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    L’intervista all’On. Luigi Marattin: terzo polo, Europa e Governo

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    È oggi nostro ospite l’On. Luigi Marattin, deputato di Italia Viva e professore associato di Economia politica presso il dipartimento di scienze economiche dell’Università di Bologna. In un clima di grande incertezza intorno alle forze ‘terzopoliste’, Politica ha intervistato uno dei possibili federatori dell’area liberale. La federazione, l’Europa, l’attuale Governo: questi i principali punti toccati.

    I risultati delle elezioni europee hanno evidenziato ciò che lei e altri esponenti delle forze liberali avete per mesi lamentato: il rischio, tramutatosi in realtà, di una significativa dispersione di voti. Crede sia attuabile – nelle settimane a venire – un’inversione di rotta rispetto a quella che lei stesso ha definito come ‘la sciagurata fine del Terzo Polo’?

    Credo sia necessaria. L’attuale configurazione politica dell’area di centro, per chiamarla così, non ha più agibilità politica e, a giudicare dai risultati, non ha neanche più elettori. Siamo arrivati al momento cruciale: o ci rassegniamo a lasciare un pezzo di paese (per me addirittura maggioritario) senza rappresentanza politica, oppure iniziamo ora un cammino di ristrutturazione totale. Superando gli ostacoli che finora ci hanno impedito di proseguire con quel progetto che, è bene ricordarlo, alle politiche del settembre 2022 ottenne un risultato promettente. Che però tuttavia poi si buttò sciaguratamente all’aria, con uno degli atti più masochistici che la politica italiana abbia mai visto in tutta la sua storia.

    Eppure, nel corso della campagna – forse anche per comprensibili ragioni di natura elettorale – si è tentato di demarcare nettamente le rispettive ambizioni. Infatti, se in casa Azione la parola ‘Centro’ non sembra essere particolarmente gradita, dalle parti di Italia Viva vi si è fatto frequente ricorso. È questione di parole o a intercorrere sono differenze sostanziali e non ignorabili?

    Nella politica italiana, e forse non solo, i concetti di “destra” e “sinistra” non significano più molto. Le basti pensare questo: nella prima metà dello scorso decennio, Matteo Renzi porta il Pd, partito di centrosinista, al 40% dei consensi utilizzando parole d’ordine che erano tradizionalmente considerate “di destra”: meno tasse, meno burocrazia, più concorrenza, magistrati e sindacati non hanno sempre ragione a prescindere. Subito dopo, due partiti di destra – Lega e Fratelli d’Italia – raggiungono insieme lo stesso livello di consenso con un programma economico che sembra preso dai Cobas degli Anni 80: più deficit, più spesa pubblica, più stampa di moneta, più prepensionamenti, no al mercato, no alla concorrenza. Io credo che le divisioni politiche tra le varie offerte siano se possibili ancora più nette di prima, ma che non passino più attraverso gli stessi crinali del mondo pre-globalizzazione. Ne deriva che anche il concetto di “centro” sia inevitabilmente più sfuocato. Io preferisco parlare di un’offerta politica liberal-democratica e riformatrice, che non voglia né proteggere passivamente dalla globalizzazione (come fa il “campo largo”) né combatterla (come fanno i sovranisti), ma che voglia usarla per allargare le opportunità per tutti. Italia Viva e Azione, su questo, la pensano esattamente allo stesso modo. Il che aumenta la follia totale attraverso cui invece si è finiti, in questi mesi, a insultarsi sui social network invece che mettersi a lavorare insieme.

    Beghe tra partiti a parte, è bene ora concentrarsi sugli effetti prodotti dalla tornata dell’8 e 9 giugno: crede che l’Europa uscirà indebolita da quest’ultime elezioni?

    A ben guardare, gli equilibri politici non sono cambiamenti in maniera sostanziale. L’unica modifica è responsabilità del mancato accordo tra Iv e Azione, visto che la non elezione di parlamentari italiani di Renew Europe ha fatto sì che il gruppo conservatore (ECR) scalzasse i liberali come terza forza dell’Europarlamento. Vedremo come evolveranno le trattative  in corso ma non mi aspetto sconvolgimenti dal punto di vista degli assetti politici di governo della Ue.

    L’attuale Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si è detta fiduciosa per un secondo mandato. Pensa che il rinnovo avverrà? Che nome e, più in generale, che profilo si augura le possa succedere?

    Non ho un giudizio così eccellente della presidenza Von derLeyen. Vedremo se le trattative in corso porteranno ad una miglior calibrazione dell’atteggiamento dell’Unione su alcune tematiche cruciali, prima tra tutte la transizione ecologica. Poi se chiede a me, trovo che in un mondo razionale Mario Draghi dovrebbe assumere un ruolo di primo piano: semplicemente perché quando parla di Europa mi sembra l’unico con le idee chiare su quali passi concreti debba fare l’integrazione nei prossimi anni.

    Tornando al Belpaese, continua a ritenere infondato il rischio di deriva autoritaria in un clima di crescente sostegno al Governo Meloni? Non rinviene alcun elemento che possa suggerire tale degenerazione?

    A spaventarmi non è certo il rischio di deriva autoritaria, ma l’incapacità di governare i problemi partendo dalla loro complessità e non dalla comunicazione social. Un difetto largamente presente nella politica italiana, non solo nell’attuale maggioranza. La politica si è ridotta ad un enorme e continuo spot pubblicitario, mentre nel frattempo nel mondo e in Italia accadono cose che  la politica non riesce più neanche a comprendere, figuriamoci modificare.

    Infine, nella maggioranza di questo Governo, tra gli altri, figura un rinato Forza Italia. Trova ci siano elementi in comune sotto il profilo contenutistico? E come elettorato di riferimento?

    Forza Italia ha scelto di fare il junior partner dei sovranisti e dei populisti. Guardi ad esempio alla vicenda della mancata ratifica del Trattato di riforma del Mes, lo scorso dicembre. Ha scelto la comodità di attaccarsi a chi, al momento, ha i voti piuttosto che lanciare una vera sfida liberale e riformatrice. Finché confermeranno questa scelta non c’è nessun dialogo possibile (così come specularmente sul fronte opposto, finché perdura l’abbraccio con la sinistra estrema e il M5S).

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