    Il premierato è sempre stato una forma di governo con una tradizione nobile, che nasce in Inghilterra, dove ovviamente è fatto con cautele e dispositivi che non hanno niente a che vedere con l’Italia. Nel Regno Unito il Parlamento sostituisce il premier se lo ritiene adeguato, se questo perde la fiducia all’interno del proprio partito. Non c’è affatto l’elezione popolare diretta del Presidente del Consiglio e soprattutto il premierato “originario” si “cala” in una forma di ordinamento monarchico e non repubblicano. Non esiste quindi il problema che esiste invece nelle repubbliche, ossia di come si fa convivere un Presidente del Consiglio eletto dal popolo con un presidente eletto dal Parlamento, che, di fatto, è il problema enorme che “il premierato all’italiana” crea. Questo, per quanto la maggioranza neghi che esista, in realtà è un macigno sulla strada di questa riforma. Il ridimensionamento dei poteri del Presidente della Repubblica è cosi chiaro che è perfino imbarazzante ricordare come mai il Presidente della Repubblica, che oggi è un equilibratore del sistema, un motore di riserva che entra in azione nei momenti di crisi, domani diventerebbe un taglia nastri, un passacarte, al massimo sarebbe un notaio. Vengono tagliati alcuni suoi poteri fondamentali anche sul piano formale, tra cui quello di scioglimento, quello di nomina del premier, che oggi sono poteri formalmente liberi in Costituzione e che domani sarebbero poteri vincolati e, in molti casi, degli atti dovuti. Poi viene diciamo “decurtato” di molta forza, perché la sua legittimazione, che oggi è superiore a quella del Presidente del Consiglio, salterebbe. Ciò in quanto se da un lato entrambi derivano la propria autorità dal Parlamento, dall’altro il Presidente della Repubblica la deriva da un’elezione parlamentare più ampia di quella che può avvenire per la fiducia al governo: se salta la parità di legittimazione, salta un equilibrio costituzionale basilare. Questa è la caratteristica di una forma di governo parlamentare che sia degna di questo nome. Credo che l’obiettivo della stabilità dei governi sia un obiettivo giusto, ma che si può realizzare ispirandosi alle migliori forme di governo parlamentari europee, senza bisogno di “liquidare” la forma di governo parlamentare. Germania, Svezia, Spagna hanno una stabilità record dei governi e, pur avendo forme di governo parlamentari, non hanno fatto l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Nessuna democrazia al mondo ha una convivenza tra un Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento e un premier eletto dal popolo.

    Molto spesso nel dibattito costituzionale odierno si afferma che il premierato del governo Meloni sia la traduzione a livello statale della forma di governo comunale e regionale, lei cosa ne pensa?

    Devo dire che è estremamente deplorevole che si insista che questa è la traduzione a livello nazionale della forma di governo comunale e regionale, come se si potesse paragonare seriamente la forma comunale e regionale a quella statale: lo Stato è “un’altra cosa”. Innanzitutto nei comuni e nelle regioni l’equivalente delle figure di garanzia del capo dello Stato e della Corte Costituzionale non ci sono, la rappresentanza dell’ente è monocefala, mentre per lo Stato è bicefala. Il Capo del governo tra l’altro è un’espressione che “deleghiamo” da un’epoca per altro molto buia del nostro paese, in quanto nella nostra Costituzione l’unico che merita il nome di capo dello stato è il Presidente della Repubblica, che con l’elezione diretta del premier non è più capo dello Stato. Questo paragone non regge per questo motivo, perché non c’è la possibilità a livello comunale e regionale di incidere sui diritti e sulle libertà dei cittadini, non c’è il potere di revisione costituzionale e vi è una suddivisione del potere apicale, cioè “al di sopra” dello Stato non c’è niente. Altri elementi molto critici di questo progetto sono quelli che hanno a che vedere con l’ulteriore svilimento, appiattimento del Parlamento. Noi ci apprestiamo a votare il cinquantesimo decreto legge tra pochi minuti da quando è iniziata la legislatura, ormai la prepotenza del Governo nell’attività governativa è dilagante. Il Parlamento è già pesantemente umiliato, aggiungere a questa umiliazione che già c’è l’elezione diretta di un capo con le liste bloccate significa alterare il rapporto tra il potere esecutivo e il potere legislativo e, secondo alcuni costituzionalisti, è un elemento caratterizzante della nostra forma di Stato. È in dubbio inoltre che tale riforma rispetti in senso “estensivo” l’art.139 della Cost., il quale afferma che la forma di stato repubblicana non si possa cambiare, significa quindi che non può tornare la monarchia: secondo me e secondo altri costituzionalisti significa anche che ci sono alcuni elementi della forma di stato repubblicana che non possono essere alterati. In più credo che non dare alcuna garanzia del fatto che il Presidente del Consiglio eletto direttamente sarà espressione della maggioranza è un limite clamoroso di questa riforma: perché non solo si avrebbe l’eccesso di potere nelle mani di una persona, ossia del capo di governo, che non ha con sé la maggioranza dei voti validi dei cittadini che sono andati a voto.

    In occasione del 25 aprile si è parlato molto della vicenda di Antonio Scurati e del “bavaglio alla Rai”. Cosa pensa a riguardo? Crede veramente che l’annullamento della presenza dello scrittore presso il programma condotto da Serena Bortone sia per motivi editoriali?

    Ma io l’ho scritto in una nota, per dire che bisogna unire i puntini e non considerare i fatti simili isolati gli uni dagli altri. Il 10 luglio dell’anno scorso veniva approvata la legge, che poi diventerà legge 92 del 2023, che stanziava credo 700.000 euro per commemorare degnamente e valorizzare, con progetti specifici, la figura di Matteotti, nel centesimo dalla morte, che è il 10 giugno 2024. Il governo, invece di emanare i decreti attuativi entro sessanta giorni come prescriveva la legge, li ha emanati circa 4 mesi dopo la scadenza: il 10 giugno così non ci sarà nessun progetto operativo. C’è l’ostruzionismo governativo per le richieste di risarcimento per gli eredi delle vittime dei crimini nazifascisti, una vicenda scandalosa. C’è il fatto che Giorgia Meloni sembra afflitta dalla stessa sindrome che impediva a Fonzie in “Happy Days” di chiedere scusa, cioè lei la parola “antifascismo” non riesce a dirla, le si blocca la parola. Allora io credo che un po’ sia indifferenza, un po’ sia volontà di revisionismo storico, un po’ c’è anche sciatteria e poi c’è un riflesso di quello che Giorgio Bocca chiamava con un’espressione felice, “l’anti-antifascismo”, che fa parte di un pezzo d’Italia. Come c’è un’Italia non fascista, c’è un Italia sicuramente “anti-antifascista”, che non vuole assumere la verità per cui la nostra Costituzione ha quelle basi antifasciste che non possono essere oggetto di ambiguità. Tra l’altro chi ancora non è riuscito a pronunciare questa parola, avrebbe secondo me una straordinaria occasione di mettere in rilievo alcune incoerenze: io sono fortissimamente antifascista, anche per ragioni familiari, ma penso che uno non possa essere antifascista ed essere indulgente con i totalitarismi di oggi. In alcune aree limitate dell’antifascismo, penso alla sinistra estrema, si è anti fascisti, cioè contro la dittatura di cinquant’anni fa, ma si guarda con simpatia Chavez o Cuba, o la Russia di Putin, paesi dove la libertà “non si vede di striscio”. Noi che diciamo di essere antifascisti riconosciamo che la storia del fascismo italiano è una storia di crimini e di illibertà dal ‘21, quando si è incominciato ad ammazzare le persone in casa dieci contro uno, alla sciagurata guerra, passando per le leggi razziali. Chiediamo però coerenza nel dire che chi è anti fascista deve essere sempre democratico, ma questo purtroppo non avverrà: la classe dirigente post missina, che viene dalla storia dell’MSI, non ha un problema solo col fascismo di Mussolini ma ha anche un grandissimo problema con il neo fascismo di Almirante. Siccome dichiararsi antifascisti li obbligherebbe a recidere anche quelle radici, Mussolini sono disposti a “toccarlo un pò”, neanche più di tanto, ma Almirante lo considerano un “totem intoccabile”, uno che diceva che la parola fascista ce l’aveva stampata in fronte.

    Nei quotidiani italiani si è parlato molto di un possibile ritorno di Mario Draghi e di come l’Unione Europea abbia bisogno dell’attuazione dell’agenda Draghi: ritiene che, nello scenario politico internazionale attuale, la sua presenza sia fondamentale?

    Io non so se questo sia possibile, non saprei aggettivarlo, io credo che Draghi sia una risorsa fondamentale per l’europeismo, quindi vorrei tenermelo stretto e non “regalarlo a nessun’altro”, è un federalista europeo autentico, che ritiene che debba prevalere la volontà di conferire ulteriori fette di sovranità agli organismi comunitari. Le sue idee sul debito pubblico europeo da utilizzare come strumento per le tre transizioni che l’economia dell’Unione e che la società dell’Unione europea devono fare sono giustissime. Eviterei però di trascinare Draghi in una discussione, che avviene secondo me solo in Italia, con cui senza sapere i risultati delle elezioni europee si vuole decidere ora chi farà il presidente della Commissione. In Europa c’è sempre stato il voto, solitamente è la famiglia politica più rappresentata che esprime la proposta per la nomina del presidente della commissione. Se dovesse essere necessario un compromesso, sarebbe una figura degnissima di ricoprire quel ruolo. Chi è in un partito, lotta affinché quel partito sia il primo, però Draghi è portatore di idee che sottoscrivo al cento per cento sull’Europa.

    Un altro tema molto acceso riguarda la legge 194, che regola l’interruzione della gravidanza e che la premier Meloni avrebbe affermato di non voler in alcun modo modificare. Dopo un recente emendamento relativo al dl del PNRR sul quale il governo ha posto la fiducia, si dà però la possibilità alle associazioni antiabortiste di entrare nelle strutture dove le donne possono portare avanti l’interruzione della gravidanza. Cosa ne pensa a riguardo?

    Secondo me l’atteggiamento di Giorgia Meloni riguardo la legge 194 è un atteggiamento furbastro, di chi vuole dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Un colpo al cerchio proclamandosi difensore della legge, perché sa che l’Italia è un paese che, nonostante tutti i suoi difetti, ha compiuto dei progressi sul fronte dei diritti civili che sono irreversibili; dà poi un colpo alla botte, mandando segnali di intesa e complicità ad un mondo reazionario, nel quale Fratelli d’Italia ha “affondato le mani” pienamente negli ultimi anni.
    Sto parlando quindi di una “fetta di militantato politico”, costituito da persone portatrici di idee oscurantiste e medievali, contro la libertà delle donne. Cerca di tenere il “piede in due scarpe”, ma non è sincera secondo me e lo dimostra questo emendamento, che tra l’altro, non c’entra nulla con il PNRR: siamo arrivati all’assurdo per cui nel PNRR ci sono cose che non ci dovrebbero essere e nel DEF non ci sono cose che ci dovrebbero essere, come nel quadro programmatico. Io penso che questo emendamento sia veramente una cosa brutta, lesiva del diritto di autodeterminazione delle donne. Bisogna aver presente che cosa si propone, già la decisione di abortire avviene con un grandissimo dolore per chi la prende, e pensare che, chi esercita questo diritto, sia oggetto di un’aggressione, penso costituisca dei profili di disumanità. Io penso che si debba conservare la sostanza della legge 194 e che sia una delle leggi che ha avuto un’attuazione con risultati importanti. Se c’è un problema oggi per l’attuazione della 194 è perché c’è un numero elevatissimo nel nostro paese di obbiettori di coscienza, che rendono spesso molto difficilmente esercitabile tale diritto o con qualche ostacolo: il cambiamento, quindi, deve essere in tal senso.

    Articoli recenti

    Decaro scioglie la riserva e sarà il candidato del centrosinistra in Puglia

    Arriva l’ufficialità per la candidatura di Antonio Decaro alla presidenza della Regione Puglia, dopo...

    Diffusione non consensuale di immagini: la tutela delle vittime

    Negli ultimi mesi è emerso un inquietante fenomeno legato alla diffusione online di immagini...

    I volenterosi riuniti a Parigi. Meloni contraria all’invio di truppe in Ucraina

    Dopo il vertice di agosto, giovedì 4 settembre c’è stato un nuovo incontro a...

    Punire non basta: il paradosso del carcere e dell’isolamento

    Le mura, le sbarre e le celle sono la traduzione materiale di un’idea politica...