La sentenza 27711/23 emanata dalla Corte Suprema è destinata a passare alla storia. Numerosi i risvolti impliciti ed espliciti che vi faranno seguito: in sostanza, i tribunali potranno giudicare l’adeguatezza retributiva del lavoratore, intervenendo laddove questa venga meno. Di assoluta centralità l’articolo 36 della nostra Costituzione, che recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Ergo, secondo la Cassazione, in una tensione tra principio costituzionale (con annessa direttiva europea) e autonomia sindacale non vi è dubbio su cosa debba prevalere.
La sentenza
Il suddetto pronunciamento è relativo al ricorso di un vigilante di Torino, insoddisfatto del proprio salario e da oltre un anno in attesa di un adeguamento. Tutto ha inizio con l’accoglimento da parte del giudice, che in primo grado condanna la società cooperativa a corrispondergli più di 20 anni di differenze retributive. Segue il dietrofront della Corte d’appello, che sostiene la non applicabilità dell’art. 36 ai contratti collettivi. Poi la sentenza definitiva, tanto rivoluzionaria quanto di difficile