Quella di Tuam è una storia di crudeltà ai limiti dell’immaginazione. Nella seconda città più grande della contea di Galway, tra la metà degli anni Venti e i primi anni Sessanta, si stima siano stati sepolti circa ottocento infanti. Oggi, a un secolo dall’inizio delle sepolture, iniziano i lavori per riesumare centinaia di piccoli corpi, che verranno poi analizzati per cercare di ricostruirne il DNA.
Il Saint Mary’s Mother and Baby Home
Tuam, secondo le strane definizioni irlandesi, è una città. Può essere definita tale perché, nonostante abbia meno di diecimila abitanti, ha due cattedrali, una cattolica e una protestante. Qui, dove prima si trovava un ospizio per gli indigenti messi a lavoro dopo la carestia del 1846, nel 1925 aprì il Saint Mary’s Mother and Baby Home, una casa di accoglienza per giovani madri sole, gestita da un gruppo di suore dell’ordine del Buon Soccorso, di proprietà della contea di Galway.
L’istituto ospitava donne che avevano avuto figli fuori dal matrimonio, cosa che all’epoca, soprattutto in una nazione ipercattolica come l’Irlanda e in una città molto credente come Tuam, era ancora un grande tabù. Le madri non sposate venivano ostracizzate dalla società irlandese e dalle proprie famiglie. Si calcola che circa trentacinquemila giovani mamme abbiano dato vita ai propri figli in istituti simili.
La scoperta degli scheletri
Nel 1972 la casa di accoglienza, chiusa dal 1961, venne demolita per fare spazio a una serie di case popolari. Tre anni dopo, due giovani ragazzi di dodici anni, mentre stavano giocando nella zona circostante, trovarono una lastra di cemento e, tra le sue crepe, intravidero alcuni resti umani scheletrizzati. Subito si pensò a una fossa comune risalente al tempo della grande carestia del XIX secolo.
L’intuizione chiave di Catherine Corless
La svolta avvenne anni dopo, nel 2012, quando la storica amatoriale Catherine Corless inizia la sua ricerca. Cresciuta in una fattoria a poche miglia dalla casa di accoglienza, si ricordò di aver condiviso i luoghi della sua infanzia con alcuni bambini sconosciuti, trattati del tutto differentemente da lei, con i quali non le era stato permesso avere contatti perché “portatori di malattie”. Cinquant’anni dopo quei fatti, le venne chiesto di contribuire con un capitolo alla pubblicazione annuale della società storica locale; cominciò a ricordarsi di quei bambini e diede così inizio alle sue indagini.
Grazie agli abitanti più anziani di Tuam, venne a conoscenza dell’esistenza della struttura di accoglienza, e accedendo agli archivi della contea, scoprì che un gran numero di bambini erano morti prima che la casa fosse chiusa nel 1961, ma senza alcun certificato di sepoltura. Nel 2013, Corless si pose come obiettivo personale l’individuazione dei certificati di morte dei 796 bambini che – secondo le sue stime – erano morti nella casa durante il suo periodo di attività. Riuscì a rintracciarne solo due, uno dei quali appartenente a un bimbo sepolto nella tomba di famiglia.
Proprio grazie a questo dato, Corless si convinse che tutti gli altri bambini si trovino nella fossa comune dove prima si ergeva la casa di accoglienza delle suore del Buon Soccorso: “se le loro famiglie di origine si erano sforzate così tanto per coprire l’enorme peccato che erano le loro esistenze, mandandoli in una tale struttura, perché mai avrebbero dovuto volerli riavere per poterli seppellire?”
Dove sono finiti i bambini?
Un rapporto stilato dopo un’ispezione avvenuta nel 1944 sul luogo, rivela che – ad aprile di quell’anno – vivevano nella struttura di Tuam 271 bambini e 61 madri, per un totale di 333 individui. La capienza massima stimata era però di 243 persone. I bambini non controllavano le loro funzioni corporee: erano affamati, denutriti, con problemi di sviluppo cognitivo apparentemente dovuti alle condizioni ambientali, e la loro età oscillava tra le poche settimane e l’anno.
Il caso di Tuam ha aperto le danze alla scoperta di una piaga a tratti sistemica, presente in tutta la nazione. Tante donne che all’epoca avevano partorito in strutture simili, negli anni successivi, hanno denunciato ufficialmente la scomparsa dei propri figli, nella speranza di trovarli ancora vivi. Molti, dopo il periodo di allattamento, sono stati mandati soprattutto negli Stati Uniti e adottati da famiglie oltreoceano, ma la preoccupazione è che altri – con buone probabilità – siano morti di stenti, seppelliti in fosse comuni sparse per l’Irlanda.
Le responsabilità e le scuse pubbliche
Nel 2014, il governo irlandese ha creato una commissione d’inchiesta specifica. L’allora Taoiseach, la prima ministra irlandese Enda Kenny, aveva dichiarato che i bambini nati da genitori non sposati erano stati trattati per decenni come “inferiori sottospecie” dalla Repubblica d’Irlanda. La commissione si è occupata delle case per madri e bambini nate nell’arco di tempo compreso tra la fondazione del Paese – avvenuta nel 1922 – fino al 1998. Il fine dell’indagine era scoprire la condizione dei residenti e il loro tasso di mortalità, il metodo di sepoltura dei cadaveri e la presenza o meno del consenso pieno e informato delle madri per l’adozione dei propri figli.
Nel 2016 sono iniziati gli scavi a campione a Tuam: l’anno successivo, è sopraggiunta la conferma della presenza di “significative quantità di resti di bambini prematuri e fino ai tre anni di età”; le ossa sono state trovate in una struttura sotterranea divisa in venti antri. A marzo 2019, la commissione ha poi scoperto la morte di dodici madri residenti nella casa, quasi tutte decedute durante il parto.
La pubblicazione del rapporto
Il rapporto redatto dalla commissione è stato pubblicato il 12 gennaio 2021, suscitando scalpore in Irlanda e nel resto del mondo, e costringendo il governo irlandese a chiedere scusa ufficialmente per lo “spaventoso livello di mortalità infantile” identificato. Sono circa novemila i bambini morti in diciotto istituti irlandesi.
Oltre alle scuse governative, nel 2021 sono arrivate anche quelle delle suore del Buon Soccorso, che in un comunicato hanno ammesso di “non aver vissuto all’altezza dei valori cristiani durante il periodo di gestione della casa”, ammettendo che “il rapporto della commissione presenta una storia della nostra nazione in cui molte donne e bambini sono stati rigettati, fatti tacere ed esclusi; [una storia] in cui sono stati soggetti ad avversità e in cui non è stata rispettata la loro intrinseca dignità umana, in vita come in morte”.
Cosa succede oggi?
Nella giornata di lunedì 14 luglio, un gruppo di archeologi, antropologi ed altri esperti forensi provenienti da Irlanda, Regno Unito, Australia, Colombia, Spagna e Stati Uniti, coordinati dall’ex inviato del Comitato Internazionale della Croce Rossa Daniel MacSweeney, hanno iniziato il lavoro di scavo completo del sito sepolcrale. Il loro scopo è quello di recuperare i resti umani per identificarli e restituirli alle famiglie, affinché possano essere finalmente sepolti con dignità.
MacSweeney ha spiegato alla stampa la difficoltà dell’operazione, un fattore dovuto alle dimensioni e alle caratteristiche geografiche del luogo, alle infiltrazioni d’acqua e, infine, alla presenza di altri resti risalenti alla carestia del 1846.
Il tutto è da intendersi come una vera scena del crimine: nel caso in cui si dovessero trovare evidenze di morti innaturali, la legge obbligherebbe gli esperti a chiamare un medico legale. Alcuni parenti dei bambini deceduti hanno fornito il loro materiale genetico per facilitare l’esecuzione delle analisi. Catherine Corless spera che i resti vengano identificati correttamente perché “l’acqua ha unito insieme piccole ossa”, il che rende particolarmente difficoltoso poterle combaciare ma anche distinguere tra loro.
L’impegno del cinema
Il celebre attore nordirlandese Liam Neeson, premio Oscar per il film Schindler’s List, è coproduttore di un lungometraggio sullo scandalo dei bambini di Tuam, che inizierà ad essere filmato in Galway alla fine di quest’anno, in collaborazione proprio con Catherine Corless. Come lei e tanti altri, l’attore dice di aver sentito di dover fare qualcosa per onorare la memoria delle vittime di una tragedia perpetrata in silenzio per troppo tempo.
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