Giovedì 17 luglio, Israele ha bombardato la Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, l’unica parrocchia cattolica presente in tutta la Striscia, all’interno della quale opera anche Padre Romanelli, noto per le sue videochiamate serali con Papa Francesco. Al momento, il Patriarcato latino ha confermato la presenza di due vittime, sebbene all’interno dell’edificio si trovassero circa 500 persone.
Cos’è successo
Alle ore 10:10 di questa mattina, la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza è stata colpita da un bombardamento delle forze militari israeliane. All’interno della chiesa e nelle strutture annesse – aule e tende Caritas – si trovavano numerosi sfollati cristiani, molti dei quali già costretti a fuggire da altre zone della Striscia.
Due donne anziane, in un primo momento considerate decedute, sono state successivamente rianimate e ricoverate in gravi condizioni. In totale si contano due morti e undici feriti, tra cui una donna in pericolo di vita. Tra questi figura anche Padre Gabriel Romanelli, impegnato fin dall’inizio del conflitto in un instancabile lavoro di pace accanto al Patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa.
Le dichiarazioni del mondo politico
Dopo il bombardamento, si sono levate immediate e dure condanne da parte della comunità internazionale. Il Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha espresso ferma condanna, definendo l’attacco «inaccettabile». In una nota ufficiale, ha dichiarato: «Gli attacchi contro la popolazione civile che Israele sta portando avanti da mesi sono inaccettabili. Nessuna azione militare può giustificare simili atti. Colpire una chiesa, luogo di rifugio e preghiera, è una violazione intollerabile del diritto umanitario».
Anche il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha preso posizione, sottolineando la necessità di un’immediata cessazione delle ostilità: «Il bombardamento deve terminare, l’assistenza umanitaria deve riprendere quanto prima, e il rispetto del diritto internazionale umanitario deve essere ristabilito. L’Italia chiede con forza la protezione dei civili e dei luoghi di culto».
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF), da parte loro, hanno riconosciuto di essere a conoscenza dell’episodio e hanno dichiarato di aver avviato una revisione interna. In un comunicato, si legge: «L’IDF fa ogni sforzo possibile per limitare i danni a civili e strutture civili, inclusi i siti religiosi, e si rammarica per qualsiasi danno arrecato. Verranno accertate eventuali responsabilità».
Numerosi rappresentanti di Paesi europei e organizzazioni internazionali hanno espresso solidarietà e indignazione per l’accaduto, ribadendo che i luoghi di culto, gli ospedali e i rifugi umanitari devono essere sempre protetti, anche nel contesto di operazioni militari.
L’impegno della Chiesa Cattolica a Gaza
La Chiesa cattolica è da anni impegnata nella Striscia di Gaza in un’opera silenziosa ma costante, fondata sull’accoglienza, sull’assistenza umanitaria e sul dialogo interreligioso, anche nelle condizioni estreme imposte dal conflitto. Questo impegno ha trovato un importante riconoscimento nel 2015, quando la Santa Sede ha firmato un accordo bilaterale con lo Stato di Palestina, sancendone il riconoscimento giuridico e rafforzando la tutela della minoranza cristiana nei territori.
In particolare, Papa Francesco ha dedicato grande attenzione alla situazione di Gaza, esprimendo in numerose occasioni la propria vicinanza alla popolazione palestinese e ai cristiani della Striscia. Il Pontefice ha più volte condannato la violenza e invocato il cessate il fuoco, richiamando le coscienze della comunità internazionale e chiedendo corridoi umanitari, rispetto del diritto internazionale e protezione per i civili. I suoi appelli, profondamente segnati dalla sofferenza delle vittime innocenti, hanno contribuito a tenere viva l’attenzione mondiale sulla crisi umanitaria in atto.
Leone XIV e il rapporto con Israele
I rapporti con Israele restano complessi, segnati da tensioni politiche e religiose, soprattutto in merito alla gestione dei luoghi santi e alle condizioni nei territori occupati. Tuttavia, la Chiesa continua a richiamare tutte le parti al rispetto del diritto internazionale e alla difesa della dignità umana.
In questo solco si inseriscono anche gli accorati appelli di Papa Leone XIV, che fin dall’inizio del suo pontificato con quelle due parole «pace disarmata e disarmante» ha denunciato le sofferenze dei civili a Gaza e ha più volte invocato un cessate il fuoco, la protezione dei luoghi di culto e l’avvio di un processo di pace fondato sulla giustizia, sul riconoscimento reciproco e sulla responsabilità della comunità internazionale.
Il diritto internazionale
Il bombardamento alla chiesa cattolica di Gaza avvenuto questa mattina altro non è che l’ennesima violazione del diritto internazionale da parte di Israele, in quanto colpisce un bene civile tutelato espressamente dalle norme umanitarie internazionali. L’articolo 53 del Primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977 vieta qualsiasi atto ostile contro edifici dedicati alla religione, salvo che vengano usati per scopi militari. A ciò si aggiunge l’articolo 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, che qualifica come crimine di guerra l’attacco intenzionale contro luoghi di culto non coinvolti in attività belliche.
Anche la Convenzione dell’Aia del 1954 e il Secondo Protocollo del 1999 impongono agli Stati l’obbligo di proteggere il patrimonio culturale e religioso, vietando ogni ostilità nei confronti di tali beni, salvo in caso di necessità militare imperativa, e prevedendo un regime di protezione rafforzata per i siti più vulnerabili. Di fronte all’assenza di elementi che giustifichino l’uso militare della chiesa colpita, l’atto compiuto si configura come un grave illecito internazionale, potenzialmente rilevante anche sul piano penale individuale.
Tra gli accademici, il prof. Luigi Daniele ha evidenziato che negli ultimi 18 mesi del conflitto israelo-palestinese non si è rispettata la distinzione operata dal diritto dei conflitti armati e i civili palestinesi sono stati ripetutamente oggetto di attacchi deliberati da parte di Israele.
Il diritto israeliano violato
Le operazioni militari condotte da Israele nella Striscia di Gaza, in particolare quelle che colpiscono sistematicamente civili, ospedali e luoghi di culto, non violano soltanto il diritto internazionale umanitario e la Convenzione ONU sul genocidio del 1948, ma risultano potenzialmente in contrasto anche con il diritto interno israeliano. La Basic Law: Human Dignity and Liberty (1992), che funge da legge fondamentale in assenza di una Costituzione formale, garantisce il rispetto della dignità umana, della vita e della libertà personale, imponendo allo Stato di agire nel rispetto dei diritti fondamentali, anche in situazioni di conflitto.
Inoltre, Israele ha ratificato e incorporato nel proprio ordinamento diverse convenzioni internazionali, tra cui quella contro il genocidio, impegnandosi a prevenire e punire tali crimini anche a livello nazionale. Lo stesso codice penale israeliano prevede disposizioni in materia di crimini internazionali, benché la loro applicazione interna sia spesso limitata da prassi di impunità.
Tuttavia, il principio di proporzionalità, l’obbligo di tutela dei civili e il divieto di punizione collettiva sono vincolanti anche per il governo israeliano secondo la sua stessa architettura giuridica. L’uso sistematico e indiscriminato della forza, se confermato, potrebbe costituire una grave violazione tanto del diritto internazionale quanto di quello nazionale.
Conclusioni
L’attacco alla chiesa della Sacra Famiglia a Gaza rappresenta l’ennesimo segnale dell’abisso giuridico e morale che si sta aprendo nel conflitto israelo-palestinese. Quando a essere colpiti non sono solo obiettivi militari, ma anche ospedali, scuole, campi profughi e luoghi di culto, si afferma un modello di guerra incompatibile con il diritto e con la civiltà giuridica contemporanea.
Non si tratta più soltanto di violazioni delle convenzioni internazionali, ma anche di un tradimento delle stesse leggi fondamentali dello Stato israeliano, che si fondano – almeno formalmente – sul rispetto della dignità umana.
La comunità internazionale, di fronte a queste ripetute violazioni, non può più limitarsi a condanne rituali: serve un’azione concreta, giuridica e diplomatica, per fermare l’escalation e ristabilire il primato del diritto sulla violenza. La protezione dei civili, dei luoghi sacri e della legalità stessa non può essere subordinata a nessuna strategia militare.
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