E’ oggi nostra ospite l’On. Marianna Ricciardi, eletta alla Camera dei deputati durante la XIX legislatura con il Movimento 5 Stelle. Laureata in Medicina e Chirurgia e componente della Commissione Affari Sociali, partecipa a convegni e audizioni sui temi del servizio sanitario nazionale. Ha presentato emendamenti per estendere la prevenzione sull’epatite C ed atti parlamentari per migliorare il sistema delle cure in Italia. Le elezioni europee, il futuro del Movimento 5 Stelle, premierato e autonomia differenziata: questi i punti toccati nell’intervista.
Caratteristica importante della campagna elettorale per le elezioni europee del Movimento 5 Stelle è stata la decisione, presa dal Presidente Conte, di non candidarsi e lasciare dunque pieno spazio ad altri esponenti. Posizione, questa, assunta in misura ponderata con l’intento di non “ingannare” gli elettori, data l’incompatibilità della carica in caso di elezione. Ad oggi, visto il risultato ottenuto, crede che tale scelta abbia comunque giovato al Movimento?
Noi chiaramente eravamo ben consapevoli del fatto che mettere il nome del leader significasse non essere onesti con gli elettori. Siamo quindi partiti dal presupposto fondamentale di non inseguire mai il consenso fine a se stesso e di restare leali nei confronti dei nostri elettori. Tant’è che, anche nel corso della scorsa legislatura, quando ci siamo presentati alle elezioni lo abbiamo fatto con un programma. E abbiamo poi rispettato quel programma. L’idea di presentarsi con proposte irrealizzabili è estranea al nostro DNA. La diretta conseguenza della nostra coerenza è stata non candidare il Presidente Conte ben sapendo che, qualora eletto, non sarebbe comunque andato in Europa. Fare come gli altri partiti ci avrebbe giovato in termini di voto, questo è sicuro. Però restiamo fermamente convinti che sia stato giusto fare così, perché in questo modo abbiamo potuto mantenere ben saldi i nostri principi etici.
Seguendo questa linea, negli ultimi giorni sono circolate alcune indiscrezioni relativamente al vostro ordinamento interno: dimissioni del Presidente, rilancio del Movimento, revisione delle parlamentarie – ovvero la selezione web dei candidati che non piace a molti eletti e che non convince neppure Conte. Addirittura una stringente necessità di trovare un’alleanza con Elly Schlein. Utopia oppure percorribile, benché tortuosa, realtà?
La leadership del Presidente Conte non è stata messa in discussione: dalle nostre assemblee è emersa la chiara volontà di lasciare a lui il ruolo di guida del M5S. Chiaramente però ora c’è da aprire una riflessione e capire cosa si può migliorare: ci sarà infatti un’Assemblea Costituente, in programma per il prossimo autunno. Per quanto riguarda il Partito Democratico, e in generale le forze dell’area progressista, noi lavoriamo bene quando ci sono temi e proposte condivise, progetti che ci accomunano. Questo deve essere il punto di partenza. Ancora oggi rimaniamo dell’idea che non si possa fare un’alleanza a priori senza avere dei temi condivisi perché è così che si costruisce una valida alternativa alle destre.
Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un estratto della dichiarazione rilasciata dal Presidente Conte il quale, commentando le percentuali elettorali, ha sottolineato piena responsabilità personale per “non aver mobilitato i cittadini convincendoli dell’importanza di rinnovarci la fiducia”. Dal suo punto di vista, come mai la nostra classe politica è piuttosto nota per una generale difficoltà ad ammettere pubblicamente errori e responsabilità? E’ forse questo uno dei tanti effetti dell’eccessiva personalizzazione?
Sicuramente l’ammissione fatta dal Presidente Conte rientra sempre nell’ambito di quei principi cardini della coerenza e dell’onestà. E credo che questo passaggio sia importante per mantenere saldi i nostri principi fondanti. Al di là dei livelli di personalizzazione, ritengo che il problema sia proprio il linguaggio autoreferenziale della politica, sempre più distante dalla realtà che vive la gente. Pensiamo ad esempio alla propaganda del ‘va tutto bene’ di questo Governo. Propaganda del tutto stridente con le difficoltà che toccano da vicino milioni di italiani; ci sono molte persone che hanno difficoltà ad accedere alle cure, a meno di mettere mano alle proprie tasche. Noi abbiamo cercato di puntare su temi che riteniamo di fondamentale importanza: la pace, la transizione ecologica, la tutela degli animali, la necessità di un welfare europeo, la tutela dei diritti civili. Ma se non siamo riusciti a coinvolgere è giusto chiedersi perché le persone hanno deciso di non rinnovarci il proprio sostegno. Ed è giusto anche chiedere scusa. Evidentemente qualcosa va migliorato.
Passando invece alla politica interna, uno dei punti portati avanti dall’attuale Governo concerne l’autonomia differenziata, da mercoledì 19 effettivamente legge. Esiste, secondo lei, il rischio di incentivare la disaffezione – da tempo dilagante – alla politica una volta preso atto della sempre più marcata distanza tra Nord e Sud del Paese?
Per me quella mattina alle 7.40, dopo una notte alle prese con il provvedimento, vedere sventolare delle bandiere regionali è stato un colpo al cuore. È stato evidente che l’autonomia differenziata altro non è se non un attentato alla nostra unità nazionale. Porterà gravi danni all’interno del Paese, incentiverà i divari e le disuguaglianze tra le Regioni, dunque ci saranno Regioni ricche che si arricchiranno sempre di più a discapito di quelle più fragili. Ci sarà una forte penalizzazione soprattutto del Sud e delle aree interne. È chiaro che quei cittadini che percepiranno di valere meno, di essere cittadini di Serie B – quindi con minori diritti, minori servizi – si sentiranno meno rappresentati dalla politica. Per questo noi, da mesi, ci siamo impegnati a spiegare, girando i territori da Nord a Sud, quali saranno le conseguenze di questa legge scellerata. Possiamo dire che il ddl Calderoli altro non è che la secessione di antica memoria leghista, la secessione dei ricchi. Abbiamo cercato di farne comprendere i rischi, purtroppo questo è stato il desolante risultato. Ma continueremo ad opporci, con tutti gli strumenti possibili; abbiamo anche scritto una lettera al Presidente Mattarella nella speranza che non firmi il disegno di legge.
Rispetto a quest’ultimo punto, sorge peraltro con una certa immediatezza un interrogativo: siamo sicuri che l’autonomia differenziata, di fatto, non esista già? Pensiamo ad esempio alla scuola o alla sanità. Comparto, quest’ultimo, già oggi di competenza regionale.
Sì, le disparità ci sono già e non riguardano soltanto l’asse Nord-Sud poiché anche le aree interne di tutte le regioni sono penalizzate. La sanità poi è materia concorrente dal 2001 e abbiamo ben chiari quali siano stati gli effetti della regionalizzazione della sanità pubblica. Ad oggi ci sono Regioni più virtuose, dove si riesce ad avere personale adeguato e si riescono a garantire i servizi, e altre – soprattutto al Sud – dove non è possibile garantire le medesime prestazioni. Le disparità nei servizi assistenziali generano poi quel fenomeno della migrazione sanitaria per cui circa 4 miliardi di euro si spostano dal Sud verso il Nord. Per questo come M5S abbiamo presentato una proposta di riforma del titolo V che punta a riportare la sanità ad una gestione centrale. L’autonomia differenziata va chiaramente in direzione diametralmente opposta a quella che è la nostra visione. La nostra preoccupazione, più che fondata, è che quanto successo con la sanità pubblica adesso possa accadere in tante altre materie, per esempio istruzione e ambiente.
Un altro cavallo di battaglia del Governo Meloni riguarda il premierato. Riforma, questa, che ha l’obiettivo di cambiare la fisionomia istituzionale della Repubblica. Sussiste, in questo senso, un eventuale pericolo per la tenuta della democrazia?
Senza dubbio è così, non a caso 180 costituzionalisti hanno lanciato un appello per denunciare come questa riforma andrebbe a distruggere la separazione tra i poteri. Il rischio concreto è che il parlamento venga relegato a struttura di servizio del governo – dunque demolito in quanto organo che rappresenta il Paese – e che si indebolisca anche la figura del Presidente della Repubblica, che di fatto non sarebbe più arbitro delle crisi di governo, prerogativa questa che passerebbe al Presidente del Consiglio. Il sistema italiano sarebbe retto da una figura dai pieni poteri con una maggioranza che avrebbe comunque il 55 per cento dei seggi parlamentari con il 30 per cento dei voti. Tutto questo vuol dire decisamente minare alla base la nostra democrazia. Adesso la riforma passerà alla Camera e noi continueremo la nostra battaglia.